Tre domenicani martiri, uccisi dai valdesi

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Il sangue per la Fede, speranza di una nuova Europa

Rubrica a cura di Arduinus Rex

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Un inquisitore barbaramente ucciso, se è un martire per la Chiesa cattolica, è considerato invece, dai più, la vittima di un fenomeno religioso, politico e sociale, circoscritto a un determinato periodo storico, di cui era evidentemente protagonista. Nati alla fine del XII secolo e, nel corso dei secoli, assai diversi nel loro funzionamento, a seconda degli stati in cui operavano, i tribunali inquisitori dovevano difendere la fede dalle eresie ma sovente erano strumentalizzati dai vari sovrani per il controllo del territorio. D’altra parte anche i protestanti attuarono un sistema di difesa del proprio credo religioso. I fatti sanguinosi che genericamente e superficialmente identificano l’inquisizione in realtà sono stati meno numerosi di ciò che si crede e comunque si devono valutare nel complesso contesto in cui avvennero. Secoli sono passati, oggi sono altre le eresie da arginare, resta però l’esempio di alcuni uomini che si sono immolati, senza compromessi, a difesa dei fondamenti della fede cattolica. I Domenicani, da sempre a capo dell’Inquisizione, spesso etichettati come intransigenti, pagarono in alcuni casi un tributo di sangue. Un pietra tombale sopra tutto ciò sembra essere stata posta mediante le aperture al mondo valdese sotto l’attuale pontificato. Fu proprio per mano valdese che in Piemonte tra il XIV ed il XV secolo morirono tre sacerdoti dell’Ordine dei Predicatori. La loro memoria liturgica comune è celebrata il 3 febbraio, mentre il Martirologio Romano li commemora nei rispettivi anniversari.

 

Pietro Cambiani da Ruffia

Ruffia, Cuneo, 1320 circa – Susa, Torino, 2 febbraio 1365

Il Beato Pietro Cambiani è il protomartire degli inquisitori piemontesi: al suo successore, Beato Antonio Pavoni, toccò la stessa sorte, la domenica in Albis del 1374 a Bricherasio, come pure al Beato Bartolomeo da Cervere nel 1466.
Pietro, di nobile famiglia, nacque a Ruffia (Cuneo), intorno all’anno 1320. A sedici anni abbandonò gli agi familiari per entrare tra i Domenicani di Savigliano dove studiò brillantemente la Sacra Scrittura, la Teologia e il Diritto. Eccellenti doti umane e dottrinarie gli valsero la fama di grande oratore. Ricercato per i preziosi consigli, il suo nome giunse a Roma, tanto che il Papa lo elesse, nel 1351, inquisitore generale per il Piemonte e la Liguria. Torino, che già assumeva le caratteristiche di una capitale, era la sede del tribunale e Pietro vi si stabilì. Nelle immediate vicinanze dell’antica chiesa di S. Domenico, aveva la sua dimora con annesse alcune stanze adibite a carcere speciale.
Il problema più grave per le gerarchie ecclesiastiche era rappresentato dai Valdesi. L’ispiratore era un mercante francese, Pietro Valdo, che nel 1173 aveva rinunciato ai suoi beni per praticare e predicare la povertà. Successivamente il movimento laicale, dividendosi in più correnti, conobbe un rapido sviluppo, raggiungendo anche alcune valli piemontesi. Nati pacificamente, i loro toni degenerarono in attacchi frontali all’autorità ecclesiastica, confutando il potere dei sacerdoti, l’utilità degli edifici di culto e delle indulgenze, negando la venerazione dei santi e il purgatorio. Il Beato Pietro, dotto in scienza e dottrina, conoscendo bene il territorio maggiormente esposto al pericolo, era stato appositamente scelto come inquisitore. Piissimo, zelante nel suo ufficio, instancabile, per quattordici anni operò a Torino, in cui aveva sede il tribunale, e nelle valli della regione. Si spostava a piedi per le strade di montagna, sopportando fatiche enormi. Vista la gravosità del compito, chiedeva forza al Signore, fortificando il proprio spirito con preghiere, penitenze e digiuni. Convertì molti eretici e preservò interi paesi dall’abiura, con un ardore e un impegno eccezionali che però furono causa di molte inimicizie.
Il 2 febbraio 1365, celebrata la Santa Messa della Presentazione del Signore nella chiesa francescana di Susa, due sconosciuti, probabilmente valdesi giunti dalle Valli di Lanzo, gli chiesero un colloquio appartato. Nel chiostro lo pugnalarono a morte per poi fuggire. L’omicidio suscitò grande emozione anche perché avvenuto in un edificio sacro, un vescovo dovette in seguito purificare il luogo del delitto. I Savoia, a una dura repressione, preferirono aumentare il presidio del territorio.
La fama del martirio di Pietro Cambiani fu tale che ne parlarono come cosa notissima Papa Gregorio XI nel 1375 e S. Vincenzo Ferreri nel 1403. Qualche tempo dopo la sua morte circolava un’incisione in cui gli assassini era effigiati come demoni. Il corpo rimase a Susa fino al 7 novembre 1516, quando fu traslato solennemente nella chiesa torinese di San Domenico. Fu posto in cornu evangeli con un affresco che lo ritraeva, poi scomparso. Oggi le reliquie sono venerate nella navata di sinistra. Papa Pio IX il 4 dicembre 1865, nel quinto centenario della morte, ne confermò il culto.

 

Antonio Pavoni

Savigliano, Cuneo, 1322/1325 – Bricherasio, Torino, 9 aprile 1374

Antonio Pavoni nacque a Savigliano nel 1325 ed entrò nel convento domenicano locale di San Domenico; vi sono incertezze sulla sua vita fino al 1365, quando fu nominato inquisitore generale per il Piemonte, succedendo al beato Pietro Cambiani suo concittadino.
In quell’epoca i Capitoli Generali domenicani richiedevano per questo delicato ufficio una preparazione teologica e tomista, di ubbidienza ai superiori e un adeguato zelo per l’unità della Fede. Queste qualità non mancavano a padre Antonio Pavoni, il quale si dedicò al compito arduo, tanto da porre spesso la propria vita in pericolo, la posizione geografica di Savigliano dove risiedeva, gli favoriva il rapporto con le valli di Pinerolo, centro dei seguaci della Chiesa Valdese.
Fu priore del convento per due volte nel 1368 e 1372; nel 1374, il vescovo di Torino, Giovanni Orsini gli affidò per la quaresima, una predicazione nei paesi situati all’imbocco della Val Pellice; dopo aver visitato Campiglione, Bibiana e Fenile si recò per la Pasqua a Bricherasio; nella successiva domenica in Albis 9 aprile, dopo aver celebrato la Messa e predicato in questa parrocchia, fu assalito da alcuni eretici nella piazza del paese e ucciso; tumulato a Savigliano, il suo corpo ebbe una prima traslazione nel 1468 e dal 1832 è conservato a Racconigi nella chiesa dell’Annunziat e di San Vincenzo Ferreri, meglio nota come San Domenico, attigua all’antico convento domenicano.
Fu dichiarato martire nel 1375 da papa Gregorio XI e proclamato Beato con la conferma dell’antico culto da papa Pio IX il 4 dicembre 1856.

 

Bartolomeo Cerveri

Savigliano, Cuneo, 1420 – Cervere, Cuneo, 21 aprile 1466

Bartolomeo Cerveri nacque nel 1420 a Savigliano da una nobile famiglia. Suo padre era infatti Signore di Cuffia, Cervere e Rosano. Bartolomeo entrò giovanissimo nella locale prioria domenicana e sin dal principio dimostrò grande impegno nell’apprendimento della scienza sacra e nell’esercizio delle virtù. Ordinato sacerdote nel 1445, venne allora mandato a proseguire la sua formazione presso l’Università degli Studi di Torino dove, caso unico negli annali della scuola, l’8 maggio 1452 conseguì contemporaneamente la licenza, il dottorato e l’assunzione a docente universitario. Per ben due volte venne eletto priore del convento di Savigliano, del quale fece ampliare la chiesa. Svolse con zelo questo compito, affiancandolo ad un’intensa attività di predicazione. Fu inoltre direttore dei monasteri femminili di Savigliano e di Revello. Nel 1451 venne poi nominato inquisitore della fede per il Piemonte e la Liguria, compito pericoloso dato l’elevato numero di eretici, ma dal quale ottenne buoni frutti con la parola e la fama di santità, piuttosto che con i discutibili metodi forti tipici a quel tempo.
La sua attività non tardò comunque ad attirargli l’odio degli eretici ed egli divenne consapevole di essere ormai chiamato a dare la vita per testimoniare la propria fede. Bartolomeo parve inoltre essere stato avvertito in modo soprannaturale della fine che lo attendeva, quando il 21 aprile 1466 si incamminò verso Cervere con i confratelli fra Giovanni Boscato e Gian Piero Riccardi per il consueto lavoro apostolico. Fece innanzitutto un’accurata e devota confessione ad uno dei confratelli e poi, quasi scherzando, gli confidò che quella sarebbe stata la prima ed ultima volta che si sarebbe recato a Cervere, di cui tra l’altro il suo casato portava il nome: “Mi chiamo Bartolomeo da Cervere e mai vi ho messo piede, oggi vi andrò come Inquisitore per lasciarvi la vita”. Lasciata dunque Bra, a circa un chilometro da Cervere presso un avvallamento, che poi prese il nome di “la cumba dla mort”, i tre religiosi vennero circondati da cinque uomini, che ferirono gravemente uno di loro e colpirono mortalmente al ventre Bartolomeo con vari colpi di lancia. Il terzo confratello riuscì invece fortunatamente a mettersi in salvo. Il martire spirò pregando per i suoi assassini.
Vari documenti attestano concordemente che alla sua morte seguirono parecchi fatti miracolosi. Si narra che al momento stesso dell’eccidio, i saviglianesi videro il sole verso oriente, cioè in direzione di Cervere, mentre essendo sul far della sera esso avrebbe dovuto ormai tramontare ad occidente. Sul luogo del delitto, ove in seguito fu edificata una cappella in suo onore, crebbe un albero i cui rami e le cui fronde assunsero la conformazione di una croce. Merita infine ricordare ancora un episodio inspiegabile, cioè che dal corpo del martire non fuoriuscì alcuna goccia di sangue sino a quando, quattro mesi dopo, i saviglianesi ed i domenicani giunsero nella chiesa di Cervere per riavere il suo corpo. Solo allora, dunque, fuoriuscirono rivoli di sangue dalle numerose ferite, tra lo stupore generale. Giunta a Savigliano, la salma fu sepolta con grandi onori, ottenne numerose grazie ed il martire iniziò ad essere invocato contro la folgore e la grandine. Nel 1802, con la soppressione del convento saviglianese, si rese necessario traslare nuovamente a Cervere le sue reliquie, ove ancora oggi riposano in un’urna sotto l’altar maggiore della chiesa parrocchiale.
Il pontefice Beato Pio IX il 22 settembre 1853 confermò il culto “ab immemorabili” tributato all’inquisitore piemontese.

 

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1 commento su “Tre domenicani martiri, uccisi dai valdesi”

  1. Grazie per l’analisi precisa e puntuale. Speriamo che sia l’inizio di una storia, da parte cattolica, della riforma protestante in Piemonte (ma soprattutto in provincia di Cuneo, rectius Marchesato di Saluzzo), che, fino ad ora, ha solamente trovato dei “cantori” di parte riformata (vedasi la celebrazione, tenutasi a Torino poco tempo fa, del “martire” Chiaffredo Varaglia da Busca o gli studi sugli insediamenti valdesi a Dronero ed in valle Maira). E’ tutta una materia che attende una sua ridefinizione con un inquadramento storico-dottrinale che ne metta in evidenza l’aspetto reale degli avvenimenti e dei protagonisti

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