La millenaria famiglia Biandrate uscita di scena nel XX secolo

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Luigi Biandrate di San Giorgio morì quando albeggiava il ventesimo secolo. Con lui si spegneva la discendenza maschile dei conti di Biandrate. Il nome della famiglia gli sopravvisse ancora per circa mezzo secolo, rappresentato da due sue figlie, Maria Luisa, moglie del marchese Giambattista Antonio Raggi e Lydia, sposata al conte Emanuele di Rovasenda. Con la scomparsa di Maria Luisa e di Lydia (che morirono rispettivamente nel 1958 e nel 1963) anche il nome dei Biandrate uscì di scena, dopo quasi mille anni vissuti ad altissimo livello nella storia piemontese e, in determinate epoche, anche italiana ed europea.

Per oltre seicento anni, tra il Trecento e la fine dell’Ottocento, la casata fu costantemente considerata una delle principali della regione subalpina, al pari, però, di parecchie altre, quali quelle dei del Carretto, Valperga, San Martino, Birago, Saluzzo e via dicendo.

In anni più remoti, anteriormente al quattordicesimo secolo e, risalendo indietro nel tempo approssimativamente sino al Novecento avanti il Mille, la posizione della famiglia era, invece, ben diversa. Essa dominò – già prima che i Savoia estendessero la propria influenza al di qua delle Alpi – su territori vastissimi: sul contado di Pombia, innanzitutto, e sull’intero Novarese (inclusa, ma solo sino alla fine del secolo X, la stessa città di Novara, pur in un contesto conflittuale); sulla riva del Ticino da Sesto Calende a Cerano; sulla Valsesia, sull’Ossola, sulle valli Anzasca e di Chy, su Ivrea e sul Canavese, su Chieri e sul Chierese, su una vasta porzione della signoria di Carmagnola (acquistata da Uberto, conte di Chieri sul finire del XII secolo da Enrico Mola e suo nipote Giacomo e per farne dono, il 7 luglio 1202, alla fiorente Abbazia di Casanova[1]), sul contado di Porcile (da cui dipendevano Stoerda, Masio, Poirino, Tegerone, Castiglione e Ceresole), su molti luoghi del Vercellese e dell’Astigiano ma anche su diverse località dell’attuale provincia di Pavia, della Toscana, e sulla Romagna, si può dire intera, della quale Goffredo di Biandrate fu creato conte dall’imperatore Federico II nel 1221. Un ramo ossedette antichi diritti, parecchi castelli e vasti dominii nel Vallese[2], come nelle decanie – o distretti – di Visp (Viège), Goms (Conches), Brig (Briga/Brigues), nonché in Naters, Biel, sino a giungere alle sorgenti del Rodano, dalle quali altri loro possessi si estendevano nella regione del Sempione che il Dizionario storico della Svizzera colloca in particolare nella Valle o gola delle Saltine, confinante con i possessi “italiani”. Per qualche tempo fu forte la loro influenza a Sion.

Anche sulla stessa Torino la famiglia, che fu sempre schierata a fianco dell’Impero, ricevendone ampi benefici e ruoli, aveva possessi allodiali e qualche diritto feudale, essendo stata investita, nel 1213, del pedaggio della città. Si può con fondamento concludere che quella dei Biandrate per gran parte del Medioevo fu se non in assoluto la più potente famiglia piemontese una delle più potenti, a fianco di poche dinastie regie.

Inevitabilmente la potenza (che per lungo tempo si accrebbe in modo inarrestabile) portò con sé gelosie e opposizioni. I comuni di Novara e di Vercelli, in particolare, mal tolleravano l’influenza biandratesca, per cui nel 1168 mossero guerra ai conti (appoggiati dalle milizie milanesi e dagli altri comuni aderenti alla Lega Lombarda) e conquistarono il centro da cui emanava il loro potere. Il castello e tutti gli edifici fortificati di Biandrate vennero rasi al suolo.

Altri conflitti, o vere e proprie guerre, dovettero sostenere i Biandrate contro le città di Asti, di Chieri e di Ivrea. La potenza della famiglia (già parzialmente pregiudicata in occasione delle sconfitte del partito imperiale resa fragile anche dalla suddivisione in vari rami che non sempre agivano in accordo tra loro) ne uscì compromessa. E compromesse erano, inoltre, e per sempre, la dimensione politica e la spinta espansionistica.

La casata, che per secoli aveva realisticamente progettato di insignorirsi dell’intero Piemonte, e non solo di quello, diveniva progressivamente una famiglia pur sempre grande e potente ma con prospettive d’affermazione completamente ridimensionate.

Le origini dei Biandrate sono avvolte nell’oscurità di tempi remoti. Pare assodato che essi traggano origine dai conti di Pombia – o meglio che siano un tutt’uno con essi – ma anche le origini di questi ultimi sono tutt’altro che chiarite. Al riguardo sono state formulate quattro principali teorie. Secondo alcuni essi discendevano dai medievali re di Polonia, secondo altri erano di origine longobarda, altri ancora attribuiscono loro quale capostipite uno dei capitani dell’esercito di Carlo Magno. Da alcuni è considerata più realistica, tuttavia, un’ultima ipotesi, in base alla quale essi trarrebbero origine dalla Casa d’Ivrea.

Molti, in tutti i tempi, i personaggi di storica rilevanza.

Alberto, capitano imperiale, fu uno dei capi della sfortunata crociata lombarda del 1101, che portò in

Terra Santa, in massima parte dalla Lombardia e dal Piemonte, diecimila soldati.

I cronisti dell’epoca lo descrivono come un condottiero di grande coraggio. Di un suo figlio, Guido, detto il grande, sono giunte sino a noi ampie notizie. Orfano del padre e ancora bambino, egli, accompagnato sul campo di battaglia dalla madre, partecipò, alla testa delle milizie biandratesi, alla guerra tra Milano e Como, in aiuto dei milanesi. Tra il 1136 e il 1141 lo troviamo al seguito dell’imperatore Lotario II [o III, a seconda degli schemi adottati] e poi del suo successore, Corrado III, in varie località dell’Italia Meridionale, nonché in Germania, a Norimberga e Kronburg. Negli anni centrali del 1140, a fianco dell’imperatore, del re di Francia, di Guglielmo di Monferrato e di altri grandi signori italiani, tra cui Amedeo di Savoia ed Ermanno, marchese di Verona, partecipa alla seconda crociata. Dopo il 1155 è spesso citato quale testimone ad importanti atti dell’imperatore Federico Barbarossa, in Italia come in Germania.

Nei secoli XII e XIII i Biandrate continuano a essere protagonisti di primo piano soprattutto nelle vicende politiche e militari dell’Italia Settentrionale ma esprimono personalità eminenti anche in campo religioso, come, ad esempio, un altro Guido, che fu creato vescovo di Ravenna nel 1158.

In tempi più recenti i principali rami della casata si insediano nel Monferrato. dove la sequenza degli uomini di guerra continua e si rinnova di secolo in secolo.

Guido, che milita con Emanuele Filiberto nelle Fiandre, muore settantacinquenne, ad Utrecht, per le ferite riportate nella battaglia di Maastricht.

Teodoro II, professore di leggi (sin dal medioevo la famiglia ha annoverato intellettuali, oratori, letterati) e militare, diviene nel 1575 capitano generale dello Stato di Mantova.

Federico, colonnello di cavalleria per Papa Gregorio XIII e poi per Filippo II, viene ferito a Lepanto e muore in guerra nel 1595.

Guido Francesco, generale della cavalleria del ducato di Monferrato, entra nel 1608 in contrasto, dopo un lungo periodo di amicizia, con il duca Ferdinando di Mantova e passa, inizialmente con il beneplacito di quest’ultimo, al servizio del duca di Savoia, il quale lo crea generale della propria fanteria. Nel 1613 però, guidando le truppe sabaude alla conquista del Monferrato scatena l’ira di Ferdinando, che lo condanna, per fellonia, «ad essere strascinato a coda di cavallo, mazzolato, squartato ed appiccato alle forche». In seguito tra i due si giungerà a una rappacificazione che consentirà al Biandrate di recuperare tutti i propri beni e feudi monferrini precedentemente confiscati, ad eccezione del palazzo di Casale che era stato demolito.

Teodoro III, capitano di corazze e gentiluomo di Carlo Emanuele I, è ferito gravemente nel combattimento di Carmagnola del 1630.

Francesco Giacinto, dopo essersi distinto in varie occasioni di guerra e avendo raggiunto il grado di

maggiore del reggimento Marina, abbandonò sul finire del Seicento la vita militare per divenire prete delle Missioni e in quanto tale andò missionario in Cina. Non rivide più la patria poiché morì nel viaggio di ritorno.

Un suo fratello, Carlo Alberto, perse la vita nel 1706 presso Saluzzo, combattendo contro i francesi.

Tra i letterati appartenuti alla famiglia di cui si detto, si deve da ricordare in modo speciale Benvenuto,

autore di un’importante cronaca delle vicende storiche del Monferrato, edita nel Cinquecento, ristampata più volte nel Seicento e nel Settecento e ricercatissima dai bibliofili e dai cultori della storia piemontese.

Tra gli uomini di Chiesa ne deve essere ricordato uno in modo particolare, Gianfrancesco, il quale fu governatore di Roma, vescovo di Acqui (1584), poi di Faenza (1595) e venne nel 1596 creato cardinale del titolo di San Clemente, con aggregazione al casato dei principi Aldobrandini – o Aldobrandino – per desiderio e concessione di Papa Clemente VIII [Ippolito Aldobrandini] e obbligo di portarne il nome e inquartarne l’arma gentilizia. Egli poteva essere elevato al papato e sarebbe in effetti divenuto, con molte probabilità, Papa, se non avesse avuto alcuni potenti oppositori, tra i quali il duca di Mantova.

I Biandrate Aldobrandino di San Giorgio, formarono una delle linee più cospicue della famiglia: Marchesi di Volpiano e di Bagnasco; conti di Balangero con Mathi e Cafasse; signori di Castino, Murialdo e Paroldo; dei signori del Marchesato di Ceva e via dicendo, ebbero, per oltre 100 anni sino alla loro estinzione, avvenuta nel 1778, residenza in Torino.

Ne resta memoria negli elenchi degli amministratori della città e grazie al bel palazzo di via delle Orfane 6 che ancora oggi ricorda il nome della grande casata (talora denominato anche palazzo Coardi di Carpenetto, dalla famiglia che dai Biandrate lo ebbe in eredità). Il destino di questa dimora non avrebbe potuto essere più felice: proprietà della Reale Mutua Assicurazioni, essa è divenuta sede del Museo Storico Reale Mutua, prestigioso e ricco di interessanti testimonianze, che consentono di compiere attraverso le sue sale, aperte al gratuitamente al pubblico italiano e straniero che sempre più numeroso le visita «Un viaggio – si legge nella comunicazione istituzionale – nella grande storia d’Italia attraverso gli occhi della Mutua torinese»[3].

 

Palazzo Biandrate, sede del Museo Storico Reale Mutua, Torino

 

 

[1] Armando Tallone, Cartario della Abazia di Casanova fino all’anno 1313, “Biblioteca della Società Storica Subalpina”, XIV, Pinerolo, Tipografia Chiantore – Mascarelli, 1903, doc. CXXXIV, pp. 121-122.

[2] Circa i quali resta utile il volume lo studio di Frédéric de Gingins-La-Sarraz, Documents pour servir à l’histoire des Comtes de Biandrate recueillis dans les Archives du Vallais et précédés d’une notice par le Baron Frédéric de Gingins-La-Sarraz, membre correspondant de l’Académie des Sciences de Turin, Extrait des Mémoires de l’ l’Académie des Sciences de Turin, Tome X, Série II [1847-1849], Turin, 1847. Si veda anche Jean Gremaud, Le dernier des Biandrate en Vallais, “Indicateur d’histoire et d’Antiquité suisse”, IV, 1882, 3. La bibliografia antica e recentissima sui Biandrate è vastissima e idonea a illuminare le loro molteplici presenze sia con riferimento a molti loro singoli domini, signorie o feudi, sia più in generale alla loro storia in rapporto all’Italia subalpina in particolare, all’Italia in generale, all’Europa, all’Oriente.

[3] https://museorealemutua.org/

 

 

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