Padre Louis-Pierre Barat, martire sotto la Rivoluzione francese per aver seguito l’Esercito Cattolico e Regio

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Nei giorni scorsi, l’11 gennaio, ricorreva l’anniversario dell’assassinio da parte della Repubblica Francese di padre Louis-Pierre Barat, avvenuto nel 1794.

Nacque e fu battezzato a La Chapelle-Saint-Florent il 27 giugno 1726. Dopo aver studiato in seminario, conseguì nel 1758 il dottorato in teologia all’Università di Angers. Dal 1762 e per quasi trent’anni vi fu professore. Allo stesso tempo, mantenne la cura pastorale di Épiré fino al 1766, quando il 2 agosto divenne canonico della chiesa di Saint-Martin. Il 15 novembre 1769 fu eletto all’Accademia di Angers, dove pronunciò l’elogio del re il 19 novembre 1783. Il 17 novembre 1784 fu nominato direttore.

Nel 1792 non subì la legge della deportazione dei sacerdoti perché aveva più di sessant’anni. Ma avendo rifiutato di prestare il giuramento costituzionale, fu rinchiuso nel seminario di Angers. In quanto sacerdote non giurato, il suo stipendio da prete fu abolito, le sue uniche risorse rimasero una piccola rendita su una piccola proprietà a Saint-Jean-de-la-Croix. Fu liberato dai Vandeani durante la presa della città di Angers il 18 giugno 1793.

A metà luglio, quando i Vandeani lasciarono Angers, rimase per qualche tempo in città, poi si ritirò presso uno dei suoi fratelli droghieri a Cholet, poi di lì a casa di suo padre a Chapelle-Saint-Florent, cercando invano di attraversare la Loira.

Uno dei suoi cugini gli fornì una barca e si rifugiò a Saint-Herblon, a Béligné, a Villemoisant, dormendo in locande e in piccoli poderi, poi a Louroux-Béconnais e Bécon, poi con un ex allievo, un mugnaio a Ingrandes, e finalmente si recò ad Angers per chiedere la sua reintegrazione nel convento della Rossignolerie, quando fu arrestato a Tranchandières, vicino a Saint-Lambert-la-Potherie.

Al momento del suo arresto non esercitava alcuna funzione ecclesiastica da quattro anni e aveva persino rifiutato ai Vandeani di celebrare una Messa a Cholet.

Rientrando a casa, le Guardie Repubblicane gli chiesero chi fosse, lui rispose che si chiamava Barat e che era un prete cattolico, apostolico e romano.

A queste parole sacerdotali fu subito arrestato e condotto in carcere. Fu portato poi davanti al Tribunale rivoluzionario il 7 gennaio 1794 e l’11 gennaio davanti alla Commissione militare per essere giudicato.

Ammise di non aver prestato e di rifiutare di prestare il giuramento prescritto dal 1791 dalla Costituzione Civile del Clero. Ammise anche di aver seguito l’Esercito Cattolico e Regio, perché era l’unico posto dove essere al sicuro.

Per queste risposte, fu condannato a morte e giustiziato lo stesso giorno, 11 gennaio 1793.

Andando all’esecuzione, si dimostrò degno della sua reputazione e un eroe della fede cattolica. Aveva sessantasette anni.

«La rivoluzione è stata fatta in definitiva dai ricchi e per i ricchi, contro i re e contro i poveri», ebbe ad affermare Donoso Cortés. Il Re Luigi XVI e suo figlio XVII sono stati infatti le vittime più eminenti di questa carneficina, martiri tra uno stuolo di martiri, tra cui l’innumerevole schiera di sacerdoti alle cui fila appartiene Louis-Pierre Barat.

La persecuzione religiosa subita dai francesi cattolici durante la Rivoluzione francese non ha equivalenti nella storia se non le grandi persecuzioni del XX secolo. Di esse la Rivoluzione francese è stata il modello. La persecuzione religiosa non fu solo persecuzione contro i religiosi, ma una rivolta contro il cristianesimo, con il preciso intento di scristianizzare la nazione francese. La maggioranza dei preti venne assassinata od espulsa, tutte le chiese furono chiuse per un anno e mezzo ed il loro patrimonio requisito ed incamerato, duecentocinquantamila vandeani furono massacrati perché volevano andare alla Messa e restare fedeli alla Chiesa ed al Papa.

Un martire è già stato dichiarato Santo, Fratel Salomone Laclerq dei Fratelli delle Scuole Cristiane, la cui canonizzazione è stata celebrata da Papa Francesco il 16 ottobre 2016. Ben 439 martiri sono già venerati come Beati, elevati agli onori degli altari in più riprese e da diversi Papi. Per altri 593 Servi di Dio sono in corsi i processi per il riconoscimento del martirio. Presso l’Arcidiocesi di Parigi, inoltre, è stata avviata la causa di beatificazione della principessa Elisabetta di Francia, nota come Madame Elisabeth, sorella del Re Luigi XVI. Per quest’ultimo, invece, purtroppo non è mai stata avviata ufficialmente la causa, nonostante Papa Pio VI con l’Allocuzione Quare lacrymae (Roma, 17 giugno 1793) avesse riconosciuto quale martirio la sua morte, al pari della regina scozzese Maria Stuarda.

Torna utile rileggere ad esattamente vent’anni di distanza le parole di monsignor Luigi Negri, che apparvero sul mensile Il Timone nel gennaio 2002:

«Un uomo che fa a meno di Dio, uno Stato che diventa totalitario, un odio sfrenato verso la religione cattolica e la monarchia, l’annientamento del passato e il culto della dea ragione: questi i capisaldi dell’evento preso a simbolo della nascita del mondo moderno.
La Rivoluzione francese è il primo radicale tentativo di costruire una società ed una struttura statale nell’orizzonte di quella cultura che si definisce “moderna”. Capisaldi di questa cultura sono: un uomo “senza Dio”, assolutamente autonomo ed autosufficiente che non ha bisogno di nessun riferimento religioso per conoscere la sua identità, i principi fondamentali del suo comportamento, le regole fondamentali della vita sociale. Si definisce questo mondo culturale anche come laicismo. Padre Cornelio Fabro raccoglieva l’essenza del laicismo in questa formula: “Dio se c’è, non c’entra”.
Il mondo moderno con la Rivoluzione francese ha dimostrato in modo gigantesco, negli sforzi e anche negli orrori, che era possibile creare una società e uno Stato secondo quella ragione illuministica, che è sostanzialmente una ragione scientifico-tecnologica. In particolare lo Stato costituisce l’obiettivo ultimo dello sforzo per razionalizzare la vita dell’uomo nella società. Lo Stato diviene dunque la realtà che raccoglie tutti i valori razionali, culturali ed etici: diviene dunque il vero fatto che dà valore totale alla persona ed alla società.
Si può anche dire che la Rivoluzione Francese sostituisce ad uno Stato che riconosce una dimensione religiosa della vita, uno Stato che si presenta come capace di totalizzare la società: uno stato “totalitario”, appunto. È ovvio che quindi non si è trattato di una evoluzione di pezzi della società precedente, richiesta dall’apparire di nuove esigenze, di nuovi problemi, di nuove sfide. La società precedente aveva vissuto momenti di riforma parziale che l’avevano, in qualche modo, adeguata progressivamente alla evoluzione di tempi e problemi.
La Rivoluzione francese invece crea un mondo nuovo: in tanto il mondo nuovo si può costruire se si distrugge il mondo del passato. Il mondo del passato (l’Ancìen Regime) è considerato dai rivoluzionari francesi come l’insieme di tutti gli errori teorici e politici, di tutte le ingiustizie personali e sociali, di quella profonda alienazione da cui appunto ‘uomo doveva essere liberato per l’esercizio di quello che gli illuministi avevano chiamato “il lume della ragione”. La Rivoluzione francese ha innegabilmente al cuore una forza eversiva del passato: il passato deve essere distrutto, addirittura nella sua consistenza materiale, nella realtà delle sue istituzioni e dei suoi costumi, nelle grandi espressioni culturali, artistiche e poetiche: perché tutto nel passato grida lacrime e sangue e l’uomo invece non deve più soffrire
».

 

 

 

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