Articoli precedenti:
La storia di fedeltà a Cristo dei Martiri di Otranto – I
La storia di fedeltà a Cristo dei Martiri di Otranto – II
La storia di fedeltà a Cristo dei Martiri di Otranto – III
La storia di fedeltà a Cristo dei Martiri di Otranto – IV
IL CANTO AL PERDONO DI DIO
I santi martiri, giunti alla loro ultima ora, da soli ad affrontare il supplizio, senza nemmeno poter avere il conforto di un sacerdote, fecero qualcosa che ha già l’odore soave della gloria di Dio; essi, infatti, comuni mortali come noi, non essendo esenti né da colpe, né da peccati, prima di rendere il loro corpo e la vita al Signore, arsero dal desiderio di umiliarsi con cuore contrito e sincero confessandosi apertamente e supplicando a gran voce il perdono di Dio e dei fratelli. Infatti, come riporta la P.S.M, si legge: «I Beati martiri erano rimasti innanzi alla morte senza conforto di alcun sacerdote, tutti uccisi in cattedrale e alla caduta della città, per cui si erano confortati vicendevolmente, anzi avevano confessato, come scrisse il Galatino, l’uno all’altro le proprie colpe e con grande pazienza avevano accettato la morte».
Il desiderio di essere purificati e mondati dal loro peccato, di preparare lo Spirito in qualche modo, prima di comparire davanti a Gesù Cristo, rende testimonianza, in anticipo, della stessa vera Gloria dell’Agnello di Dio, venuto nel mondo per toglierlo dal dominio del male e del peccato.
Non vi fu ombra di superbia o di alterigia in questi ottocento uomini, solo per il fatto che avrebbero conseguito la palma del martirio, anzi, crebbero in sapienza a tal punto da sentire il desiderio fortissimo di esprimere a Dio e ai fratelli le loro malefatte. Si prepararono a morire con un atto di fiducia e di abbandono verso la Misericordia di Dio che ha davvero il profumo del paradiso sulla terra. In fondo, tutta la missione del Cristo, così come la dichiara il Battista, è questa: ricondurre i figli dal Padre, per mezzo del perdono e della pace che ne scaturisce. «Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». D’ altra parte, Gesù nel Vangelo predilige proprio coloro che sono più esposti al biasimo o che non temono di esporsi al biasimo, perché sono maggiormente inclini all’apertura del cuore.
Non scordiamoci che Gesù, quando cita i pubblicani e le prostitute come “esempio”, lo fa a partire dalla consapevolezza che essi sono la pre-condizione per ricevere la grazia, perché pronti a umiliarsi senza indugio e a confessarsi peccatori. Il catechismo della Chiesa Cattolica, conferma, infatti: “Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta perfetta (contrazione di carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale» (art 1452 CCC), non solo! Per mezzo dello Spirito Santo, gli otrantini vennero mondati già prima del martirio, che tutte le colpe lava.
Sono certa che il santo timore di Dio, di cui un tempo il credente era ricco, operasse questa mirabile grazia in loro, che, condotti al macello come pecore, non ritennero di essere per questo innocenti ed esenti dal peccato. Che imponente catechesi sul valore e l’essenza del sacramento della peninteza! Che lezione di umiltà e di ecclesia! Queste sono le meraviglie compiute dal Signore nel cuore di chi Lo ama e Lo segue con docilità e sono queste le uniche “opere” che restano al di sopra della storia e della cronaca perché cantano la vera Lode alla Trinità celeste. La figura di questo mondo passa, ma la carità resta, con tutte le sue opere. Riconoscere la propria miseria, il proprio essere nulla davanti ai fratelli e a Dio, attira immediatamente la Grazia del Signore, che subito solleva dalla polvere il misero e l’afflitto con il balsamo della consolazione e del perdono. Lo si può solo immaginare lo stato d’animo di una comunità di credenti che davvero ardeva come un unico roveto e manifestava tutti i segni della Presenza del Cristo Risorto e Glorioso. Beati coloro che videro e furono testimoni di tanta santità!
Non credo di esagerare nell’affermare che non erano più loro a vivere, ma era Cristo che viveva in loro e li guidava alla perfezione del martirio, “ultimo atto”. Ci sarebbe da fare un secolo di esercizi spirituali sulla necessità di pentirsi e di convertirsi a Dio continuamente, ma non è questa la sede opportuna per approfondire oltre l’argomento degli argomenti, senza il quale perderebbe di significato ogni tipo di annuncio e di evangelizzazione. L’evangelizzazione ha da partire, infatti, da questo semplice presupposto: è vero che il Paradiso è pieno di peccatori, ma pentiti (magari nell’ultimo respiro della loro esistenza) e l’Inferno esiste, non solo perché è un dogma, infatti non c’è alcun bisogno di inventarsi concetti o luoghi o ricorrere alle visioni dei mistici per odorare la puzza dell’Inferno, come pure l’ anticipo del profumo di Paradiso, in quanto tutto è già nel modo in cui viviamo, quando decidiamo di poter fare a meno del perdono di Dio, quando ci permettiamo lussi spirituali puramente farlocchi, del tipo che il Paradiso è gratis perché lo ha già guadagnato Gesù per tutti quanti, morendo sulla croce. La salvezza e la condanna, eterne, sottolineo eterne, dipendono certamente dal giudizio finale di Dio, ma in ordine alle scelte compiute liberamente dagli uomini. E Dio è preoccupato per l’umanità intera, oggi più che mai.
Basta solo menzionare, semmai ve ne fosse bisogno, che in tutte le apparizioni della Vergine Maria di questi ultimi due secoli, apparizioni riconosciute dalla Chiesa pellegrina e volute da Dio stesso, l’appello per eccellenza della Madre nostra, a Lourdes, a La Salette, a Fatima, a Laus… è di pentirci e di tornare a Dio perché stiamo esagerando con i peccati in quantità e per tipologia.
Penitenza, digiuno, preghiera e conversione: Maria non viene che per dirci questo, per catechizzare i cristiani soprattutto, il che fa pensare in che tempi di drammatica tiepidezza e sordità ai richiami del Padre stiamo vivendo. «Tanto Dio perdona, perdona sempre, perdona tutto, anche se non mi pento…»: vorrei conoscere il genio teologico che ha sparso questa menzogna per tutto il pianeta, anche se ne ho già un’idea abbastanza precisa, perché Satana inganna capovolgendo una verità di partenza in una menzogna strutturata in modo tale da riuscire credibile. È ora di svegliarsi dall’anestesia del divisore e dell’Accusatore, che se la ride nel far precipitare anime con le barzellette sulla misericordia, barzellette su cui ci mettono in guardia i santi da secoli, come sant’ Alfonso Maria de’ Liguori che a tal proposito scrive: «Sant’Agostino dice che il demonio inganna gli uomini in due modi: con la disperazione e con la speranza. Dopo il peccato, tenta il peccatore alla disperazione con il terrore della divina giustizia; ma prima di peccare spinge l’anima al peccato con la speranza nella divina misericordia. Perciò il Santo ammonisce: “Dopo il peccato, spera nella misericordia, prima del peccato, abbi timore della giustizia”. Infatti, non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. Dio usa misericordia con chi lo teme, non con chi si serve di essa per non temerlo. È difficile trovare una persona così disperata, che voglia veramente dannarsi. I peccatori vogliono peccare senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano dicendo: “Dio è misericordioso; farò questo peccato e poi mi confesserò”. “Farò ciò che mi piace, tanto Dio è buono”: cosi parlano i peccatori, come scrive sant’Agostino. Però tanti con questo modo di pensare sono finiti male. Dice il Signore: Non dire: “La sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccati” (Sir 5,6). Non dire: “Per quanti peccati io possa commettere, con un atto di dolore sarò perdonato!”. E perché? Poiché ci sono presso di lui misericordia e ira, il suo sdegno si riverserà sui peccatori. Dio pur essendo misericordioso, è anche giusto… Dio promette la sua misericordia a chi lo teme, non a chi abusa di essa. La sua misericordia si stende su quelli che lo temono (Lc 1,50), cantò la Madre di Dio. Agli ostinati Dio minaccia la giustizia. […] Insomma, dice San Paolo, non ci si può prendere gioco di Dio (Gal 6,7). Non si può offenderlo continuamente con proposito e poi pretendere il Paradiso. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato: chi semina peccati non ha motivo di sperare altro che il castigo da scontare nell’inferno. La rete con la quale il demonio trascina le anime all’inferno e l’inganno sibilato attraverso le parole: “Peccate pure liberamente, perché vi salverete nonostante tutti i peccati”. Dio detesta la speranza di chi si ostina al peccato poiché la loro speranza è abominio. Una tale speranza provoca Dio al castigo, meritato da chi, abusando della sua bontà, lo ha offeso in tutti i modi».
(5-continua)