Gli Avogadro, uomini di scienza, pensiero, milizia e fede nella storia degli Stati sabaudi

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Amedeo Avogadro di Quaregna e Ceretto nacque nel 1776 a Torino, dove morì, quasi ottantenne, nel 1856. Tutti i torinesi ancor oggi lo ricordano o, quanto meno, hanno ben presente il suo nome non soltanto per la celebre Legge che a lui rimanda, ma anche grazie al fatto che la città gli ha dedicato una via, una prestigiosa scuola, due monumenti. Non per tutti è invece altrettanto nota la reale importanza e la modernità dei suoi studi. Amedeo Avogadro, la cui opera non cessa di

suscitare l’interesse della scienza, non fu solo, infatti, un fondatore della teoria atomico-molecolare e uno dei padri del moderno concetto di atomo, ma sviluppò studi di riconosciuto rilievo per l’elettrochimica e per la metrologia. Campo, quest’ultimo, in cui i suoi studi si rivelano anche attualmente significativi e attuali.

Nel marzo del 1994, metrologi di tutto il mondo vollero riunirsi proprio a Torino, per ricordarne la figura e per valutare, sulla base delle sue sperimentazioni e conclusioni, la possibilità, alle soglie del terzo millennio, di dare all’umanità una nuova e più precisa unità di misura della massa. Malgrado la speciale predisposizione per gli studi di fisica e matematica, Avogadro aveva coltivato, negli anni giovanili, studi giuridici che lo avevano portato ad addottorarsi in «ambe leggi»’. Poliedrico, oltre che capace di geniali intuizioni nel campo della scienza, egli seppe coniugare la vasta produzione scientifica e l’insegnamento della fisica sublime (fisica matematica) nell’Università di Torino, con una costante attività nelle amministrazioni sabaude, volendo così, forse, rispettare le antiche tradizioni di servizio alla dinastia e allo Stato che da lungo tempo caratterizzavano la propria famiglia.

Gli Avogadro, sono da sempre considerati la principale casata di Vercelli (città in cui ebbero sede, peraltro, non poche potenti e altrettanto antiche famiglie, come i Vialardi, Bulgaro, Buronzo, Bicchieri, Tizzoni). Pare certo che gli Avogadro discendano da Bongiovanni di Casalvolone, conte di Vercelli nel 1051 e perciò, attraverso lui, da Manfredo d’Orléans, vale a dire dal medesimo stipite da cui discese anche Luigi di Valois-Orléans, destinato a sedere sul trono di Francia sul finire del XV secolo, col nome di Luigi XII.

Già poco dopo il 1100 gli Avogadro (che derivarono il proprio cognome dall’ufficio ereditario dell’avvocazia delle giurisdizioni temporali appartenenti alla Mensa vescovile vercellese) figurano sulla scena della storia subalpina suddivisi in vari rami, tra i quali appaiono essere più influenti quelli di Casanova, di Cerrione, di Valdengo e Vigliano. Ciascuno di questi rami diede origine, nel corso dei secoli, a varie linee che giunsero a possedere, complessivamente, non meno di ottanta feudi ed un gran numero di castelli, torri, caseforti.

La storia degli Avogadro è stata sino a ora ricostruita da diversi storici a più riprese e anche con studi ampi ma ancora in modo frammentario. Potrebbe essere nuovamente affrontata, ampliata e approfondita da una molteplicità di angolazioni (la famiglia, assai prolifica e diramata, fu protagonista, in tutti i campi, di molti tra i momenti più significativi della storia piemontese). Tre filoni di ricerca in particolare sembrano assumere maggiore rilevanza nel passato familiare. Gli Avogadro diedero, in primo luogo e soprattutto se si guarda agli albori della loro storia, un grande contributo di uomini alla Chiesa Cattolica. Alcuni autori avanzano addirittura l’ipotesi che essi contino tra i propri antenati anche Sant’Emiliano, che fu vescovo di Vercelli dal 489 al 520 e che presenziò ai tre concili romani del 496, del 501 e del 504. L’antichità del personaggio è però troppo remota per potere accertare su basi documentali certe il fondamento di questa tradizione. Altrettanta incertezza esiste per quanto riguarda San Pietro II, vescovo di Vercelli dal 1021 al 1026. Durante il suo vescovado Pietro andò in pellegrinaggio in Terra Santa, dove fu imprigionato e condotto   schiavo in Babilonia d’Egitto, recuperando la libertà soltanto dopo molte disavventure.

 

Francisco Goya, Morte di Sant’Alberto di Gerusalemme (1772-1775), olio su tela, Convento delle Carmelitane Scalze, Cuenca, Spagna

 

Nell’albero genealogico degli Avogadro figurano anche altri santi e beati la cui appartenenza alla famiglia è storicamente certa o probabilissima. Sant’Alberto da Vercelli fu uno di questi. Dopo avere retto la diocesi di Bobbio egli fu vescovo di Vercelli dal 1184 al 1205, anno in cui venne consacrato patriarca di Gerusalemme. Durante la permanenza in Palestina – dove ebbe influenza e ruoli da più parti considerati fondamentali, arginando la pressione dei turchi e mantenendo la pace tra i principi crociati – Alberto curò la redazione della regola destinata agli eremiti del Monte Carmelo, da cui ebbe origine il monachesimo carmelitano. Il 14 dicembre 1214 fu assassinato in San Giovanni d’Acri, da un chierico piemontese, forse originario di Caluso, ch’egli aveva deposto, per indegnità, dalla carica di maestro dell’ospedale dello Spirito Santo.

Altro uomo di fede della casa fu Giovanni Avogadro di Quaregna, beatificato nel 1497, anche per avere «fatto consistere la vera grandezza nel praticar la più abbietta umiltà». Lungo anche l’elenco dei vescovi di questo nome; limitandoci alla sola diocesi eusebiana, così rilevante nella storia della famiglia, possiamo ricordarne, oltre a quelli già citati, altri sei tra l’undicesimo e il quattordicesimo secolo. Successivamente, passato momentaneamente il comune di Vercelli sotto il dominio visconteo, i Visconti ostacolarono nuove nomine di membri della casata a pastori della diocesi, con il chiaro intento di limitare la potenza del consortile avogadresco nell’area vercellese.

Non meno significativa è la presenza degli Avogadro nella storia militare. Numerosi ricevono decorazioni per atti di valore, più d’uno perde la vita sul campo di battaglia. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno 1565 Paolo Avogadro, un anziano cavaliere di Malta che presidia il forte di Sant’Elmo, da qualche tempo assediato dai turchi e sull’orlo della disfatta (essendo stato ridotto a un colabrodo

da oltre diciottomila colpi d’artiglieria pesante), si oppone, con pochi compagni d’arme ancora sopravvissuti (nell’assedio persero la vita oltre 1200 cristiani) all’attacco decisivo, sopra una breccia ormai indifendibile. Quando un ottomano lo colpisce a morte egli, anziché indietreggiare, si getta nella mischia incontro al nemico al grido di “Viva Gesù Cristo” e infonde così nuovo coraggio ai commilitoni che riescono – anche se per breve tempo – a ricacciare indietro il nemico, nonostante l’enorme sproporzione numerica.

 

Palazzo Avogadro della Motta, Vercelli

 

Carlo Avogadro della Motta muore nel 1744 in seguito alle ferite riportate nella battaglia della Madonna dell’Olmo; Vittorio Amedeo Avogadro di Valdengo cade sulle Alpi combattendo contro le truppe della Francia rivoluzionaria nel fatto d’armi delle Linières. L’8 giugno 1793, nella medesima guerra, perderà la vita anche un altro rappresentante dello stesso ramo, Gregorio. Al ramo di Valdengo appartiene pure Annibale che muore colpito al viso da una palla di cannone sotto le mura di Milano, a Porta Romana, il 4 agosto 1848.

Tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento la vocazione per le carriere nelle amministrazioni militari tende a predominare su ogni altra. Saranno in questo arco di tempo non meno di dieci i generali dell’esercito sardo appartenenti alla famiglia. Anche nel Novecento, nella prima come nella seconda guerra mondiale, almeno cinque generali dell’esercito italiano portavano il nome di varie linee Avogadro, un nome che non può passare inosservato neanche negli elenchi dei decorati al valor militare, in cui figurano, nello spazio di soli dieci anni, in Africa e nella guerra del ’15/’18, tre Avogadro di Collobiano e due Avogadro di Vigliano.

Oggi è difficile comprendere o apprezzare appieno la reale importanza nei secoli del contributo di sangue e di coraggio dato dalla nobiltà piemontese. Vi furono tuttavia anni in cui questo fu irrinunciabile, sia per contenere le mire espansionistiche degli “infedeli” e le loro incessanti aggressioni, sia per garantire agli Stati sabaudi prima e all’Italia poi la conservazione della propria

autonomia e identità.

La terza componente fondamentale da segnalare nella storia della famiglia è la presenza di numerosi letterati e di studiosi: di Amedeo si è già detto. Alla linea di Valdengo appartennero Gustavo (che pur essendo morto appena trentatreenne nel 1847 fu autore di preziosi studi sulla genealogia sabauda, sulla storia locale biellese, sulla Sacra di San Michele e curatore dell’edizione di cronache medievali), Flaminio (1798-1875) che scrisse le proprie memorie di guerra nelle campagne del 1848-49 e Annibale, scrittore di opere di storia, strategia e tecnica militare. Della linea di Casanova può essere ricordato Giuseppe Maria (1730-1813) che lasciò vari studi di agricoltura e di economia. Nella linea di Quinto si segnalò Pietro, un cinquecentesco poeta; in quella di Collobiano Ferdinando, autore di un dettagliato studio sulla battaglia di Dego e, più in generale, sulle vicende guerresche del 1796. Maggiore importanza tra tutti ebbe però Emiliano Avogadro della Motta (1798-1865), un autore sino ad oggi mai abbastanza valorizzato, la cui opera sta però suscitando un crescente interesse. In particolare merita di essere meglio conosciuto e  apprezzato il Saggio intorno al socialismo e alle dottrine e tendenze socialiste (Torino, 1851) e meritevoli di una complessiva rivalutazione sono alcuni suoi saggi e pensieri contro le tendenze unitarie, contro la cessione di Nizza e Savoia alla Francia e contro la via intrapresa dal movimento risorgimentale nei confronti dei diversi stati italiani, incline più alla prevaricazione che, pur ormai forzati ad adeguarsi a essa i Savoia, alla tradizionale politica dinastica detta “del carciofo” e riferita all’Italia, con l’obiettivo di “sfogliarne” progressivamente, anche in lunghi archi di tempo, le brattee.

 

 

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