La Famiglia Alfieri fra Asti e Torino

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«Vittorio Alfieri in questa casa scrisse le tre sue prime tragedie 1774-1777», si legge in via Alfieri 2 su una targa collocata abbastanza in alto da poter sfuggire anche a uno sguardo attento. Un itinerario alla ricerca di ricordi degli Alfieri in Torino può partire da questo palazzo, dove il grande autore tragico prese stabile dimora dopo gli avventurosi viaggi intrapresi quand’era appena diciassettenne, attraversando, nel corso di sei anni, in tutta Europa. Nell’edificio, appartenente ai Della Villa di Villastellone (che aveva il suo ingresso in piazza San Carlo) Vittorio occupò un grande appartamento, arredandolo in modo estroso e magnifico. Fu tra queste pareti che si sviluppò la metamorfosi destinata a trasformare una violenta passionalità in severa disciplina, uno spirito ribelle e la propensione per gli eccessi in autocontrollo. I muri che lo ospitavano furono testimoni di molti momenti ed episodi biografici alfieriani, in parte narrati dal poeta stesso nelle pagine della Vita e dei Giornali, compreso quello arcinoto nel quale impose ad un servitore di legarlo alla sedia del suo tavolo di lavoro.

I primi legami di Alfieri con Torino risalivano a tempi anteriori. Dopo avere passato la sua prima infanzia nel palazzo avito ad Asti, egli era giunto nella capitale all’età di nove anni per entrare (o essere «ingabbiato» come scrisse) in Accademia Militare, dalla quale uscì dopo otto anni e molte vicissitudini, col grado di portainsegna nel reggimento provinciale di Asti. Il rapporto con Torino dovette essere d’amore e d’odio a un tempo. “Odio” per l’ordine presuntamente sonnolento e per un non meno presunto vago grigiore (che piacque a successivi autori esagerare e gonfiare assai più di quanto non si fece per le testimonianze di segno opposto); “amore”, invece, per i forti fermenti intellettuali che covavano – anche col suo stimolo, se si vuole – sotto una coltre di tranquillità solo apparente.

Ma amore anche per le strade incantate, suggestive e splendide di Torino (che ancor oggi ci affascinano malgrado siano sempre più teatro, di amministrazione in amministrazione, di un intollerabile degrado, con marciapiedi sempre più sporchi e spesso alquanto malconci per carente manutenzione). Amore per una di esse in particolare, via Po, che Alfieri percorreva quasi quotidianamente senz’altra finalità che il puro piacere di passeggiare.

Non è difficile constatare che lo scrittore ha per Torino un’importanza del tutto particolare. La nostra città conserva dopo Asti – oltre a via Alfieri, naturalmente – il maggior numero di riferimenti alfieriani. Sulla facciata del teatro Carignano (dove il 16 giugno 1775 si recitò con gran successo per la prima volta Cleopatra) vi è un busto scolpito da Cesare Reduzzi, inaugurato nel 1903, con l’iscrizione «A Vittorio Alfieri / cittadino e poeta / dell’anima nazionale risvegliatore […]». In via Palmieri 58, sulla facciata della scuola elementare a lui intitolata, resta invece una lapide in marmo con medaglione, dello scultore Giuseppe Cerini, inaugurata nel 1914, che riporta la celebre frase «volli sempre volli». Di scuole intitolate all’autore Torino ne conta addirittura due, una materna e un blasonato liceo classico.

 

Busto di Vittorio Alfieri nel cortile di Palazzo Alfieri, Asti

 

Uno dei principali teatri della città gli è dedicato. Anche nel circondario torinese qua e là attraverso il Piemonte si può dire l’Italia interi – dando per scontate le innumerevoli testimonianze astesi – il suo nome è ricordato più volte. In Piemonte quasi tutti i centri principali gli hanno dedicato almeno una strada.

Le tracce alfieriane a Torino non si esauriscono con le memorie del celeberrimo tragico. Gli Alfieri compaiono nella storia cittadina piuttosto tardi, nel corso del Seicento. Prima di essere attratti dalla capitale dei Savoia, essi furono per oltre mezzo millennio saldamente radicati solo alla potente città di Asti, dove ebbero, sin dal dodicesimo secolo, un ruolo eminente e talvolta preminente. Il più antico personaggio del quale si sono conservate precise attestazioni documentali è Tommaso, vissuto intorno al 1150 e ritenuto il capostipite di tutte le diramazioni della Casa. Già nel Duecento incontriamo, scorrendo l’albero genealogico, uomini di “spada” e di “penna”, come Manuele (che agli inizi del secolo andò alle crociate) o Ogerio (che, dopo aver provveduto a sistemare, tra il 1257 e il 1277, il grande patrimonio avito con acquisti, cessioni, divisioni di terre, case e torri, attese, successivamente al 1290, al riordino e alla conservazione dell’archivio del comune astigiano, compilando il Codex astensis e una breve cronaca, opere ancor oggi preziose per la storia e la storiografia piemontese). Nella stessa epoca incontriamo giuristi affermati e uomini di Chiesa. Tra questi ultimi è da ricordare almeno il beato Enrico, nato ad Asti attorno al 1315, entrato a far parte dei Francescani, giungendo nel 1387 a ricoprire la carica di generale dell’Ordine. Il suo governo durò, in tempi particolarmente difficili, 18 anni, durante i quali seppe tenere al riparo l’Ordine francescano dai contraccolpi del Grande Scisma d’Occidente.

 

Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, Miniatura dei Privilegi concessi da Federico II di Svevia alla città di Asti , dal libro Asti medievale di A. Bianco, Ed. CRA, 1968

 

La storia degli Alfieri è un’ininterrotta teoria di “uomini illustri”, in prevalenza dediti alla carriera delle armi. Tra quanti persero la vita in battaglia sono ricordati Carlo, il cavaliere gerosolimitano, che morì nel 1570 combattendo contro i turchi; Urbano, governatore di Alba e di Villanova, che fu ferito a morte nel 1615 sotto Asti da una palla di cannone e Giuseppe Giustiniano, tenente nel reggimento Piemonte, che cadde ucciso l’8 settembre 1793 nella battaglia al colle della Cerisiera (Lantosca) contro i francesi, al solito, regi, giacobini, napoleonici e non soltanto, dediti a insidiare l’indipendenza e libertà piemontesi e italiche.

Numerosi furono i governatori militari di città; tra questi si distinse soprattutto Giambattista Pellegrino, che, dopo aver governato Cuneo, fu nominato (nel 1762) viceré di Sardegna.

Tornando a rievocare i vincoli che legano il nome degli Alfieri in modo particolare alla storia torinese, risale al 1673 un fosco episodio. Catalano Alfieri, conte di Magliano, cavaliere dell’Ordine Supremo dell’Annunziata, generale comandante della fanteria, venne imprigionato nell’agosto di quell’anno in Palazzo Madama per subire un processo. Gli si attribuiva la responsabilità di una sconfitta nella guerra combattuta dallo Stato contro la Repubblica di Genova tra il giugno del 1672 e il gennaio del 1673. Gli veniva, inoltre, rivolta l’accusa infamante di connivenza col nemico. Il processo fu istruito, pare, in modo irregolare (ma le opinioni degli storici ottocenteschi e di alcuni contemporanei al riguardo sono divergenti), da un suo acerrimo avversario, il presidente del Senato Carlo Antonio Blancardi. Il generale Alfieri venne condannato all’impiccagione, ma morì sotto tortura, si vuole, prima che la sentenza potesse essere eseguita. Le istanze di un suo figlio, qualche anno dopo, provocarono una revisione del processo e un’inchiesta sull’operato del Blancardi. L’accusatore si trasformò così in accusato e il trattamento cui era stato sottoposto Catalano Alfieri venne replicato per lui. Il 15 marzo

del 1676, alle 22,30, a conclusione di tre ore di interrogatori e di tortura, egli veniva decapitato in piazza della Cittadella. In seguito la memoria dell’Alfieri fu pienamente riabilitata e da ciò deriva il motto Tort ne dure che da quei tempi accompagna lo stemma della casata.

Nel 1700 la presenza della famiglia nella storia torinese si fa sempre più incisiva. Alcuni suoi esponenti entrano a far parte anche dell’amministrazione civica o ricoprono ruoli importanti per la vita del comune. Federico Alfieri di San Martino (ramo che in seguito prenderà la denominazione Alfieri di Sostegno) ricopre nel 1741 la carica di chiavaro della città. Cesare Giustiniano diviene sindaco nel 1739; nello stesso anno il Re lo nomina Riformatore dell’Università e poco dopo, nel 1743, vicario di politica e polizia di Torino. In questo periodo figura tra gli amministratori torinesi anche Cesare Serafino (fratello minore di Cesare Giustiniano) che riveste l’incarico di chiavaro nel 1751. Un discorso a parte esige Benedetto, il sindaco del 1742 ma, soprattutto, il grande architetto che impresse una profonda impronta alla forma urbana della Torino settecentesca. Molti dei suoi lavori sono ancor oggi quotidianamente sotto i nostri occhi. Nato nel 1700 a Roma, dove il padre, grande viaggiatore e scialacquatore del patrimonio ereditario, si trovava, fu tenuto a battesimo da papa Innocenzo XII; studiò a Roma nel collegio dei Gesuiti e soltanto nel 1722 venne a Torino, dove si addottorò in legge esercitando per qualche tempo la professione legale ad Asti. La sua attenzione però era rivolta a ben altri orizzonti. Da sempre aveva coltivato da autodidatta una grande passione per l’architettura. In questo campo, dopo il rientro in Piemonte, non aveva avuto difficoltà a realizzare

alcuni progetti ad Asti, Casale e Alessandria. Il suo talento non sfuggì a Car1o Emanuele III che nel 1736 lo incaricò di portare a compimento la costruzione del Teatro Regio. Non molto dopo, il 1° giugno 1739, il Re lo nominò suo primo architetto civile; nell’arco di quel solo anno l’Alfieri curò la sistemazione di palazzo Chiablese e ultimò la costruzione del palazzo delle Segreterie di Stato (l’attuale Prefettura); ebbe un ruolo nella costruzione della maggior parte degli edifici pubblici del suo tempo. Dal 1741 al 1748 curò la costruzione dell’ala sud del palazzo del Real Senato (oggi Corte d’Appello). Tra il 1749 e il 1752 costruì l’Istituto della Provvidenza (via Arcivescovado angolo via Alfieri, dove ebbe sede a lungo l’Esattoria Comunale). Nel 1758 curò l’ampliamento del palazzo comunale e realizzò anche il suo progetto per la risistemazione di piazza delle Erbe e di via Panierai (oggi rispettivamente, quasi superfluo precisarlo, piazza e via Palazzo di Città).  Contemporaneamente eseguì e progettò la costruzione, il rimaneggiamento o la decorazione di numerosi palazzi privati (Isnardi di Caraglio in piazza San Carlo 183; Morozzo della Rocca, distrutto

durante l’ultima guerra; Turinetti di Cambiano in piazza San Carlo 197; Piossasco di Rivalta in via Cavour 13 e diversi altri).

Lavorò a parecchi edifici religiosi. Il suo capolavoro in quest’ambito non si trova però a Torino, ma a Carignano, dove sorge l’originalissimo e fascinoso duomo con pianta a ventaglio. Quando giungiamo al 1800, quella degli Alfieri è ormai a tutti gli effetti una famiglia “torinese”, anche se il cordone ombelicale con Asti è tutt’altro che reciso.

Tra i protagonisti di questo secolo spicca Cesare Alfieri di Sostegno (nell’immagine a sinistra), altra personalità il cui rilievo travalicò i limiti locali. Nato nel 1799, Cesare abbracciò la carriera diplomatica. Dopo aver servito il Re a Parigi, l’Aia, Berlino, San Pietroburgo e in vari congressi internazionali, tornò a Torino nel 1826 e divenne amico e consigliere privato di Carlo Alberto che nel 1839 lo nominò consigliere di Stato. Quale riformatore e poi Ministro della Pubblica Istruzione diede eccezionale impulso agli studi, istituendo nuove cattedre nell’Università e aprendo nuove scuole e corsi. Fu tra i firmatari dello Statuto. All’apice della carriera divenne presidente del Senato. Fu anche consigliere comunale, mentre la serie dei presidenti della Cassa di Risparmio di Torino si apre nel 1853 con il suo nome. Non morì nella città alla quale aveva dato oggettivamente molto, ma a Firenze, dove nel 1865 aveva seguito il Re in seguito al trasferimento della capitale. Torino lo ricorda con un busto posto nel porticato dell’Università in via Po, sotto il quale si legge tra l’altro che «servì la patria con probità antica e con intelligenza dei tempi» e con una lapide murata sulla facciata laterale del palazzo che gli Alfieri di Sostegno possedettero in via Maria Vittoria.

In città è ancora oggi operante l’Istituto Alfieri-Carrù, fondato nel secolo scorso dagli Alfieri di Sostegno e dai Costa Carrù della Trinità con lo scopo di promuovere l’educazione e l’istruzione di ragazze bisognose o orfane.

L’ultimo maschio di tutti gli Alfieri fu l’unico figlio di Cesare, che morì a Firenze nel 1897.

Gli Alfieri, anche se estinti, continuano a essere presenti nella vita di Torino e non potranno essere facilmente dimenticati; di ciò sarebbe felice anche il grande Vittorio, che, malgrado il suo spirito insofferente e anticonformista, non era riuscito ad allontanare da sé, come dichiarò nei suoi scritti

«Quella vanitaduzza, che si può far tacere, ma non si sradica mai dal cuore di chi è nato distinto, di desiderare una continuità del nome o almeno della famiglia […]».

 

 

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