Articoli precedenti:
Primo: La tolleranza religiosa – I
Secondo: La tolleranza religiosa – II
Terzo: La tolleranza religiosa – III
Quarto: La tolleranza religiosa – IV
I rapporti tra Giudaismo e Cristianesimo sono, fin dalle origini della Chiesa, conflittuali; come abbiamo detto (qui) la Sposa di Cristo soffre la prima persecuzione proprio per mano delle autorità giudaiche. A dire il vero, questa persecuzione non ebbe la sistematicità di quelle che i cristiani avrebbero patito, di lì a pochi anni, ad opera dei romani: si trattò di numerosi ed estesi atti di aggressione nei confronti dei seguaci di Gesù, interpretati come zelo religioso; si pensi, ad esempio, a San Paolo, prima della conversione, che, nel fervore farisaico, partecipò, almeno, al martirio di Santo Stefano. «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio»[1].
Questa persecuzione ebbe l’effetto pratico di allontanare i cristiani dal mondo ebraico e di portarli a rifugiarsi tra i pagani. Ciò diminuì moltissimo le conversioni tra gli ebrei, aumentando, però, moltissimo quelle tra i gentili. Il Giudaismo nasce dal rifiuto di Nostro Signore Gesù Cristo e, conseguentemente, vede nei cristiani il primo e mortale nemico; di qui la persecuzione e l’espulsione dei cristiani dal popolo ebraico. Più ancora della persecuzione, fu l’escludere i cristiani di stirpe ebraica dal novero degli ebrei, intesi come nazione, a creare un solco tra questi ed i seguaci del Messia, sprezzantemente definiti «nazareni»[2].
Il Giudaismo apportò una trasformazione ed un mutamento nel modo stesso di concepire il popolo ebraico. Già prima dell’avvento di nostro Signore Gesù Cristo, il rapporto tra aspetto religioso e l’appartenenza alla nazione di Abramo era abbastanza stretto, tanto che i seguaci di dottrine ritenute devianti, come, ad esempio, i samaritani e gli esseni, si trovavano in una zona grigia e la loro ebraicità era ritenuta dubbia o, almeno, imperfetta. Ma è con il Giudaismo che si assiste ad una vera e propria sovrapposizione tra elemento religioso ed elemento nazionale: tutti coloro che vengono definiti dalle autorità religiose giudaiche minim, vale a dire eretici, cessano ipso facto di venire considerati appartenenti al popolo ebraico e, se di stirpe ebraica, divengono “traditori” del popolo stesso; tra loro, i nozrim (nazareni), come abbiamo visto (qui), occupano il posto peggiore.
La reciproca ostilità tra cristiani e i seguaci del Giudaismo, quindi, assume un aspetto asimmetrico: per i primi è uno scontro unicamente religioso, mentre per i secondi è anche uno scontro nazionale.
Per i cristiani, ovviamente, la questione della stirpe è assolutamente superata, essendo entrati, con l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’era messianica: «non c’è distinzione fra Giudeo e Greco»[3].
Per i seguaci del Giudaismo, invece, il rifiuto di Gesù comporta, ovviamente, anche il misconoscimento dell’inizio dell’era messianica, con conseguente permanere del privilegio di elezione per il popolo ebraico, rispetto a tutte le altre stirpi. Ammettere come parte del popolo eletto i cristiani avrebbe voluto dire condividere il suddetto privilegio d’elezione con chi lo riconosce come già superato. È, quindi, facile comprendere come lo scontro religioso acquisisca anche i caratteri dello scontro nazionale e come l’esclusione dal popolo ebraico venga considerata, dalle autorità religiose giudaiche, come un’arma preziosa, capace, ai loro occhi, di annientare la Chiesa nascente: i cristiani non avrebbero fatto conversioni tra gli ebrei, vista la loro esclusione, e non si sarebbero potuti diffondere fra i gentili, data la larghissima diffusione dell’antisemitismo nel mondo antico, antisemitismo che avrebbe fatto considerare molto disdicevole, soprattutto tra i romani, l’aderire ad una religione “ebraica”.
Il disegno fallì clamorosamente e, in maniera paradossale, ma non troppo, proprio questa esclusione dal popolo ebraico contribuì a dare carattere universale (cattolico) alla Chiesa, poiché fu uno dei fattori che la spinse a fare ciò che le autorità giudaiche non ritenevano possibile, vale a dire convertire masse crescenti di pagani, soprattutto romani e greci.
Per antisemitismo deve intendersi l’ostilità ed il disprezzo nei confronti degli ebrei basato su motivazioni tipo lato sensu razziali. Esso, ovviamente, a vari gradi di intensità e di pretesa “scientificità”. L’antisemitismo antico è assolutamente diverso da quello contemporaneo, che, a partire dall’Illuminismo e, in particolare, da François-Marie Arouet (1694-1778), detto Voltaire, giunge fino alle teorizzazioni novecentesche ed al genocidio nazionalsocialista, argomento di cui tratteremo, a Dio piacendo, quando affronteremo il cosiddetto «pensiero moderno»; l’antisemitismo antico non risente delle dottrine biologiste e non giunge mai a teorizzare lo sterminio degli ebrei fine a se stesso o l’odio nei loro confronti come virtù morale positiva.
Tutto il mondo antico e, in modo particolare, quello romano sono intrisi di questo antisemitismo, tanto a livello popolare, quanto a livello di classi colte. Si pensi, a titolo di esempio, al Libro V delle «Historiae» (110) di Publio Cornelio Tacito (55/58-117/120), nel quale sono raccolti alcuni dei pregiudizi anti-ebraici più diffusi all’epoca e che saranno, poi, ripresi ed irrigiditi, dandone un’interpretazione “scientifica”, mentre, nel testo in parola, hanno prevalentemente un significato culturale.
Le tesi di Tacito e del mondo romano erano, dove più dove meno, condivise da tutti i popoli che si affacciavano sul Mediterraneo. Discorso completamente diverso vale, invece, per la Persia, che ha sempre mantenuto una posizione molto favorevole nei confronti degli ebrei, almeno a partire dalla fine (538 a.C.) della seconda deportazione babilonese (587 a.C.), ad opera di Ciro il Grande (590-530 a.C.).
L’ostilità anti-ebraica romana coinvolse anche i primi cristiani, visto che si basava gestioni legate al popolo e non direttamente alla religione, che, però, entrava, sia pur marginalmente, tra gli argomenti polemici; su questo fronte, in particolare, veniva condannato il monoteismo, che, ovviamente, accomunava cristiani e seguaci del Giudaismo. La disputa tra loro sulla risurrezione e, conseguentemente, sulla divinità di Nostro Signore Gesù Cristo non è mai considerata degna di particolare attenzione dai romani.
Lo scontro tra chi riconosceva la divina messianicità di Gesù e chi la rifiutava si pose, fin dall’inizio, su un piano completamente diverso, rispetto a quello che contrapponeva gli ebrei a tutti gli altri popoli del Mediterraneo. Tanto da parte giudaica, quanto da parte cristiana, ovviamente, veniva respinto tutto l’antisemitismo antico, che accomunava, nella condanna, entrambe le parti. L’esecrazione cristiana del Giudaismo si poneva, quindi, su un piano puramente religioso e, come tale, nulla aveva a che spartire con l’antisemitismo antico, come vedremo nel prossimo articolo, trattando dell’anti-giudaismo.
(5 – continua)
[1] Gv 16,2.
[2] Questa definizione deriva dal fatto che essi seguivano Gesù di Nazaret.
[3] Rm 10,12.