Ogni giorno ci viene detto di pregare per la pace… ma è laica retorica

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Da diversi anni siamo abituati a sentire papi e vescovi che ci invitano a pregare per la pace tra le nazioni, a volte anche organizzando scenari suggestivi di rappresentanti delle altre religioni che vengono invitati a costosi meeting, regolarmente ripresi e pubblicizzati in televisione. Tutti devono pregare Dio (o le loro divinità, in caso di altre religioni) per ottenere il bene supremo, che è appunto la pace. Ma questo è proprio quello che nel Vangelo nostro Signore Gesù Cristo ha detto che non sarà, che non avverrà mai. Lo afferma con molta precisione: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione» (Lc 12,51). Nel parallelo del Vangelo di Matteo si parla addirittura di una spada portata dal Signore stesso: «Non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,34). Se Gesù è così chiaro, non vi sembra che pregare per la pace del mondo sia andare contro alla sua dichiarazione, quindi in sostanza disobbedirgli?

Se le parole hanno un senso, se la traduzione in lingua italiana è corretta, ad uno che dice: “non sono venuto a portare la pace”, perché devo chiedergli proprio la pace? Non sembrerà questa, se non una presa in giro, almeno una cosa totalmente inutile? Di fatto lo vediamo: si prega per la pace, ma le guerre continuano tranquillamente.

Dio non interviene per il semplice fatto che ha detto che non è venuto nel mondo per portare la pace tra i popoli. Sembra così chiaro, lineare, facile da intendere…! Eppure no: vedrete che anche domani o dopodomani qualche vescovo o parroco organizzerà un convengo per parlare di pace o chiederà che si facciano preghiere per ottenere la pace. Non c’è nulla da fare: occorre che Dio faccia quello che vogliamo noi, anche se ci ha detto espressamente che fa tutto tranne che una cosa, quella appunto di portare la pace, dal momento che si presenta con la spada.

Nella mentalità moderna, la pace tra le nazioni sembra il fine ultimo da ottenere a tutti i costi, tanto che capi della Chiesa ogni tanto convocano membri di altre religioni, ai quali viene chiesto di pregare le loro divinità affinché appunto si ottenga quello che anche tutte le altre divinità evidentemente vogliono, ossia l’assenza di guerre nel mondo. Non ho idea se Visnù o Aura-Mazda, Budda o Ramakrisna o Hallà abbiano mai promesso nei loro testi sacri ai loro adepti la pace nel mondo, se ne abbiano mai trattato con loro, se vi siano delle indicazioni precise, ma a prescindere da questo, di sicuro la cosa importante da fare, da parte del Papa o dei vescovi, quando vengono questi capi di altre religioni, sarebbe quella non di invitarli a pregare i lori dei, quanto di dire loro che essi nemmeno esistono, quindi è inutile che li preghino. Fece così anche Elia un giorno in cui si confrontò con i capi della religione di Baal: davanti alle loro preghiere egli fece presente che Baal non poteva intervenire semplicemente perché non esisteva.

Come è possibile per un cristiano invitare un uomo di un’altra religione a pregare la sua divinità che nemmeno esiste? Budda era un semplice uomo, le religioni asiatiche sono atee e naturaliste, Hallà è una invenzione di Maometto… Non dovremmo piuttosto avvertirli che, a prescindere dal tema della pace, è inutile che preghino comunque, perché chi sta di là non ascolta, perché non c’è?

Diverso sarebbe il discorso nei riguardi dell’ebraismo, perché il Dio di Israele ha parlato, e ha parlato anche di pace futura, soprattutto negli oracoli di Isaia e nei Salmi. Il Dio di Israele esiste, perché è il Dio unico – anche se Israele rifiuta che sia il Padre di Gesù Cristo – e sarebbe anche interessante sapere in che cosa crede realmente il rabbino invitato a pregare per la pace. Il discorso è lungo e non è questa la sede per affrontare l’importante discorso della pace escatologica di cui parlano gli oracoli di Isaia («Il lupo pascolerà con l’agnello, il bambino metterà la mano nella buca del serpente, ecc.»); certamente qui ci sono delle promesse autentiche, anche se l’interpretazione dei rabbini è probabilmente troppo letterale, umana, storica. In ogni maniera, anche se si deve attendere secondo loro un messianismo visibile, temporale, per ora non si è visto nulla di questa pace concreta, umana. E comunque per noi rimane la parola del Cristo: «Credete che sia venuto a portare la pace? No, vi dico».

Ma allora, non possiamo fare niente di fronte alle guerre? Dobbiamo fatalmente tenere le braccia incrociate, non dire nulla, non fare nulla? Niente affatto. Per ottenere la pace di cui parla la lettera agli Efesini (Ef 2,14-18), per ottenere la pace di cui parla Cristo («Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14, 27), occorre convertirsi. Piaccia o non piaccia, la guerra ha sempre una relazione con il peccato, quindi finché c’è il peccato nel mondo ci saranno sempre le guerre. Nel Magistero della Chiesa di sempre e nelle apparizioni mariane degli ultimi secoli, sempre la guerra è considerata un castigo, conseguenza dei peccati degli uomini, quindi per eliminare le guerre occorre togliere prima i peccati. Non quelli del presidente della tal nazione in capo al mondo, del capo dell’esercito di tal altra, dell’uomo politico caio o sempronio o di chicchessia, ma i miei personali.

Io tolgo i miei peccati e cerco di vivere in grazia di Dio, tu togli i tuoi e vivi in grazia di Dio, la nonna, la cugina, il cognato fanno lo stesso, il vicino di casa idem, e così via via tutti gli altri. Allora sì che ci sarà la pace. A iniziare magari dal condominio, se tutti i condomini credono in questo processo di conversione personale; per poi allargarsi al quartiere, poi alla città, poi al mondo intero. Se noi ci convertiamo, le cose nel mondo miglioreranno, perché avremmo agito sulle cause e non sugli effetti. Allora si può realizzare veramente quanto descrive l’apostolo Paolo, che vede nel Cristo la nostra pace, colui che ha «annullato, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e decreti, per creare in se stesso dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo per mezzo della sua croce, distruggendo in sé stesso l’inimicizia» (Ef 2,15-17). Qui viene tracciato il percorso: Gesù ha distrutto in sé stesso l’inimicizia. Attenzione, non possiamo quindi cercare fuori dal Corpo di Cristo l’unione delle parti. Egli ha fatto la pace tra Dio e gli uomini per mezzo della croce, non con le parole o con le preghiere. Non si può pertanto parlare di pace senza considerare la Croce di Cristo, perché è lì che avviene la pace. Quello è il luogo teologico della riconciliazione e della pace. Ma per accedere a questo mezzo occorre convertirsi, non fare più peccati. Quindi alla fine la pace tra le nazioni si può anche ottenere, come spiega la Vergine Maria nelle varie apparizioni, cominciando a non commettere più peccati, a non bestemmiare, a rispettare il matrimonio, ad andare a Messa alla domenica (a La Salette dice proprio questo), a non odiare nessuno. Le facciamo noi queste cose? Le fanno i nostri parenti, i nostri condòmini, i nostri giovani, gli uomini e le donne della nostra città? No, non lo fanno. Allora preferiamo chiedere ai buddisti di pregare Budda per la pace, e se preghiamo noi preferiamo chiedere a Dio quello che sappiamo non ci darà, una pace senza conversione.

Un’altra annotazione: e se la pace poi venisse concessa? Se nel mondo non ci fossero scontri tra una nazione e l’altra? Che cosa succederebbe? L’uomo sarebbe finalmente felice e realizzato? Se vi fosse assenza di conflitti con aerei e bombe, ma continuassero aborti, divorzi, eutanasie, disordini morali, corruzione delle coscienze, eccetera, che cosa cambierebbe ai fini della vita eterna? Anche questa semplice considerazione ci porta a rinunciare a perdere tempo con le preghiere inutili.

Il vero processo, la vera vita, è la conversione. Non di altri, ma la mia. Ciò che conta è la mia vita di penitenza, perché il cristianesimo tiene in mano le sorti del mondo, ma il cristianesimo è vita di Cristo nel cuore degli uomini, e Dio non sta in cuori inquinati. La conversione è la salvezza del mondo, perché Dio continua la sua opera di Salvatore attraverso la Chiesa, i sacramenti e attraverso coloro che portano degnamente il nome di cristiani, fossero anche persone sconosciute a tutti, umili e nascoste, che amano il Signore Gesù e sanno che senza la sua croce ogni altro discorso è inutile. Ave crux, spes unica, canta la liturgia della Chiesa. Non c’è nulla da fare: solo quella salva. Tra noi e il mondo sta la Croce di Cristo. Scriveva il grande Domenico Giuliotti: «Nessuno di noi, da tempo, crede più nelle ‘sacre parole’ progresso, libertà, umanità, fratellanza, uguaglianza, ecc. Crediamo nel sì e nel no. In Dio e, per conseguenza, nel diavolo. Il sì è la Chiesa cattolica, apostolica, romana».

 

 

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