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Il Cristianesimo è aggredito, fin dal I secolo, dal sorgere, al suo interno, di eresie[1]; le eresie, infatti, rappresentano una delle più temibili forme di aggressione nei confronti della Fede e della Chiesa. Il Cristianesimo è una religione rivelata[2], in quanto la Seconda Persona della Santissima Trinità si è incarnata in Gesù, che ha rivelato tutto ciò che gli uomini possono comprendere della natura di Dio, dei Suoi rapporti con l’uomo e, conseguentemente, della natura umana; tale rivelazione comprende, ovviamente, anche tutto quanto lo Spirito Santo ha fatto sapere alla Chiesa, fino alla morte di San Giovanni Evangelista (6-100), che chiude definitivamente la Rivelazione: «Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà»[3]. Ne dovrebbe conseguire logicamente che tutti coloro che si dichiarano seguaci Nostro Signore Gesù Cristo professino il medesimo credo, vale a dire ripetano e ribadiscano ciò che il divino Maestro ha insegnato.
La presenza di qualcuno che si dichiari cristiano e, al tempo stesso, neghi, anche solo in parte, la Rivelazione crea un’intima contraddizione tra la dottrina e la prassi: se Dio ha parlato ed ha detto delle cose precise, come è possibile che alcuni di coloro che lo credono affermino cose, almeno parzialmente, diverse? E, ancora, a chi credere e per quali motivi?
Il fatto che qualcuno possa negare parte della Rivelazione è una delle tante dolorose prove del dogma del peccato originale: esso produce, ci insegna la Chiesa, obnubilamento della ragione ed infiacchimento della volontà. L’indebolirsi della volontà permette all’orgoglio di crescere, fino al punto da minare lo spirito di sottomissione, per lasciare spazio a quello di autodeterminazione; questo abbandonarsi alle proprie brame di autoaffermazione porta ad un’ulteriore eclissi della ragione, che si lascia dominare dalla volontà, che riprende vigore, ma non più soggetta alla ragione, quanto agli istinti e, nel caso di specie, all’orgoglio. Questo processo porta la volontà, ormai svincolata dalla ragione, ad indurre quest’ultima a non ricercare più il vero, ma il piacevole e/o l’utile. Così, per affermare i propri istinti o, anche solo, «per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole»[4]. Ecco come nascono le eresie: l’eresia è sempre frutto di irrazionalità.
L’analisi del sorgere dell’eresia rende più facile rispondere alla seconda domanda: è nella verità chi ribadisce razionalmente l’impossibilità per Dio di contraddirsi e, conseguentemente, l’irrazionale falsità di ogni innovazione; razionale e, quindi, vera è solo la Tradizione, come dice San Paolo: «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema[5]!»[6].
Le parole di San Paolo suonano, sia detto per inciso, come una durissima condanna dell’idea di ecumenismo[7], per non parlare del cosiddetto «dialogo inter-religioso»[8]. La purezza della Fede e la correttezza del suo contenuto sono, nella Scrittura, prioritarie rispetto a qualunque desiderio di unità e/o di pace; la pace e, a maggior ragione, l’unità discendono dall’accettazione delle verità cristiane e, soprattutto, dall’applicazione dei principi e delle norme di morale che ne conseguono; non può esserci, da parte del cristiano, nessun tipo di approvazione o, anche solo, di legittimazione dell’errore.
L’eresia viene trattata dai cristiani con estrema durezza, soprattutto nei primi tre secoli, vale a dire prima dell’editto di Milano (febbraio 313). Proprio nel momento di maggiore debolezza politica, vale a dire quando tutte le circostanze esterne paiono congiurare contro la sua sopravvivenza, la Chiesa sceglie di tenere un approccio particolarmente rigoroso dal punto di vista dottrinale. Potrebbe apparire un controsenso o, nella migliore delle ipotesi, un estremismo, destinato a ridurre ulteriormente le sue già scarse possibilità (umane) di non venire spazzata via dalla faccia della terra, ma la Storia ha dimostrato che, a dispetto della nostra “saggezza” contemporanea, questo comportamento ha contribuito alla sopravvivenza ed al trionfo, anche politico, della Sposa di Cristo.
La Chiesa dei primi secoli presentava diversi profili di debolezza. Innanzitutto, era in fase nascente e, quindi, non aveva ancora una struttura tale da consentirle di resistere agevolmente alle pressioni esterne; queste, da un punto di vista puramente umano, potevano, poi, apparire esiziali: il popolo, in cui era nata e di cui sarebbe dovuta essere il naturale compimento, aderì, nella sua stragrande maggioranza, al Giudaismo e, conseguentemente, le si dimostrò particolarmente ostile; i dominatori del mondo antico la identificarono come un nemico da schiacciare.
L’ostilità ebraica alla nascente Chiesa, con episodi di vera e propria persecuzione, avrebbe potuto, sul piano umano, determinarne la morte “in fasce”. Gli apostoli ed i primi cristiani erano, ovviamente, ebrei ed il numero dei “pagani” convertiti e battezzati era, soprattutto nei primissimi anni, percentualmente molto scarso. La logica umana, almeno quella decadente dei nostri giorni, avrebbe richiesto di trovare un accomodamento con i seguaci del Giudaismo, divenendo, almeno in un primo tempo, una delle tante correnti religiose in cui era diviso il mondo ebraico. La strada seguita dalla Chiesa è diametralmente opposta e, apparentemente, suicida: condanna l’eresia giudaizzante e, di fatto, si pone fuori del mondo ebraico o, per meglio dire, rende evidente ed insuperabile la logica frattura tra chi accetta Nostro Signore Gesù come il Cristo e, conseguentemente, riconosce l’avvenuto superamento dell’Antica Alleanza e l’inizio dell’era messianica e chi rifiuta tutto ciò.
Come sempre sarà in tutta la storia della Chiesa, i problemi si pongono sul piano della Fede ed i comportamenti “politici” conseguono; quando questo non avviene, si è già fuori della corretta sequela di Gesù. E la prima prova di questo si ha pressoché subito, quando un nutrito gruppo di cristiani vuole continuare ad osservare le prescrizioni e le norme ebraiche, sulla base del principio del valore perenne della Torah. La reazione di San Paolo è durissima e, al Concilio di Gerusalemme (49), tutta la Chiesa, a partire proprio da San Pietro, che, inizialmente, aveva avuto atteggiamenti particolarmente tolleranti, condanna nettissimamente l’«eresia giudaizzante».
Questa nettezza crea, ovviamente, ulteriori problemi con il resto del mondo ebraico, oltre a creare grandi “malumori”, per usare un eufemismo, nella maggioranza dei cristiani, che è di stirpe e provenienza religiosa ebraica. Pare una scelta destinata ad uccidere la Chiesa nascente, ma «Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini», come soleva dire il Vescovo e grande predicatore francese Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704); e la fedeltà alla purezza della Fede si dimostra, al di là di ogni ragionevolezza umana, assolutamente vincente, come accadrà sempre anche in futuro.
(2-continua)
[1] Il termine «eresia», derivato dal greco αἵρεσις (àiresis) = scelta, preferenza, a sua volta sostantivo del verbo αἱρέω (airéo), indica l’atto di anteporre la propria scelta e, conseguentemente, la propria volontà a quanto Dio ha rivelato: è, sostanzialmente, il prevalere della libertà sulla verità, della volontà sulla ragione.
[2] Per «religione rivelata» si intende quel credo che pretende di affermare che sia stato direttamente Dio a fondarlo, parlando direttamente e rivelando, appunto, la dottrina professata, che, quindi, non sarebbe frutto di umane meditazioni, ma di diretta comunicazione divina.
[3] Gv 16,14-15.
[4] 2Tm 4,3-4.
[5] Il termine «anatema» deriva dal greco ἀνάϑημα (anàthema), che, a sua volta, deriva dal verbo ἀνατίϑημι (anatìthemi) = dedicare e significava, in origine, «offerta votiva», per, poi, assumere il senso di «maledizione»; nel linguaggio cattolico, è sinonimo elegante di scomunica. Ha solitamente pronuncia piana (anatèma), ma trova, anche se più raramente, pure pronuncia sdrucciola (anàtema).
[6] Gal 1,8.
[7] Per «ecumenismo» deve intendersi il tentativo di riunificazione di tutti i sedicenti cristiani, raggiunto, partendo dal pregiudiziale mutuo riconoscimento («principio della tunica»), mediante il dialogo. Il «principio della tunica», sostenuto dai protestanti, afferma che la Chiesa di Cristo è come una tunica, che si è lacerata per le divisioni, dottrinali e disciplinari (non si coglie l’ontologica differenza tra le due), tra i cristiani e di cui ciascun gruppo si è portato via un pezzo con annesso “pezzo di verità”; ecco che la Chiesa risulta, di fatto, non esistere più: è il cosiddetto «scandalo della divisione dei cristiani»; ne risulta la paradossale conclusione che le parole di Nostro Signore «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18) non siano vere o, almeno, che, per realizzarsi, attendano la «”buona volontà” di dialogo» delle varie “chiese” sedicenti cristiane.
A tale irrazionale modo di ragionare la Fede cattolica ha sempre contrapposto il «principio della casa», secondo il quale la Chiesa di Cristo è come una casa, dalla quale ciascuno può uscire (e, eventualmente, rientrare), ma senza essere in grado di portare via nulla; ne risulta che la Chiesa di Gesù permane nei secoli, senza soluzione di continuità, perché è la Chiesa cattolica, e la stessa «unità dei cristiani» non viene scalfita, in quanto gli eretici e gli scismatici non hanno nulla che manchi ai cattolici e, quindi, non sono in grado di compromettere tale unità, ma solo di abiurare, personalmente e collettivamente, parti della Fede. E, poiché la Fede non può essere divisa, in quanto consiste nella libera accettazione da parte dell’intelletto di tutte le verità rivelate nel loro inscindibile insieme, rifiutarne una parte significa perderla tutta, con la conseguenza che uscire dalla Chiesa cattolica significa uscire dal Cristianesimo: ecco che, finché la Chiesa cattolica sarà presente sulla faccia della terra (e Nostro Signore ci ha assicurato che ciò permarrà fino alla fine dei tempi) l’«unità dei cristiani» continuerà a permanere.
[8] Per «dialogo inter-religioso» si deve intendere il tentativo di trovare punti di comunanza tra le varie «tradizioni religiose», in modo da favorire il «supremo bene della pace». Questa attività, almeno per i cattolici, non è solo oziosa, ma ontologicamente malvagia, poiché pone la pace come il sommo bene, che si avrebbe il dovere di ricercare a qualunque costo, anche e soprattutto a scapito della Fede. Ogni religione contiene dei punti di dottrina e/o di morale inaccettabili per i seguaci di altre credenze, ivi compresi, ovviamente, ateismo ed agnosticismo; quando il cattolico si troverà a dover affrontare qualcuno di questi punti «divisivi», se vorrà continuare nel dialogo inter-religioso, dovrà, quanto meno. rendere dubitabili, se non abiurare totalmente, queste scomode verità di Fede.
2 commenti su “La tolleranza religiosa – II”
La VERA Chiesa ha cominciato ad autodistruggersi con le eresie e prima di tutte, secondo me (persona molto ignorante), è stato ed è l’**ecumenismo**….
L’attuale crisi della Chiesa trova le sue radici più profonde nel cosiddetto «pensiero moderno», che, di fatto, coincide con l’Illuminismo ed i suoi derivati; il problema non è teologico, ma filosofico: è la rinuncia all’essere in favore di un eterno divenire. Così la verità è divenuta opinione e ciascuno ha potuto vantare la propria “verità”. Con questa “filosofia” gli uomini di Chiesa non hanno più creduto di «possedere la verità» (in effetti, non hanno più creduto di esserne posseduti, per citare San Tommaso d’Aquino) e, quindi, si sono messi ad imparare dagli eretici: ecco l’ecumenismo, che, di fatto, non è che una delle tante forme di antropocentrismo (mettere l’uomo al posto di Dio).