Una «Tosca» d’eccellenza andata in scena al Teatro Coccia di Novara. Parla il tenore Luciano Ganci

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Al Teatro Coccia di Novara, uno dei maggiori teatri di tradizione d’Italia, nonché il teatro storico più antico del Piemonte, è andata in scena, per la Stagione d’Opera 2022,  dal 27 al 29 maggio, la «Tosca» di Giacomo Puccini e il libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.

Direttore d’orchestra, Fabrizio Maria Carminati; Regia, Renato Bonajuto; Scenografia, Giovanni Gasparro e Danilo Coppola; Costumi, Artemio Cabassi; Luci, Ivan Pastrovicchio; Orchestra Filarmonica Italiana; Coro San Gregorio Magno; Maestro del Coro San Gregorio Magno, Mauro Trombetta; Coro delle Voci bianche del Teatro Coccia.

La «Tosca» presentata a Novara ha avuto una grande approvazione da parte sia del pubblico che della critica. Straordinaria la voce e l’interpretazione del tenore Luciano Ganci, classe 1982. Presenti alla recita domenicale, abbiamo quindi potuto assistere ad una straordinaria prestazione da parte di tutti coloro che si sono impegnati in questa impresa, dove la tradizione operistica (compresi i costumi) non è stata violata e, allo stesso tempo, l’impatto scenico ha dato un’impronta positivamente originale, incastonata nel giusto metro valoriale dell’arte e del rispetto di ciò della fonte, ovvero Puccini. Ecco che questa «Tosca» è risultata assolutamente vincente e per questo, indimenticabile. Per questa precisa ragione abbiamo voluto intervistare due dei suoi protagonisti, il tenore romano Luciano Ganci, che ha interpretato magistralmente un romano Mario Cavaradossi che a nostro modesto avviso rientra a pieno titolo fra i migliori dal 1900, anno in cui andò in scena (14 gennaio), la prima rappresentazione al teatro Costanzi di Roma, ad oggi, e il pittore barese Giovanni Gasparro, classe 1983, che al meglio ha reso vive, intense e spettacolari le scene, utilizzando nei tre atti dell’opera anche i suoi stessi quadri.

 

Maestro, finalmente un’opera lirica che viene realizzata secondo i criteri del suo autore, in questo caso Giacomo Puccini con la sua «Tosca», dove Lei ha interpretato al Teatro Coccia di Novara un Mario Cavaradossi magistrale. Pubblico e critica hanno più che applaudito e gradito questa formula che ha rispettato i canoni dell’opera originale, del bello e quindi del buon gusto. C’è la speranza, dunque, ad un ritorno al reale dell’Opera lirica senza alternative stravaganti e fuori luogo, pauperismi e soggettive interpretazioni, talvolta schizofreniche?

Questo felice allestimento di Tosca é sì ascrivibile alla tradizione, ma in una concezione moderna e dinamica che regala allo spettatore una visione di insieme che ha saputo coniugare una gestualità teatrale moderna ad un contesto scenografico tradizionale. Io non divido le regie in tradizionali o moderne, le divido fra belle e brutte. Non disdegno un coerente pensiero che renda più moderno un allestimento, ma il rispetto del contesto e del libretto devono essere alla base del lavoro da fare con gli artisti sul palcoscenico. Tosca, come molte opere, non si presta a particolari trasposizioni dato che cita storicamente un fatto, ha una durata temporale precisa e tratta di argomenti e persone realmente esistite. La modernità del teatro sta nella recitazione credibile degli artisti in scena al di là dell’allestimento, certo preferibile al caro vecchio “piazzato concertante in costume” che rappresentava per molti la tradizione che dava priorità alla voce, spesso con connotazioni quasi circensi, ma che quasi mortificava quello che deve essere l’opera lirica, cioè teatro in musica.

 

Regia, canto, recitazione, scenografia, costumi sono stati armonicamente amalgamati, realizzando una «Tosca» straordinaria, che pure i giovani, come abbiamo avuto modo di sapere raccogliendone le impressioni, hanno apprezzato moltissimo. Potrebbe spiegare come si sente un artista quando tutto il contesto in cui dona la sua arte agli altri è pertinente a ciò che era in origine e che “ora” viene messo in scena? Al contrario, come si sente un artista quando molto viene stravolto rispetto ai desiderata dell’autore nel tentativo di “attualizzare” quella data opera?

Spesso capita di lavorare in contesti dove alcuni registi si prendono audacissime libertà di interpretazione del libretto, dell’opera, in virtù di un messaggio che vogliono passare al pubblico spesso abusando intellettualmente o forzando palesemente quello che é il messaggio dell’opera che si va a rappresentare. Per me non ce n’é bisogno, il messaggio di ogni opera é talmente forte che basta conoscerlo profondamente per capire che non serve forzare ulteriormente la mano. Per un artista é bello lavorare ad una idea, ed il regista deve essere bravo a sostenerla e giustificarla soprattutto se si concede qualche libertà interpretativa. Lavorare in un contesto di totale rispetto del libretto, della storia e del contesto di un’opera lirica é un piacere totale, ma vale anche per una ottima regia di stampo moderno ben sostenuta dalle idee. Quando, mio malgrado, mi trovo a lavorare in un contesto decontestualizzato allora faccio lavorare la mia fantasia; anche se dovessi trovarmi ad interpretare Cavaradossi in una discarica, per me starà sempre a Sant’Andrea della Valle a dipingere la Maddalena, a soffrire in Palazzo Farnese ed a morire a Castel Sant’Angelo. Quando mi scontro con una non idea registica, allora la regia la faccio nel mio cuore e nella mia voce, di quella rispondo e da li faccio nascere tutte le emozioni che il pubblico che viene a teatro merita.

 

Tosca di Giacomo Puccini, Luciano Ganci – Mario Cavaradossi, Teatro Coccia di Novara, Foto di Mario Finotti

 

Pannello esposto nel foyer del Teatro Coccia di Novara nei tre giorni in cui è andata in scena Tosca

 

Se dovesse spiegare a degli studenti chi è stato Giacomo Puccini che cosa direbbe essenzialmente?

Giacomo Puccini é stato uno dei più grandi operisti della storia! Rispetto ai grandi del passato come Verdi o Donizetti, Puccini può essere ascoltato anche senza cantanti, la sua musica é quasi cinematografica e mette la voce in un contesto quasi sinfonico, dove la stessa si fonde e viene sostenuta in un disegno talmente suggestivo che riesce a commuovere anche se non si capisce il testo che si sta cantando. E poi davvero disegnava con la musica, ci sono diversi esempi nelle sue opere di veri e propri disegni sullo spartito fatti con le note, davvero meravigliosi.

 

Non mi ha sorpreso quando ho saputo che Lei ha iniziato la Sua attività nel Coro della «Cappella Musicale Pontificia Sistina», allora diretta dal Maestro Domenico Bartolucci, che coinvolsi nel volume L’Arte di Dio. Sacri pensieri e profane idee» pubblicato con Cantagalli alcuni anni fa. Non mi ha sorpreso perché c’è qualcosa in Lei che rimanda alla visione verticale della vita e non materialmente orizzontale. Dalla Sua voce e dalla Sua interpretazione scaturisce la scintilla divina della vera Arte, quella che migliora le persone, che innalza e nobilita e che per forza di cose rimanda al trascendente, Dio Creatore. È sbagliata questa interpretazione?

Lei ha detto con meravigliose parole quello che io sintetizzo come “canto per servire”. Quando ero voce bianca e per una brevissima parentesi da adulto, ho servito la liturgia, la Chiesa, la fede ed il Papa con la mia voce, adesso servo il pubblico con lo stesso spirito di servizio. Per certi versi preferisco definirmi cantore piuttosto che cantante lirico, proprio perché con quel termine io indico chi canta per servire e non per essere servito.

 

Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, Luciano Ganci – Maurizio, foto: Andrea Ranzi (Casaluci Ranzi)

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Si potrebbe dire che Lei ha avuto una formazione umanistica grazie alla Sua passione musicale, ma contemporaneamente anche scientifica, visto che ha studiato da geometra e poi da ingegnere conseguendo la Laurea in urbanistica e pianificazione territoriale. Come è possibile conciliare le due cose nel tempo contemporaneo dove c’è molta, troppa, separazione fra la cultura classica, dai contenuti eterni, e scienza/tecnologia?

Penso che sia un luogo comune. Lo dico per esperienza diretta, ma anche osservando le persone con le quali ho lavorato ed anche i politici. La musica è ingegneria, la musica è matematica, la musica è fisica, la musica è economia la musica è tutto ciò che riguarda la vita: la musica è respiro. Se mette a confronto due professionisti, degli avvocati o dei commercialisti o anche dei politici, saprà distinguere chi ha avuto una preparazione musicale o sia semplicemente appassionato di musica perché in esso riscontrerà una apertura mentale diversa da chi non ha avuto questa fortuna. La musica è una vera e propria lingua, un modo di comunicare, ed in quanto tale apre la mente. Il canto è una vera e propria lingua, quella dell’anima, ed in quanto tale apre il cuore. La separazione fra le cose è fatta soltanto da chi si ferma ad una superficialità che presto o tardi lo lascerà da solo, e solo allora correrà ad abbracciare, anche solo in maniera amatoriale, una forma d’arte. Non penso esista qualcuno in grado di fare della propria vita un’esistenza senza arte.

 

Quando e come ha scoperto di avere un grande talento come tenore?

Come ho già detto, la musica è entrata a far parte della mia vita praticamente dalla nascita. Ero molto dotato come pianista e organista, non avevo nessuna intenzione di fare il cantante lirico! L’ho scoperto per caso, ed è stata la firma di un contratto che andrà ben oltre la mia vita dato che scoprire un talento vuol dire assumersi la responsabilità di coltivarlo, sacrificarsi per svilupparlo pur non tralasciando tutto il resto della vita che rende questo talento un talento unico, quindi la famiglia i figli e la normalità di una vita che va vissuta con semplicità.

 

Dove è avvenuto il Suo primo debutto teatrale?

Io metto il punto iniziale nel 2009 quando sono stato scritturato da cantante lirico professionista per un concerto diretto dal Maestro Claudio Scimone, anche se ho fatto molte esperienze prima di quella data. Fino ad oggi sono oltre quaranta i titoli debuttati, e spero di essere ancora all’inizio.

 

Aida di Giuseppe Verdi, Luciano Ganci – Radames, foto: Alfredo Tabocchini

 

Potrebbe parlarci delle Sue maggiori e più belle esperienze nei teatri a cui è finora approdato?

Beh Novara devo ammettere che merita un posto d’onore nei ricordi, soprattutto la recita domenicale[1] dove ho sentito finalmente un pubblico vivo ed attivo dopo questa pandemia. Ne ho fatte tante di esperienze, molte delle quali rocambolesche e all’ultimo minuto, tanto che per un periodo pensavo di chiamarmi Salvatore Ganci, non Luciano, dato che andavo a salvare le situazioni difficili. Il mio caro Maestro Otello Felici mi diceva sempre “devi essere ardito!” ed io ho preso alla lettera queste sue parole, spesso. Mi ricordo almeno quattro grandi “salvataggi” che mi sono capitati.

Il primo, oltre 10 anni fa, era a Trieste quando mi chiamarono per l’Amico Fritz chiedendomi se la sapevo ed io risposi di sì, ma in realtà non avevo nemmeno lo spartito; mi sono fatto prestare lo spartito e mentre andavo in teatro me lo studiavo. All’audizione ho chiesto di poter leggere perché “non mi ricordavo qualche passaggio” e alla fine oltre ad avermi scritturato mi hanno dato il primo cast. Dopo anni mi dissero che si erano accorti che stavo leggendo praticamente a prima vista e volevano vedere fin dove arrivassi, e sono arrivato in fondo. Questo è stato il primo di una lunga serie, mi ricordo a Firenze, a Salerno, e fra gli ultimi Martina Franca, Amsterdam e soprattutto alla Wiener Staatsoper con Adriana Lecouvreur.

 

A chi vanno i Suoi maggiori ringraziamenti per il percorso sino adesso tracciato?

Il mio percorso adesso conta diversi anni, e non posso non ringraziare la mia famiglia di origine, i miei maestri di quando ero fanciullo come il Maestro Bartolucci, Suor Domenica Mitaritonna, Padre Catena ma soprattutto Padre Raffaele Preite che mi avviò allo studio dell’organo. Successivamente, crescendo, ho incontrato Mirella Freni per qualche tempo alla quale devo la pazienza di attendere per non essere bruciato, il mio grande Maestro Otello Felici che mi ha lasciato da poco all’età di 98 anni, ma su tutti devo tanto anzi tutto a mia moglie Giorgia.

 

Nella Sua vita occupa uno spazio fondamentale la famiglia, come potrebbe definire questa Sua/Vostra Opera?

La mia giovane famiglia è tutto ciò che di bello posso avere. Non c’è teatro, palcoscenico od opera che superi la bellezza di questo meraviglioso dono. Non è facile per mia moglie Giorgia, che non smetterò mai di ringraziare, ma è una donna eccezionale e forte, che tiene le redini della famiglia quando non sono a casa. Il più grande sacrificio che richiede questa meravigliosa attività è fare a meno della mia famiglia e dei miei affetti. Quando sono a casa e stiamo tutti insieme, con Giorgia ed i nostri due bambini, Ludovico Maria e Giulio Enea, mi rendo conto che nessun compositore o artista ha saputo descrivere la bellezza di una famiglia come la mia, e di questo rendo grazie a Dio in ogni mio respiro.

 

Luciano Ganci, settembre 2021, foto: Roberto Autori (idem per la foto di copertina dell’intervista)

 

 

[1] Tanta è stata, in quell’occasione, la sintonia con il pubblico che, una volta terminata la romanza «E lucevan le stelle», a scena aperta, agli applausi scroscianti ed alle insistite richieste di bis, il tenore ha risposto cantando nuovamente da capo l’impegnativa aria.

 

 

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