I due magnifici amboni della Cattedrale di Salerno

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La cattedrale di Salerno, intitolata a S. Maria degli Angeli, San Matteo e San Gregorio VII, conserva tracce importantissime della sua storia millenaria, infatti elementi romanici, arabo-normanni, bizantini coesistono insieme agli elementi barocchi del primo grande restauro e a quelli settecenteschi successivi alla ricostruzione dopo il terremoto del 1688.

La chiesa riedificata sulle rovine di una chiesa paleocristiana fu consacrata nel 1084 da Papa Gregorio VII. Lo stile architettonico originario era dunque romanico, la facciata attuale e la scalinata annessa sono di molto successive, del prospetto originale rimane però il portale detto porta dei leoni, per le sculture ai lati degli stipiti di un leone e una leonessa che allatta il suo cucciolo, ed un interessante architrave con un fregio in bassorilievo con tralci, uccelli, una scimmia, un altro leone. Questo monumentale ingresso, che immette al quadriportico e poi alla chiesa, è il primo segno superstite di quel mondo creativo medievale che è ancora presente in cattedrale nelle sculture e nei bassorilievi dove animali fantastici si   intrecciano in ghirigori surreali, e che danno vita a scene rese ancora più misteriose dal logorio e dalla consunzione del tempo.

Molto di quello che si trova in questa chiesa meriterebbe un approfondimento per l’importanza eccezionale che riveste per la storia dell’architettura sacra, ma i due amboni/pulpiti nella navata centrale restituiscono più fortemente di altro quella porzione di Bellezza dell’architettura originale, un vero capolavoro di architettura romanica.

Questi due amboni sono sorretti da colonne con capitelli figurati, quello di sinistra (a cornu evangelii) è detto ambone di Guarna (1163 -1180) (donato dall’arcivescovo Romualdo Guarna) a cassa quadrangolare con lettorino sporgente, quello di destra (a cornu epistulae), di qualche decennio più tardo, è detto ambone D’Aiello (donato dalla famiglia dell’arcivescovo Niccolò D’aiello) ed è molto più grande, di pianta rettangolare, retto da dodici colonne.

L’ambone più piccolo ha quattro magnifici capitelli dove sono rappresentate figure femminili, maschili, fantastiche, intrecciate a elementi naturalistici, non sono usuali perché realizzati quasi a tutto tondo. L’intero pulpito è in marmo bianco intarsiato di bellissimi mosaici di paste vitree e oro zecchino, e finemente decorato ovunque, persino sotto la base del lettorino, dove vi è rappresentata la testa di Abbisso. È una pregevole armonia di colori, geometrie e chiaroscuri.

Il secondo ambone corrisponde al primo con le medesime articolate e raffinatissime decorazioni in mosaico geometrico di stile bizantino su fondo marmoreo bianco, anche queste ricche e brillanti di oro. Lo stile dei bassorilievi e dei capitelli però è di carattere più nordico, tipo francese o tedesco, ma c’è comunque una continuità e un’affinità stilistica. Questo ambone ha due lettorini: uno rivolto verso il presbiterio sorretto da due giovani che appoggiano su due leoni, e uno centrale che affaccia sulla navata.

Sotto il leggio sorretto dalle ali di un’aquila, a tagliare a metà il prospetto dell’ambone, c’è una scena drammatica sviluppata in verticale: l’aquila artiglia la testa di un uomo che cerca di allontanare da se un serpente che lo ha già avvolto e minaccia di morderlo sul petto e sotto i suoi piedi un orso azzanna un vitello.

La lettura, che deve avvenire dal basso verso l’alto, ricordava all’uomo medievale che ascoltava e vedeva il predicatore poco al di sopra di questa scena di pietra, che l’uomo si trova in bilico per la lotta continua tra la natura selvaggia non domata (l’orso) e la natura domata dall’uomo (rappresentata da un animale domestico e docile), e che il mondo selvaggio (il serpente) può prendere il sopravvento e aggredire per uccidere! Il mondo del mistero, dell’inaccessibile, dell’indomabile, che attanaglia l’uomo nel peccato lo chiama ad essere vigile e forte nella continua lotta contro il male, perché fuori dalla retta via, indicata dal Vangelo, predicata e declamata in chiesa c’è solo la perdizione, la morte, la sofferenza.

Le parole e le immagini insegnavano e ammonivano nello stesso tempo, in quegli uomini che fondevano l’esperienza della vita nella chiesa con l’esperienza della vita quotidiana in un messaggio straordinariamente potente.

Il potere immaginifico di quelle menti, quella cultura del fantastico dai colori drammatici si è irrimediabilmente persa, ma anche ai nostri occhi ormai disincantati rimane la potenza inspiegabile di quel messaggio di fede espresso nell’elegante bellezza di queste opere d’arte.

 

 

 

 

 

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