L’ultima rivolta degli «zoccoli» in Valle d’Aosta

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Secondo un antico detto, riferito dall’abbé Henry nella sua storia della Val d’Aosta (1929), i valdostani sono (o, quanto meno, furono) «…plus royalistes que le Roi et plus papalins que le Pape». Pare che ciò già si dicesse in tempi remoti, ma l’affermazione divenne più vera e concreta dopo le tre rivolte dette «degli Zoccoli». Tra fine ‘700 e l’inizio del secolo seguente, le due prime rivolte (la cui denominazione derivava dagli zoccoli calzati dagli insorti) si rivolsero contro il dominio franco-giacobino: se ne parlerà in dettaglio anche in un prossimo articolo su “Europa Cristiana”, mettendo a fuoco anche l’ampia partecipazione delle popolazioni canavesane e le ritorsioni da esse subite. La terza, risalente alla metà dell’800, fu posta in atto contro il nuovo corso della politica sarda. Il programma dei rivoltosi era riassunto dal loro grido di battaglia: «Viva il Re! Tornino le feste religiose abolite! Abbasso la Costituzione, le imposte, il tricolore!». Nemici degli «Zoccoli» questa volta non erano gli invasori giacobini ma un sistema politico che, in qualche misura, ne aveva metabolizzato o accolto gli orientamenti e le eredità; erano lo statuto del 1848, i liberali di Cavour, la politica anticlericale e il crescendo delle imposte (proprio della invadenza degli Stati contemporanei e della potenziata capacità di controllo e drenaggio dei tributi) che dilatava gli effetti di una seria crisi economica.

Vignetta satirica apparsa il 24 febbraio 1853 su «Il Fischietto» e riferita alle nuove tasse introdotte dal governo Cavour per risanare il bilancio

 

La scintilla partì da Champorcher, la piccola Vandea valdostana. All’uscita della messa grande del Natale 1853, cui gli abitanti avevano partecipato al gran completo, si diffuse la notizia che sarebbe stata imposta una nuova tassa personale e mobiliare. Mentre la folla già rumoreggiava irritata, vi fu chi la eccitò ulteriormente, invitandola alla protesta. Si decise di andare ad Aosta per riunirsi alle popolazioni dell’alta valle e scendere in massa a Torino.

Il 26 dicembre gli uomini di Champorcher si svegliarono di buon’ora e partirono per il capoluogo. Di paese in paese il loro numero si accrebbe. Il 28, all’imbrunire, una folla tumultuante di non meno di 3000 uomini giungeva in vista delle mura aostane. La città si mise sulla difensiva schierando la guardia nazionale, veterani, carabinieri e doganieri molti dei quali, peraltro, guardavano ai manifestanti con simpatia.

L’intendente Racca, il sindaco Favre ed altri si recarono a parlamentare con i rappresentanti degli «Zoccoli». I montanari compresero che le autorità aostane poco avrebbero potuto fare, se anche lo avessero voluto, per cambiare il corso degli eventi ma la situazione rimaneva tesa. L’intervento del sindaco di Aosta, Favre, un anticlericale inviso ai manifestanti, rischiò di esasperare ancor di più gli animi; solo grazie alla mediazione del vicario capitolare Jans e del consigliere Crotti di Costigliole, si giunse ad un accordo, in seguito al quale la maggior parte degli insorti tornò sui suoi passi. Allo scopo di mantenere ancora per qualche tempo l’attenzione sulle loro rivendicazioni numerosi «Zoccoli», deposte le armi nella cappella di San Rocco, decisero di passare la notte in Aosta. L’intendente aveva promesso loro un’accoglienza amichevole e viveri ma appena entrati in città i manifestanti si resero conto di essere prigionieri.

 

La chiesa parrocchiale di San Nicola,  Champorcher (Valle d’Aosta)

 

Nonostante la rivolta fosse stata quasi del tutto esente da episodi di violenza furono arrestati 532 insorti, tra i quali alcuni preti. Il partito anticlericale amplificò a più non posso la portata del moto e ne esagerò la pericolosità, mentre si diceva che il governo liberale volesse una condanna esemplare dei coinvolti. Prima che si giungesse al processo, iniziato nel gennaio del 1855 a Torino, molti furono liberati ma restarono inquisite ancora 104 persone, 78 incarcerate e 26 in contumacia. La maggior parte dei processati erano agricoltori, con loro quattro preti, due maestri di scuola, un sindaco, vari consiglieri comunali. Il tribunale non si lasciò influenzare dalle pressioni politiche che volevano punire a priori questo moto “reazionario” e ridimensionò con la sentenza la gravità dei fatti. Solo nove persone furono condannate per reati commessi durante i moti, tutti gli altri ottennero l’assoluzione.

Nel frattempo i piemontesi, valdostani e nizzardi dimostrarono solidarietà con gli «Zoccoli», rispondendo generosamente a una sottoscrizione promossa dai giornali L’Armonia di Torino e La Verità di Nizza, grazie alla quale furono distribuiti importanti aiuti agli agricoltori e montanari che la carcerazione aveva reso indigenti o bisognosi e alle loro famiglie.

 

 

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