La Monarchia, istituzione perenne?

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I riti e la solennità con cui la Gran Bretagna per undici giorni ha salutato con una lunga e intensa processione, ritmata come una maestosa marcia, la sua Regina nell’ultimo viaggio terreno, hanno destato in tutto il mondo interesse, stupore e meraviglia, come un richiamo arcano di tradizioni passate, ma che destano una forma di nostalgia anche nelle nuove generazioni per un modo di essere e di sentire che evoca liturgie dal sapore eterno. La corona inglese, nonostante scandali e gossip che hanno disseminato i settant’anni di regno della tenace Elisabetta II, è rimasta solida e vincente grazie anche alle coreografie e ai simboli a cui la stessa Regina ha sempre dato grande importanza, da un punto di vista sia civile che religioso.

Anche la Chiesa cattolica con la sua liturgia tradizionale, che trova nella Santa Messa originale e apostolica, il suo apice, continua a mietere, dopo la lettera apostolica di papa Benedetto XVI, pubblicata in forma di motu proprio il 7 luglio 2007, approvazioni e consensi da parte dei fedeli rispetto all’evidente svuotamento contemporaneo delle chiese alla pratica domenicale dove si celebra in Novus Ordo. La ragione è evidente: ciò che viene costruito secolo dopo secolo si radica ed entra nelle fibre delle persone e delle generazioni, fatte di corpo e di anima. In parole povere soggiace dentro l’individuo una legge di natura per cui tutto ciò che è profondamente radicato e assume un valore senza tempo crea ordine e sicurezza perché appartiene ai padri; mentre ciò che si slega traumaticamente dalla tradizione crea disordine e squilibrio personale e collettivo.

La stima per la Regina Elisabetta II ha oltrepassato tutti i confini della terra e le sue magnificenti esequie hanno riproposto oggi, epoca rivoluzionaria del materialismo esasperato e del transumanesimo, una sacralità non più visibile da nessuna parte in Occidente, neppure più nella Basilica di San Pietro. La tradizione monarchica, dunque, è passata sugli schermi dei nostri televisori, smartphone e computer per il commiato dalla Regina scomparsa l’8 settembre scorso a 96 anni.  Il comitato organizzatore dei funerali di Stato, che ha definito il cerimoniale in tutti i suoi dettagli, è stato guidato dal sessantacinquenne Edward William Fitzalan-Howard, diciottesimo duca di Norfolk, famiglia da sempre cattolica. Il duca, insignito anche del titolo di conte maresciallo (Earl Marshal) e maresciallo ereditario d’Inghilterra, è l’erede di una famiglia che dal XVIII secolo è responsabile dell’organizzazione dell’incoronazione dei sovrani, dei funerali e di tutte le altre cerimonie di Stato del Regno Unito. «Operazione London Bridge» è la definizione del protocollo delle cerimonie che si sono susseguite solennemente dopo il decesso della sovrana fino ad arrivare ai funerali del 19 settembre.

Così, in un tempo di profonda crisi dell’Europa, della sua tradizione e dunque della sua identità, abbiamo assistito ad un’imponente macchina militare e civile che evidenzia con vigore la forte unione che permane nel Regno Unito – uscito dall’Unione Europea, senza peraltro non aver mai rinunciato alle sue sterline – fra Corona e sudditi. L’Europa, erede di Voltaire, dei terroristi giacobini, di Hegel, di Marx e di Nietzsche, nonché figlia della incultura sessantottina, ha reciso il proprio cordone ombelicale per orizzonti disordinati, caotici e totalitari, privandosi di solidità e cinture di sicurezza. Tuttavia, rimangono delle resistenze di stampo monarchico.

L’istituto monarchico, a differenza di quello repubblicano, abbraccia valori che vengono dall’anima delle culture dei popoli e non può far a meno delle tradizioni delle nazioni, anzi, esso ne è principio e garante. Nell’immaginario collettivo rimane il fascino per la Monarchia e lo abbiamo ben visto in questi giorni. È come un richiamo sensibile, forte e imprescindibile, come avviene per quelle religioni che mantengono e rispettano dottrine e riti. Occorre sempre considerare che c’è un lato spirituale e un legame di sangue nel potere della Corona e non come nel caso della Repubblica, un potere meramente immanente e senza continuità fra i Presidenti di Stato che si avvicendano. Nell’istituto monarchico, invece, c’è una ragione spirituale ed etica che trascende gli ideali politici terreni, una ragione che sta essenzialmente nel suo discendere dal diritto divino.

Ha registrato Barbara Tedaldi, inviata a Londra per l’Agenzia stampa AGI: «Per un minuto Londra e tutto il Regno Unito si sono fermati in silenzio chiamati da un rintocco del Big Ben in onore di Elisabetta II. Ma già prima di questo momento di raccoglimento Londra era diventata la capitale del mondo intero, con i principali leader riuniti dal nuovo re Carlo III a Buckingham Palace per un ricevimento che è sembrato un mega vertice del lutto, a pochi giorni dall’assemblea Generale dell’ONU».

Davvero impressionante il clamore che ha destato il commiato da una Regina che è stata per 70 anni sul proprio trono con fermezza, decoro, affabilità e che ha rappresentato maestosamente il vivo valore che ancora oggi può assumere una monarchia. Il poderoso viaggio d’addio è stato realizzato in treno, in aereo (Royal Air Force), in auto, a cavallo, a piedi.  I segni della monarchia inglese sono stati ammirati non solo da 2 milioni di persone in presenza, ma da ben 4 miliardi di spettatori (una persona al mondo su due) sui vari dispositivi video, tanto da essere ormai considerato uno degli eventi più visti di tutta la storia.

A dispetto delle facili e massive cremazioni – tanto raccomandate in Occidente a partire dal XIX secolo, dalle direttive massoniche, ufficialmente per sostenere l’«igiene pubblica», ma in realtà per sbarazzarsi dalla sacralità cristiana del culto per i defunti destinati alla vita eterna e verso i quali si ha il dovere di rispettare e per i quali si prega in loro suffragio; fino ad arrivare all’orribile “compostaggio umano” (è di questi giorni la notizia che a partire dal 2027  la California potrà avvalersi di un nuovo metodo di sepoltura: il compost umano. Il governatore Gavin Newsom ha infatti firmato un disegno di legge per regolamentare quella che viene chiamata riduzione organica naturale,  in cui il corpo viene scomposto nel suolo. La California si unirà così ad altri quattro Stati: Washington, Colorado, Oregon, Vermont  nel consentire questo barbarico e dissacrante metodo di cancellazione della memoria dei defunti) il corpo di Elisabetta II è stato onorato in tutti i suoi aspetti. Profondamente significativi gli oggetti presenti sul suo feretro. Partiamo dalla corona di fiori, raccolti appositamente in alcune residenze reali e con un preciso valore simbolico: il mirto rappresenta il matrimonio felice che la Regina ha avuto con Filippo di Edimburgo. Non a caso, è stato tagliato da una pianta cresciuta da un rametto che era nel suo bouquet da sposa. Il rosmarino ha invece valore commemorativo, mentre la quercia inglese indica la forza dell’amore. Presenti anche i pelargoni, le rose da giardino, l’ortensia autunnale, il sedum e le dalie.

La bara fu costruita circa trent’anni fa e venne realizzata grazie alla lavorazione della quercia autoctona d’Inghilterra. All’interno della cassa una colata di piombo la isola completamente da agenti atmosferici, mantenendo un buon microclima, tale da impedire il deperimento celere della salma. L’azienda che ha fabbricato la cassa mortuaria è la stessa che ha costruito quella del principe Filippo di Edimburgo, scomparso un anno fa.

L’atmosfera è stata assolutamente ammantata di sacralità, dove il tempo è stato sospeso, perdendo totalmente l’ipervelocità postmoderna del suo scorrere. Ogni elemento è stato accuratamente studiato per concorrere a questo obiettivo, dando contemporaneamente un peso notevole alla dimensione sacrale della realtà monarchica. Un tripudio di azioni e gesti perfettamente coordinati, melodie, tamburi, trombe, silenzi contrappuntati dai ritmici passi militari e dagli zoccoli dei cavalli, campane, spari di cannone, cornamuse, applausi, fiori lanciati dalla gente, abiti rigorosamente a lutto, compresi i cerimonieri religiosi… Un  gigantesco palcoscenico trionfale permeato di armonia, con cui  nessuna Repubblica potrebbe  competere non per “amore di semplicità”, ma per mancanza di sostanza e di unità nazionale che soltanto il trono è in grado di forgiare e di suggellare.

Sul feretro di Elisabetta è stato posto l’Imperial State Crown. La Corona è forgiata in oro, ha incastonati al suo interno tre gioielli leggendari: il Cullinan II, una delle nove pietre ricavate dal più grande diamante grezzo del mondo; il rubino noto come «Rubino del Principe Nero»; lo «Zaffiro di Sant’Edoardo», inserito nell’anello d’incoronazione di Edoardo il Confessore nel 1042. A completare il copricapo, indossato subito dopo l’incoronazione da ogni sovrano, ci sono sette perle appartenute a Caterina De’ Medici.

Oltre la Corona sul feretro è stato collocato lo Scettro. Lungo circa un metro, l’imponente manufatto è decorato con i simboli smaltati risalenti al 1820 che raffigurano una rosa, un cardo ed un trifoglio. Ognuno di essi rappresenta una porzione del Regno: l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda. A completare il tutto, il diamante Cullinan I che è stato aggiunto nel 1910. Con i suoi 530 carati, è una delle pietre preziose, tagliate, più grandi al mondo.

Accanto allo Scettro è stato posizionato il Globo d’oro. Si chiama Sovereign’s Orb e rappresenta il ruolo di difensore della fede che il monarca britannico riveste in qualità di capo della Chiesa d’Inghilterra. Si tratta di una sfera di 16,5 centimetri di diametro con due bande di perle e gemme, disposte una orizzontalmente e l’altra verticalmente. Sulla punta, un’ametista sormontata dalla Croce di Cristo. Realizzata nel 1661, fa parte del rito di incoronazione: l’arcivescovo di Canterbury la consegna al monarca, che poi la impugna insieme allo scettro.

A coprire completamente la bara c’era la bandiera nota con il nome di Royal Standard. Il disegno sul telo è diviso in quattro quadranti, ciascuno dei quali riferito a una nazione del Regno Unito: Inghilterra (tre leoni passanti) nel primo e nell’ultimo quarto; Scozia (un leone rampante) nel secondo quarto; Irlanda (un’arpa) nel terzo quarto. Il Galles non è rappresentato poiché la sua posizione speciale come principato è stata riconosciuta molto prima degli accorpamenti di Scozia e Irlanda nelle Royal Arms.

La bara di Elisabetta è stata sorretta dalla State Gun Carriage di proprietà della Royal Navy. Si tratta di un carro da guerra costruito nel 1896 al quale sono stati aggiunti catafalco e pneumatici. La tradizione di usarlo per accompagnare i sovrani inglesi nel loro ultimo viaggio risale ai funerali della regina Vittoria nel 1901, quando il protocollo sostituì i cavalli con uno schieramento di marinai.

Nonostante il pensiero illuminista, socialista, comunista e radicale, ormai divenuto un tutt’uno con poche sfumature fra le correnti, abbia ingaggiato ogni sforzo per distruggere fondamenti e sentimenti dell’apparato monarchico, non gli è possibile estirpare dai cuori i valori realisti e ciò vale anche per chi ha una formazione scolastica monca dal punto di vista storico-culturale. L’eco profonda e arcana delle origini europee nel Sacro Romano Impero è dentro il sangue dei popoli europei a dispetto di ogni repubblica vigente, e l’immenso clamore suscitato dalla scomparsa e dai riti funebri di Elisabetta II lo hanno evidenziato in maniera plastica e plateale.

Proprio oggi, 25 settembre, «Il Settimanale di Padre Pio», che compie 20 anni dalla sua nascita, propone un interessante articolo dal titolo L’Enquête di Maurras: la monarchia torna in auge? di Riccardo Pedrizzi, il quale effettua un pertinente rimando al saggista e politico francese Charles Maurras (1868-1952), guida dell’«Action Française», fondatore e direttore dell’omonimo quotidiano nazionalista monarchico. Afferma Pedrizzi: «Maurras, nel clima stagnante della terza Repubblica francese con il suo parlamentarismo grigio e irresponsabile, i suoi intrallazzi e i suoi scandali, riuscì con l’opera Enquête sur la monarchie a portare un soffio d’aria pura nella vita politica francese a cavallo del XIX e del XX secolo, mutando, come disse Léon Daudet, “l’orientamento politico di tutta la gioventù pensosa della Francia e restaurando l’idea monarchica ed un’attiva dedizione al sovrano”».

L’Enquête apparve fra il 1900 e il 1903 in tre volumi e diede all’«Action Française» la base dottrinale, offrendo nutriti contenuti poi sviluppati e raccolti in altre opere, fra cui Mes idées politiques. Ricordiamo «la mirabile intuizione che egli ebbe nel distinguere tra “paese legale” e “paese reale”, intendendo per “paese legale” il complesso delle sovrastrutture parlamentari, burocratiche, amministrative, impersonali ed irresponsabili che pretenderebbero – e non lo fanno – di guidare e governare; “il paese reale” con le sue aspirazioni, le sue speranze, le sue competenze professionali, i suoi problemi, le sue autonomie, le sue tradizioni, i suoi sentimenti; un paese reale che non è altro che il sangue, la carne, lo spirito di una nazione. Distinzione, quella tra il paese reale ed il paese legale, che spesso si trasforma in un vero e proprio contrasto».

Maurras indicava un percorso di rinsavimento politico: il ripristino dell’ordine; la decentralizzazione contro lo Stato invasivo e depressivo; il recupero della monarchia di stampo tradizionale, egli «capì bene che il problema della restaurazione dell’ordine è strettamente collegato a quello della restaurazione di alcuni valori ed, inoltre, che l’ordine non può non essere “conforme alla natura della nazione francese e alle regole della ragione universale”».

La monarchia tradizionale fa riferimento al diritto naturale e, allo stesso tempo, al “genio” della nazione chiamata a formare e rappresentare. La costituzione repubblicana è il frutto di alcuni ideologi distanti dal Paese e, dunque, dalla sua storia, che spesso viene omessa o falsificata con grande disinvoltura. Lascia scritto Maurras che bisogna considerare «che la comunità nazionale, la Patria, lo Stato non sono delle associazioni sorte da una scelta personale dei loro membri, ma opere della natura e della necessità».

Si badi bene che ogni nazione europea che è stata retta da una monarchia per secoli e secoli, nonostante le ideologie antimonarchiche e ostruzioniste che sono seguite, non viene mai sopraffatta del tutto nella sua vitale radice, ciò grazie ad una composita serie di valori familiari (la monarchia è legata imprescindibilmente alla famiglia naturale) e nazionali, che si evidenziano sensibilmente sui diversi territori attraverso città, borghi, architetture, monumenti, effigi, targhe, topografia, simboli, associazioni, enti simpatizzanti… e anche rievocazioni storiche locali, quest’ultime sempre più riproposte al pubblico, il quale si compiace di tali eventi che vanno a soddisfare la propria memoria identitaria, il senso sacrosanto di appartenenza.

Ecco che emerge, come afferma Maurras «la necessità di respingere la concezione atomistica dell’uomo, dall’altro, l’esigenza di rivalutare tutte quelle comunità libere, delle quali il cittadino è partecipe «[la sua famiglia, il suo comune, la sua provincia, la sua corporazione, ecc.] che impiegherebbero le loro forze a salvaguardarlo da ogni arbitrio ingiustificato». Domanda Maurass e così risponde:

«Cos’è il governo della Repubblica?  È il governo dei partiti, o non è. Cos’è un partito? Una divisione, una ripartizione […]. Nessun risultato politico si ottiene, nel normale funzionamento del regime, se non attraverso quest’operazione separatrice e questa lotta intestina. Così si arriva agli onori. È il gioco dei partiti ad eleggere, […]. La Francia è dilaniata perché coloro che la governano non sono uomini di Stato, ma uomini di partito. Onesti, pensano solo al bene d’un partito; disonesti, a riempirsi le tasche. Gli uni e gli altri sono i nemici della Francia. La Francia non è un partito». Anche l’Italia non è un partito e nessuna Nazione lo può essere perché ciò è contro la natura stessa della specificità oggettiva della Nazione, che si scontra inesorabilmente con l’utopia della globalizzazione.

Non dimentichiamo comunque che in Europa esistono dodici monarchie: Vaticano, Gran Bretagna, Spagna, Principato di Monaco, Belgio, Danimarca, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Andorra, Olanda, Svezia. L’istituto monarchico in Europa non morirà mai perché è parte integrante del suo Dna e quando la monarchia è conscia di se stessa e del suo potere trascendente , oltre che terreno ed e opera nella tradizionale ritualità, rassicura e carpisce con una forza molto più concreta che immaginifica. La suggestione e il fascino che esercita la Monarchia sono semplicemente frutto della sua grande tradizione, combattuta dalle rivoluzioni, nemiche per essenza della continuità e delle radici. Quella continuità che abbiamo ascoltato al funerale di Elisabetta II quando è stato intonato l’inno «God Save The King» («Dio salvi il Re»), ovvero Carlo III, nuovo sovrano del Regno Unito di Gran Bretagna, Irlanda del Nord e degli altri quattordici reami del Commonwealth.

Cappella di San Giorgio al Castello di Windsor, lapide di sepoltura dove sono incisi i nomi dei genitori di Elisabetta II, della sovrana e del consorte Filippo

 

 

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