La porta che ha sedici secoli, quella della Basilica di Santa Sabina

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La Basilica di Santa Sabina, edificata sul luogo del Titutlus Sabinae, un’ecclesia domestica sul Colle Aventino, fu consacrata nella prima metà del V secolo.

Nel IX secolo vi fu scavata una cripta per accogliere le spoglie di Sabina, martire cristiana del II secolo e nel 1222, data importante per la sua storia secolare, Papa Onorio IIII la affidò ai Domenicani che si trasferirono a Roma da Bologna apportando alla struttura della chiesa importanti cambiamenti come la costruzione del convento e del chiostro, ancora oggi da un varco del muro si può vedere l’albero d’arancio piantato da San Domenico.

La peculiarità straordinaria di questa Basilica, oltre alla bellezza architettonica che la rende tra le chiese più amate e visitate di Roma, è la porta che chiude l’ingresso principale, risalente al V secolo, coeva quindi alla costruzione della chiesa, che costituisce il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana esistente al mondo, per questo, e per le sue caratteristiche iconografiche uniche, è di valore inestimabile.

La porta interamente intagliata nel legno di cipresso, è posta nella sua sede originaria ed è ancora in ottime condizioni, nonostante i numerosi restauri avvenuti nel corso del tempo e l’aggiunta intorno all’XI secolo di una bella fascia decorativa a grappoli e foglie d’uva intorno ai singoli riquadri.

In origine i pannelli intagliati erano 28, dieci in più di quelli che ci sono. Nella attuale disposizione le scene del nuovo e del Vecchio Testamento si susseguono  senza ordine temporale e con evidenti differenze stilistiche, infatti, nonostante non ci siano notizie certe sull’identità degli autori, se ne distinguono sicuramente due: uno di cultura classico-ellenistica, uno di ispirazione popolare tardo-antica, che, pur lavorando presumibilmente in simultanea non operarono insieme, apportando ognuno la ricchezza della propria cultura e sensibilità, così da arricchire questa porta di due linguaggi differenti, uno aggraziato ed elegante, l’altro dall’intaglio secco molto diretto e sintetico.

Esempio di questi due stili quasi contrapposti sono il riquadro della crocifissione e quello del ratto di Elia in Cielo.

In quello della crocifissione, opera dello scultore di ispirazione popolare, l’autore arriva al massimo della stilizzazione e le figure sono proiettate semplicemente su una parete di mattoni, senza alcuna ricerca prospettica. Cristo con la barba è al centro tra i due ladroni, ed è la più antica raffigurazione di questo soggetto. Le croci si intuiscono appena e solo dalla posizione delle braccia e delle mani, sono appena visibili solo quelle dietro le figure dei due ladroni; nei primi anni del Cristianesimo si tendeva, infatti, a non rappresentare Cristo nella crudeltà di quel supplizio.

Il riquadro del Ratto di Elia in Cielo è opera invece dell’artista di cultura classico ellenistica, che con la sua padronanza della tecnica e con grande senso della leggerezza e dell’eleganza dà vita ad una scena bella e dinamica e ad una composizione complessa che sale a spirale, in cui intaglia le rocce, le nuvole e persino un ramarro.

Artisti di tutte le epoche si sono ispirati a questa porta per l’iconografia delle scene bibliche, ed è incredibile vederla ancora oggi a distanza di 16 secoli intatta, immobile testimone della storia passata.

Un ignoto restauratore al lavoro sulla porta, nel 1836, sul pannello che racconta il passaggio del Mar Rosso da parte degli ebrei, 15 anni dopo la morte di Napoleone Bonaparte, modificò, spinto probabilmente dall’odio religioso, il volto del faraone in procinto di annegare per farlo somigliare a quella dell’imperatore francese al fine di augurargli la dannazione eterna.

Tasselli di storia che si sedimentano e costantemente, attraverso lo studio e la contemplazione di un’opera d’arte, si attualizzano.

 

 

 

 

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