Servitore del Popolo: il gioco politico di Zelens’kyj – Parte XVII

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La presente puntata inizia già con scene comiche, che mostrano appieno (un’altra volta) la pateticità del personaggio di Vasily Petrovyč. Fuori dal Palazzo di Governo, il popolo ucraino (una trentina di persone) sta allestendo una barricata per attuare una (giustificata) protesta contro i forti rialzi dei prezzi, con la presenza dell’instancabile giornalista Yana Klymenko e del suo cast, che effettuano un servizio sulla faccenda.

La scena successiva, mostra l’arrivo della seconda donna più infaticabile della serie: la segretaria del Presidente Bella. Prima di entrare nella stanza del Presidente, Bella svolge le sue solite mansioni di routine nel suo ufficio, facendo cadere accidentalmente una cartella. Il rumore sveglia Vasily Petrovyč che, dopo essere stato cacciato di casa (episodio precedente), ha trovato fissa dimora proprio nel suo ufficio. Egli, infatti, ha trascorso la notte sul suo divanetto, senza indossare nemmeno un pigiama. Comprendendo farsi trovare in «maniche di mutande», per citare l’indimenticato Principe De Curtis (1898-1967), alla presenza della propria segretaria, che, a differenza di altre, è seria e rigorosa (e per niente attraente), il Presidente comincia ad agitarsi; ma, invece di rivestirsi subito, cosa più logica, nasconde i vestiti del giorno prima e il libro che stava leggendo prima di addormentarsi sotto il divanetto, nasconde le sue valigie e solamente dopo comincia a mettersi qualcosa addosso, vale a dire un vestito preparato in precedenza. È comprensibile che non voglia far sapere a nessuno che lui, il Presidente della nazione, sia stato cacciato di casa dal suo stesso papà. Ma non sarebbe ancora più imbarazzante farsi trovare mezzi nudi?

Quando Bella entra nel suo ufficio per annaffiare le piante, vede il Presidente seduto alla sua scrivania, in giacca e cravatta, sorpresa di trovarlo in ufficio così presto. Come scusa, Vasily Petrovyč sostiene di essere arrivato molto presto per lavorare, approfittando di una sua insonnia. Ma il problema è che non ha ancora finito di vestirsi: gli mancano ancora i pantaloni e le scarpe. Chissà perché, poi non ha messo i calzoni subito dopo la camicia, invece della giacca e della cravatta…

Per finire di vestirsi, il Presidente indirizza l’ignara Bella verso una pianta situata dal lato opposto della porta e, appena ella gli volta le spalle, esce dal suo ufficio con scarpe e pantaloni in mano. Questi ultimi li indossa rapidamente, sotto lo sguardo confuso di Tolja, appena arrivato. Allora Vasily Petrovyč, incredibilmente, per la prima volta, si scusa con lui; non per il suo precedente licenziamento (parte III), ovviamente, ma per non averlo avvertito di non essere più a casa dei suoi genitori e su dove ritrovarlo. E, come se non bastasse, Bella arriva proprio mentre il Presidente si chiude la cerniera lampo.

Per salvare quel poco di dignità che gli è rimasta, ammesso che ne abbia mai avuta, Vasily Petrovyč rientra nel suo ufficio, seguito dalla segretaria, dicendo: «[…] Guardando fuori dalla finestra, possiamo notare che il sole brilla e che non c’è neanche una nuvola! Ah, gli uccellini… Uhm… cinguettano».

«Se fossi in lei, Vasily Petrovyč» risponde Bella «farei molta attenzione; oggi quegli uccelli potrebbero beccarla».

«E perché mai?».

In risposta, ella accende la televisione, mostrando al Presidente il telegiornale grazie al quale, come sempre, viene a sapere cosa sta succedendo e, di conseguenza, dell’evento che si sta svolgendo fuori dal palazzo. Allora, Vasily Petrovyč, accompagnato da Tolja, si mostra davanti alla trentina di persone (numero degno di attenzione), cercando inutilmente di farsi sentire. Così, per azzittire tutti, usa lo stesso trucco usato già precedentemente (puntata III), e urla: «Putin è stato destituito!».

L’effetto è immediato, e la gente si ammutolisce.

«Incredibile, funziona sempre…» afferma Vasily Petrovyč, voltandosi verso Tolja. Approfittando del silenzio, il Presidente si rivolge alla folla: «[…] So che siete molto arrabbiati, ma dovete anche capire! Queste riforme sono necessarie per il nostro Paese. Diversamente, l’Ucraina finirà in disgrazia! Noi non saremo mai in grado di sdebitarci».

Ma, signor Presidente, adesso l’Ucraina non rischia già di finire in disgrazia? Pensioni ritardate, stipendi bassi, licenziamenti di dipendenti nell’alta società, aumento di tasse… Vasily Petrovyč sta mettendo un cappio intorno al collo del proprio Paese per saldare un debito pubblico con l’Unione Europea, all’unico scopo di entrare nelle sue grazie. Si è preso l’impegno di dare a questo organismo il denaro per saldare i suoi debiti, quando il denaro non ce l’ha nemmeno per il suo “beneamato” Paese, lasciando così che la gente si impoverisca.

Questo ci riporta alla parte XIV, quando il Primo Ministro Jurij Ivanovyč Čuiko si augura di raggiungere il default, in modo tale da poter ignorare i debiti esteri, mentre Vasily Petrovyč, nella sua bigotta “onestà” anti-corruzione si augura assolutamente il contrario. In effetti, quando si tratta di debiti pubblici, il default non è così negativo come in molti vogliono far credere. Un esempio è il default avvenuto in Islanda verso la fine di settembre del 2008, dopo il fallimento di tre prestigiose banche private (la Glitnir, la Landsbanki e la Kaupthing). Questo causò un debito estero di 9553 miliardi di corone (50 miliardi di euro), oltre l’80% dei quali era in mano al settore bancario. Di conseguenza, le banche furono nazionalizzate, confluendo gli asset interni, mentre quelli esterni sono rimasti in liquidazione. Tutto questo per salvaguardare l’economia nazionale, evitando conseguenze più gravi alla popolazione islandese. La crisi finanziaria ebbe, comunque, un fortissimo impatto negativo sull’economia: la moneta nazionale perse immediatamente di valore, i cambi con le divise estere vennero virtualmente sospesi e la capitalizzazione azionaria della borsa islandese perse oltre il 90%. E come se non bastasse, nei primi mesi del 2009, l’Islanda entrò in recessione ed il suo prodotto interno lordo calò in valori reali del 5,5%. All’esterno dell’Islanda, oltre mezzo milione di correntisti (quasi il doppio dell’intera popolazione islandese) si ritrovò con i depositi bancari congelati, a causa della liquidazione degli asset esteri delle tre banche nazionalizzate.

L’Islanda adottò diverse misure per contrastare la crisi, tra cui:

  • rafforzare i controlli sui movimenti di capitali (compresa una temporanea sospensione di ogni conversione in valuta estera);
  • attivare un pacchetto di aiuti economici pari a 5,1 miliardi di dollari (dei quali 2,1 miliardi a carico del Fondo Monetario Internazionale ed i rimanenti 3 miliardi a carico dei paesi nordici), in modo da limitare il deficit di bilancio ed aiutare la creazione di altre banche nazionali;
  • implementare delle misure di austerità per consolidare la parte fiscale;
  • ricevere un prestito che sarebbe servito a ripagare una parte dei depositi esteri quasi azzerati in seguito alla crisi (pari ad 1,2 miliardi di euro ricevuti dalla Germania, mentre un prestito di 4 miliardi dai Paesi Bassi e dalla Gran Bretagna non vennero mai accettati).

La crisi finanziaria islandese è terminata, ufficialmente parlando, il 31 agosto 2011, cioè il giorno in cui il piano di salvataggio del Fondo Monetario Internazionale è terminato, benché alcune misure imposte dalla crisi (come il controllo sui flussi di capitali) siano ancora pienamente in vigore. Quindi, l’Islanda è riuscita a riprendersi in meno di tre anni, grazie contenimento del denaro nazionale, invece di preoccuparsi di quello estero, garantendo una rapida ricrescita dell’economia del Paese, al contrario di Vasily Petrovyč (o Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj), a cui non interessa di che razza di sacrifici debbano fare gli ucraini per eseguire il suo volere o quello dell’UE.

Tuttavia, nel vedere questa folla, che ha ricominciato a gridare «Vergogna!», il Presidente ucraino rammenta un altro periodo storico, completamente diverso: la Rivoluzione francese. Tra i personaggi simbolo di questa triste epoca c’è, ovviamente, Luigi XVI di Borbone (23 agosto 1754 – 21 gennaio 1793). Egli, infatti, è il sesto personaggio immaginario di Vasily Petrovyč e si fa largo in mezzo alla folla per raggiungerlo. Come per il personaggio Giulio Cesare (parte V) hanno scelto un attore troppo giovane, per lo sventurato sovrano di Francia ne hanno scelto uno troppo anziano, visto che aveva solamente 38 anni al momento della morte, quando venne ghigliottinato dai rivoluzionari.

Il Re immaginario, raggiunto il Presidente, esclama: «Già… Sono passati tanti così secoli [poco più di due], eppure il popolo non è cambiato affatto. Vo’ Signoria tenta di fare delle riforme, mettendoci buona volontà, e cos’ha in cambio? Révolution…».

Si dice che: «Chi non fa niente non sbaglia». Ma questo detto, certamente, non vale per chi è un Re e ha il dovere di agire. Luigi XVI non seppe gestire la situazione che si era creata e, certamente, la mancata repressione da parte sua delle forze rivoluzionarie ha contribuito alla caduta del suo regno, fino a portare lui stesso e sua moglie, la Regina Maria Antonia d’Asburgo-Lorena (2 novembre 1755 –16 ottobre 1793), passata alla Storia come Maria Antonietta, alla ghigliottina. È, quindi, il caso di dire che non è stato l’agire del Re di Francia a permettere alla Rivoluzione di scatenarsi, bensì il suo “non-agire”. Vasily Petrovyč (o Zelens’kyj) ha nuovamente dimostrato la sua “profonda” conoscenza della storia del continente europeo. E ancor di più la dimostra quando si rivolge al sovrano: «Mi perdoni, non ricordo bene il suo nome. È Luigi, se non sbaglio…».

« Luigi, sì…» risponde deluso il Re.

«Primo?».

«… No…».

«Secondo?».

« Signore, se tirate ad indovinare un numero dopo l’altro, potremo andare avanti fino a questa sera. Sono Luigi XVI…».

«Esatto: Luigi XVI. Mi perdoni, voi “Luigi” siete stati così tanti…» risponde goffamente il Presidente.

Tanti? Diciotto sarebbero tanti? Vasily Petrovyč, che dovrebbe essere uno storico, ha messo in luce la più completa ignoranza su uno degli eventi più importati e significativi di tutta la storia europea.

«Sì, ma soltanto io ho avuto il Paese in uno stato deplorevole e quasi in banca rotta: crisi, gran debito estero, gran malcontento popolare. Erano necessarie delle azioni risolutive, così abolii il feudalesimo, tagliai le spese di bilancio, approvai la riforma fiscale, cosa che era indispensabile. E in cambio cosa ho avuto? Udite, udite, sentiamo… Come ringraziamento, cosa ho avuto?».

«La rivoluzione francese…» risponde sempre più preoccupato Vasily Petrovyč, sebbene la causa non sia stata solo e neppure soprattutto la malagestione dell’economia francese di quell’epoca, oltretutto peggiorata notevolmente dalla e durante la Rivoluzione ed il regime rivoluzionario.

Di sbagliato, cinematograficamente, c’è anche il fondo, che dovrebbe essere formato da un blocca-immagine, con le stesse comparse immobili; “immobili” si fa per dire, visto  che qualcuno muove leggermente le mani alzate e la donna in primo piano sbatte più volte le palpebre.

«Stendete un velo pietoso, è meglio» continua il Luigi XVI immaginario. «Quelle persone spregevoli e ingrate mi tagliarono la testa. Quindi, non sprecate il vostro tempo e le vostre energie. Nessuno lo apprezzerà…».

Detto questo, se ne va, perdendo letteralmente la testa, per poi rimettersela sul collo. Ma prima di sparire del tutto, il Re viene richiamato, nel modo “più appropriato”, dal Presidente: «Signore! Ma allora che dovrei fare?».

«[…] Datevela a gambe!» risponde il Sovrano, prima che Vasily Petrovyč torni finalmente alla realtà. Per essere un Presidente coraggioso, è piuttosto strano che sia bastato un gruppetto di trenta persone a farlo sentire nella stessa posizione di Luigi XVI…

Quando Vasily Petrovyč ritorna alla realtà e rivede la folla (se possiamo dire così) muoversi e la risente gridare, la donna in prima fila lo accusa di essere un corrotto come gli altri. Allora il Presidente cerca inutilmente di discolparsi, finché, dall’impalcatura montata alle sue spalle, non cade una latta di vernice (ma senza vernice). Così, Tolja si butta su di lui e lo riporta dentro al palazzo governativo, temendo per la vita del suo principale. Forse è una reazione eccessiva, ma vista l’inutilità dell’intervento del Presidente, farlo rientrare è stata una scelta intelligente, anche se involontariamente tale.

Nell’ufficio presidenziale, Jurij Ivanovyč guarda l’accaduto in diretta alla televisione, finché Vasily Petrovyč non lo raggiunge e, dopo una piccola presa in giro da parte del Primo Ministro, si siedono per parlare della situazione.

«Vasily Petrovyč, non lo dico perché me ne compiaccio» dice Jurij Ivanovyč «ma l’avevo avvertita. Con queste leggi, lei ha aperto il vaso di Pandora. Allo sciopero hanno aderito i dipendenti del settore pubblico di altre regioni; hanno stimato che in tutto fossero 100 000 scioperanti…».

Se il numero delle persone in sciopero è così alto, perché non lo è altrettanto quello delle persone che stanno protestando fuori dal palazzo?

«Eppure ho la sensazione che lei se ne stia compiacendo» contrattacca il Presidente.

«Non dovrebbe dire così. Io sono qui solo per aiutarla… Come storico, lei conoscerà la leggenda in cui la Terra poggia su tre grandi piastri».

«Sì, ne ho sentito parlare. Perché?».

«Il fatto è che, per l’Ucraina, questa non è una leggenda, ma una realtà. Per cui, tutto si regge su tre ben precisi e potenti pilastri. Spero… caspica di cosa sto parlando…».

«Credo di intuirlo…» risponde un poco disgustato Vasily Petrovyč. I tre pilastri in questione, ovviamente, sono i tre oligarchi che hanno agito contro di lui, fin da quando ha accettato la carica e qui viene rivelato, finalmente, il motivo della loro telefonata a Jurij Ivanovyč alla fine della quindicesima puntata: trovare il momento opportuno per chiedere al Presidente di incontrarli di persona. Ovviamente, Vasily Petrovyč è riluttante all’idea di incontrarli, dal momento che sa già che potrebbero cercare di corromperlo. Così, il Primo Ministro gli dice: «Se fossi in lei, Vasily Petrovyč, non eviterei questo incontro, perché, mi creda, io non le consiglierei nulla di male. Dopotutto, noi due siamo sulla stessa barca…».

A conferma di questa sua ultima affermazione è sempre il discorso avuto con il Presidente nella parte XIV, quando Jurij Ivanovyč ha affermato di essere contrario alle riforme fiscali. Per quanto Vasily Petrovyč odi ammetterlo, il suo Primo Ministro sa essere molto convincente.

Finalmente, il Servitore del Popolo incontra a faccia a faccia i suoi nemici, i quali, fino ad ora, non sono mai stati visti in volto nemmeno dallo spettatore. Il primo oligarca ad accoglierlo è Andrij Mykolajovyč Nemčuk, che lo invita, in un’immensa sala da pranzo, a sedersi a capotavola. Non si sa se per sfiducia o per mancare appositamente di rispetto all’ospite, Vasily Petrovyč sceglie un posto di lato. Allora Andrij Mykolajovyč si siede accanto a lui, di fronte al secondo oligarca, che nascondeva il volto dietro ad una rivista: Michailo Semenovyč Rojzman.

Tra una battuta e l’altra, i due propongono, come c’era da aspettarsi, un accordo al Presidente: Vasily Petrovyč riceverà ingenti somme di denaro, a patto che lasci le faccende economiche in mano agli oligarchi. La cosa buffa è che si tratta di un contratto in piena regola, su cui Vasily Petrovyč dovrebbe solo mettere la propria firma. Questo particolare porta a confondere lo spettatore, visto che non è chiara se la faccenda sia una cosa legale o soltanto illegalmente formale.

Ad ogni modo, questa è la risposta del nostro “eroe”: «[…] Io avrei una controproposta da farvi: perché non presentate la vostra dichiarazione dei redditi? Quella reale, con i numeri a nove zeri? Dopodiché, ne riparleremo…».

Si alza, saluta frettolosamente i presenti e lasca la sala da pranzo, nonché la villa. A questo punto, arriva il terzo oligarca, senza ancora mostrare il suo volto, anche se la sua pelata è un fin troppo evidente indizio per scoprire la sua identità. Deluso come i suoi colleghi, ma non sorpreso, per il rifiuto di Vasily Petrovyč, l’ultimo arrivato rincuora i suoi amici, sostenendo che, prima o poi, troveranno un suo punto debole.

Tornato al Palazzo del Governo, dove la protesta continua, il Presidente raduna i ministri, esclusi quelli della sua “squadra privata” (il perché non si sa), per decidere il da farsi.

«Comprendete tutti la difficoltà della situazione» comincia Vasily Petrovyč «Ammetto, con grande imbarazzo, che non ho idea di come affrontarla».

«[…] Potremo revocare tutte le nuove leggi» propone il Primo Ministro, ben consapevole del fallimento del tentativo di corrompere il Presidente.

«Ma sa che figura imbarazzante farei, vero?»

«Uhm… Non è un problema».

« L’Europa mi deriderà!».

«Bè, come si suol dire: “Nella vita è molto meglio che si rida di te, piuttosto che si pianga per te”» risponde Jurij Ivanovyč, sotto lo sguardo fulminante di Vasily Petrovyč e le risatine soffocate dei ministri. Ma la cosa più patetica è che il Presidente dell’Ucraina, non solo è spaventato da poche decine di persone che si limitano a gridare, senza compiere il minimo atto violento, ma che non sappia come agire per salvare capra e cavoli, cosa che dovrebbe essere l’abilità essenziale per qualsiasi politico, specie per un Capo di Stato.

Alla fine, il Primo Ministro lo rassicura, dicendogli che riuscirà, insieme a tutti i ministri presenti, a trovare una soluzione, vista la loro esperienza nel campo politico. Questa è la risposta del Presidente: «Vi ringrazio. Veramente… Allora io conto sulle vostre menti brillanti…».

Detto questo lascia la sala, senza aver trovato o almeno sentito uno straccio di soluzione. È questo il coraggio del nostro grande “eroe”?

In effetti, c’è una bella differenza tra rifiutarsi di firmare un pezzo di carta e prendere in mano la situazione…

Arriva la sera e, in casa Goloborodko, Petro Vasil’ovyč e Marija Stefanovna, guardano un dibattito in televisione, dove qualche parlamentare critica, nei giusti criteri, Vasily Petrovyč. Mentre Petro Vasil’ovyč ne rimane compiaciuto, sua moglie, in quanto madre, si preoccupa per il figlio che, in questo momento, sta guardando anche lui lo stesso programma, mezzo addormentato e in canottiera. Arrivato uno spezzone che riporta l’inizio del suo discorso di insediamento (parte II), Vasily Petrovyč comincia a sognare quel giorno, con la differenza che tutti i presenti sono arrabbiati, compresi i suoi amici, la sua famiglia e i suoi ex-studenti, e gli gridano tutti contro: «Vergogna!».

Poi, alla fine, vede anche se stesso farlo, sempre in canottiera.

A salvarlo dal suo incubo è la telefonata di Marija Stefanovna, impaziente, come ogni buona madre, di sapere come sta. Dopo averla rassicurata ed essere andato nel bagno a lavarsi i denti, Vasily Petrovyč sta per tornare nell’Ufficio Presidenziale per prepararsi per la notte, quando vede passare, per i corridoi, una donna. Più che “passare”, il termine più appropriato sarebbe agitarsi, visto che, con gli auricolari nelle orecchie, canta molto malamente e balla ancora peggio. Preso ancora una volta dal panico, il Presidente si nasconde goffamente dietro ad un distributore di bevande; sfortuna vuole che la donna si diriga proprio lì per prendere una bottiglietta d’acqua. Ma non si accorge di Vasily Petrovyč… Finché lui non le dice: «Buonasera…».

Risultato: una bottigliata in testa. Mentre Vasily Petrovyč, a causa della botta, vede le stelle, i suoi genitori continuano a guardare la televisione, dove stanno affermando che un enorme meteorite dovrebbe, nei prossimi giorni, schiantarsi proprio su Kiev, spazzando via l’Ucraina dalla faccia della Terra e, nella peggiore delle ipotesi, portando il pianeta fuori orbita, portando, così, a sua volta il resto dell’umanità all’estinzione. Mentre la povera Marija Stefanovna sviene a terra, il marito non se ne accorge nemmeno; continua a fissare lo schermo della televisione e a bere birra sempre più velocemente, sperando di essere ubriaco e di aver solo sognato quello che ha appena ascoltato.

Una volta calmati i nervi, i due si dirigono al bar, così che la donna possa procurare al Presidente qualcosa di freddo da mettere sul bernoccolo (invisibile). Non si sa come sia possibile, ma sembra che ella non sia riuscita a trovare del ghiaccio, così ha proposto a Vasily Petrovyč tre opzioni: una lattina di birra, una confezione di gelato o una coscia di pollo impacchettata. «Ottima scelta» risponde Vasily Petrovyč «ma la birra non va bene, sono in servizio… Credo… Prenderò la coscia».

Cerchiamo di capire bene: lui è astemio, ma dice di non poterla prendere perché è in servizio. Avete mai visto un Presidente che lavora in canottiera?

Alla fine, la donna si presenta: Anna Michailovna, specialista del reparto Ricerche e Sviluppo. Improvvisamente, Vasily Petrovyč, quasi senza farlo apposta, si confida con lei; a spingerlo a farlo può essere stato il fatto che Anna Michailovna è l’unica donna che si possa definire bella, in questa serie. Anna Michailovna gli dà una risposta veramente, veramente ovvia: «Lei sta facendo molte cose buone. Ma è come se fossero caotiche. Ha bisogno di una strategia! […]».

«[…] Allora che si fa?».

«Corriamo…».

«Dove?».

«Io devo prendere la metro» risponde Anna Michailovna, senza dare una risposta concreta alla prima domanda. Comunque, ella ha ragione su una cosa: Vasily Petrovyč non ha un minimo di strategia, tant’è vero che si rivolge sempre agli altri per trovarne una, o una qualsiasi altra soluzione.

Comunque, questo non sembra importare così tanto al Presidente, visto il suo strano, ma intenso incontro con la bella Anna Michailovna. Tanto la giornata era cominciata male, tanto sembra essersi conclusa bene per lui…

 

 

– 17 continua

 

 

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