Fede o carità?

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È idea comune che il cristianesimo consista nell’esercizio della carità. Non osiamo opporci a questa affermazione, ma vogliamo comprendere bene che cosa significhi questo primato e che cosa ci renda possibile vivere la vera carità.

Gesù ci ha detto che il primo comandamento è quello di amare Dio e che il secondo, simile al primo, è quello di amare il prossimo, quindi chi afferma la necessità dell’amore su tutto dice una cosa giusta. Ma vi è una bella differenza tra amare in modo naturale e amare in modo sovrannaturale. Come capire altrimenti l’espressione di san Paolo: «Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, nulla mi giova» (1 Cor 13,3)? Paolo parla qui di una persona magnanima che dà tutto ai poveri, come un novello san Francesco, o che si fa ammazzare con il coraggio di un martire, ma non avendo la carità, non ottiene nulla di buono, non ha fatto niente di importante.

Senza tanti giri di parole, la carità è Dio. Lo afferma perentoriamente san Giovanni apostolo: Dio è amore (1 Gv 4,8). In matematica si dice che: se A è uguale a B allora anche B è uguale ad A; allo stesso modo se Dio è amore, l’amore è Dio. Quindi, se io, uomo, amo, vivo la vita di Dio. Infatti Dio mi dà Se stesso infinito (lo Spirito Santo) perché io ami come Egli ama. «Amatevi come io vi ho amato», dice Gesù nell’ultima cena (Gv 15,12). L’amore sovrannaturale, teologale, per il quale amiamo Dio e i fratelli, non è la benevolenza o la compassione umana, ma è la vita divina in noi che fluisce sulle cose, unendole a noi.

Se tutto questo è vero, quale è allora il compito umano? Come facciamo noi uomini a chiedere e ottenere da Dio questo amore? Con la fede. Chi fa tutto è Dio, ma egli non fa niente contro la nostra volontà, perché ci ha resi liberi di accoglierlo o di rifiutarlo.

La sua bontà per noi è infinita, il suo desiderio di amarci è assoluto, ma la porta di accesso allo sviluppo della carità in noi è la nostra fede in Cristo. Per questo san Giovanni parla della fede come una vera e propria opera. «Che cosa dobbiamo fare – chiedono i giudei a Gesù – per compiere le opere di Dio?». Gesù risponde «Questa è l’opera di Dio: credere in Colui che Egli ha mandato» (Gv 6,29). Si dirà che credere non è un’opera. Lo è, eccome: è l’opera delle opere, l’opera principale, l’operissima. Quando infatti credo, tutte le opere successive saranno conformi a questo credo. Quando mi apro ad accogliere Dio (atto di fede), la carità divina viene a me e tutta la vita cambierà. Tutti gli atti, dal più piccolo al più grande, saranno conformati dalla carità, il cui accesso ho reso possibile con il mio atto di fede, ossia «credere in Colui che Egli ha mandato», Gesù Cristo.

Ecco perché san Paolo alla fine della vita ringrazia perché ha mantenuto la fede: «Ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7).

Credere in Cristo non è affatto un atto facile! Si deve essere disposti a gettare via tutto pur di credere, e vivere di conseguenza una docilità assoluta alla voce divina. Abramo credette in Dio, sì. Non che Dio “esistesse”. Questo è niente. Credette in Dio, e Dio gli chiese di andare sul monte e di tagliare la gola al figlio Isacco. Abramo vi andò. Poi sappiamo come andò a finire, ma la fede di quest’uomo in Dio fu assoluta, e fu tale che poi ottenne di diventare il capostipite di una nazione e di essere celebrato ancor’oggi come padre dei credenti.

In questa terra, l’uomo deve avere come prima preoccupazione quella di avere fede in Cristo, poi tutto il resto verrà di conseguenza. Per questo motivo il demonio teme soprattutto la fede dei veri cristiani. Non lo turba la bontà naturale, perché quella è propria della natura umana… Anche Hitler amava gli animali, e aveva anche buoni sentimenti verso i propri amici. Ma non aveva la carità divina.

Se la predicazione insiste solo sugli atti della bontà (accoglienza, gentilezza, benevolenza, eccetera) senza aprire lo spiraglio sul come amare in modo sovrannaturale, non dice nulla. E poi, diciamolo sinceramente, che cosa è mai la vita anche di coloro che si spendono per il bene altrui, nei confronti dell’amore di Dio per noi? Dio è amore, e Gesù si è sottoposto volontariamente ai supplizi più atroci per noi peccatori, anche per chi lo rifiuta, per aprirci le porte del Cielo. L’amore di Dio è inimmaginabile… il nostro, anche il più generoso, è sempre impastato più o meno di amor proprio, soggetto alle stanchezze, alle pause, ai rallentamenti…

Ma se l’uomo riceve lo Spirito Santo nei sacramenti della Chiesa (per fede), se poi egli conforma tutti i propri atti secondo la volontà di Dio (obbedienza ai comandamenti, per fede) allora conoscerà una potenza inimmaginabile e la sua vita sarà letteralmente trasfigurata. È la vita dei santi, che gridano insieme a san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).

In Cielo ci sarà solo la carità. Qui sulla terra c’è la carità che deriva dalla fede in Cristo, che ha ottenuto per noi di vivere la sua stessa vita, fin da ora. Togli la fede, e hai compiuto la rovina più grande. Ecco perché il maligno, con la dottrina del relativismo e ogni altra astuzia, cerca di minare le basi della fede nei credenti. Egli sa che un mondo senza fede in Cristo è un mondo senza carità, quindi un mondo vuoto, freddo, morto.

Non a caso il Signore Gesù pone una domanda ai suoi, guardando i tempi futuri: «Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Non domanda: “Troverà la carità sulla terra”, o “troverà i centri della Caritas internazionale”; ma la fede. Significa allora che la fede è più importante? Sì, nell’economia di questa realtà terrena, sì, appunto perché chi crede permette a Dio di effondere in lui lo Spirito Santo, di accoglierlo e fare sì che questo porti frutto, ora il trenta, ora il sessanta ora il cento per uno (Mc 4,8).

La carità ha cento toni e colori, mentre la fede è una sola. Ed ha un carattere terribilmente intollerante, come affermava Domenico Giuliotti. La fede è di ferro, un blocco unico. È accogliere tutto il Cristo e rimanere con Lui, consapevoli che «chi non raccoglie con Lui, disperde» (Lc 11,23).

Oggi l’opera necessaria è quella di riaffermare, a tutti i livelli, la nostra fede in Cristo. Non genericamente in un Dio qualunque che vive da qualche parte, ma in Gesù figlio di Dio, nel Padre eterno, nello Spirito dell’Amore. Affermarlo senza timori o rispetto umano, davanti al capufficio o al bidello, davanti ai ragazzi della discoteca o agli atei dichiarati: non proditoriamente per provocazione, ma per aprire la via della carità proprio nei confronti di coloro ai quali mi rivolgo.

Quando san Francesco andò in Terra Santa, si trovò di fronte al Saladino – oggi sarebbe l’imam capo – e gli parlò subito di Gesù. Gli chiese di convertirsi a Lui. In quel momento il sultano conobbe un momento di vera carità, ebbe l’occasione d’oro di conoscere finalmente l’amore divino.

Il santo di Assisi tornò a casa ebbro di gioia, e continuò a parlare di Gesù, come un folle di amore. Viveva la massima carità, attirava migliaia di persone, cambiò il volto di un’epoca e rinnovò la Chiesa, perché aveva fede, una fede granitica, una fede… “intollerante”.

 

 

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