Ivan Illich e il genere vernacolare

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Le fantomatiche teorie sul gender, da anni alimentate dalle lobbies delle Università americane, sono oggi diffuse e banalizzate, sostenute dalle burocrazie internazionali, dai media e a questo punto anche dalle istituzioni (enti locali, scuole ecc…) che rincorrono la moda per coprire con queste bizzarrie le loro inadempienze sul piano sociale, culturale e amministrativo. Le teorie del gender, negando il sesso come elemento reale e identitario, attaccano prima di tutto le donne, quanto al sostegno concreto nel lavoro, nella maternità, nelle politiche della famiglia. La virtualità e l’individualismo minano alla base la comunità umana, di cui la diade uomo-donna è il nucleo costitutivo, aperto alla vita e al futuro. È invece solo nell’ottica di questa diade che si dovrebbero affrontare ed eliminare le asimmetrie sul piano dell’uguaglianza: non contrapponendo quindi la donna all’uomo, né tanto meno dissolvendo l’identità sessuale nel supermercato dei generi, i quali del resto si basano proprio sui tanto criticati stereotipi.

In tale quadro riveste particolare interesse, in quanto punto di vista che illumina anche la situazione attuale, quello espresso da Ivan Illich (1926-2002) nel testo Gender, per una critica storica dell’uguaglianza[1]. Pubblicato nel 1982, ma integrato in edizioni successive, il libro ha nell’edizione francese un titolo che ne pone al centro il concetto-guida: Le genre vernaculaire, il “genere vernacolare”; in esso si pone una contrapposizione del genere al sesso di segno opposto a quella dissolutoria e falsificante della propaganda gender.

Illich riassume:

«Quella rottura col passato, che altri hanno descritto come passaggio al modo di produzione capitalistico, io la descrivo qui come il passaggio da un mondo sotto l’egida del genere a uno sotto il regime del sesso.» (p.27)

Per Illich il concetto di “genere vernacolare” è euristico, cioè permette di conoscere e interpretare il passato senza proiettare su di esso i concetti moderni e le moderne sensibilità; con tale termine si individua una configurazione del rapporto tra donne e uomini radicato nel territorio, nei tempi e nelle forme del vivere, nelle tradizioni, negli usi, nel linguaggio. Il “genere” per Illich è pertanto culturale nel senso che descrive, relativamente ad una particolare cultura e fase storica, la “complementarietà dissimmetrica reciprocamente costitutiva” del rapporto tra uomini e donne, a cui non è applicabile il moderno mito dell’uguaglianza. Il genere vernacolare descrive gli ambiti di uomini e donne –attività, ruoli, gesti, strumenti, funzioni, tempi, ritmi, linguaggi, riti, luoghi, ecc…- di carattere identitario ed integrato nella comunità. Il concetto di genere vernacolare impedisce l’applicazione impropria ed anacronistica di termini contemporanei alle società del passato (da cui il cancel culture), proprio in quanto evidenzia l’effettiva posizione della donna in un contesto dato.

 

La “controproduttività”

È con la trasformazione storica di tali relazioni, avvenuta nella modernità e nell’ascesa del capitalismo, che s’impianta il “sesso economico”, un concetto che basandosi sulle differenze biologiche, separa e designa individualità di “ontologicamente uguali”; il “sesso economico” definisce un essere umano neutro, spogliato dei suoi elementi identitari e comunitari, il produttore/consumatore della società industriale. Viene meno così la diade uomini-donne che, nella sua dinamica reale, costituiva l’elemento base, integrato e condiviso pur nelle sue tensioni e asimmetrie. Tale uguaglianza-mito unisex è quindi paradossalmente all’origine delle disuguaglianze reali e crescenti a sfavore delle donne, secondo un principio di controproduttività che fa sì che il consumo obbligatorio di un bene, di un servizio, di un’istituzione, diventi causa di maggiore frustrazione e danno. Illich ha ampiamente analizzato la controproduttività dei sistemi sanitario, scolastico, dei trasporti, dell’urbanistica ecc… Anche qui siamo in presenza di un’eterogenesi dei fini: più si agita il mito ugualitario attraverso l’inimicizia uomo-donna e lo sradicamento individuale dalla comunità, più s’induce lo sfruttamento sessista. Già Illich scriveva:

«Sinora ovunque sono state emanate leggi sull’uguaglianza dei diritti, ovunque sia venuta di moda la parità tra i sessi, le innovazioni hanno soddisfatto le élites che le avevano proposte e ottenute, ma hanno lasciato la maggior parte delle donne nelle stesse condizioni di prima, quando non le hanno addirittura peggiorate.» (p.46)

L’inversione di tale processo può avvenire per Illich solo nelle forme comunitarie e conviviali che valorizzino anche le tracce del genere vernacolare, ovvero i “domini di genere in ambito vernacolare”, i cui residui potrebbero essere recuperati e costituire risorse.

 

Il processo di Berkeley

L’analisi e i testi di Illich sul genere vernacolare lo posero a suo tempo in dissenso con gli ambienti femministi dell’Università di Berkeley, culminato in una specie di “processo” nel quale egli ebbe il ruolo d’imputato, e con scarso diritto di parola. Le femministe lo accusarono di guardare al “genere vernacolare” in modo nostalgico, oscurando la portata del patriarcato e mettendo in discussione il concetto stesso di uguaglianza. Si trattava di una palese incomprensione ed approccio superficiale alle tesi di Illich, ma oggi si può dire qualcosa di più. Prendevano infatti forma in tali ambienti quei gender studies alle cui derive oggi assistiamo, prodotto di quella stessa superficialità ed approssimazione teorica.

In effetti le femministe di Berkeley erano indisponibili ad una critica del sistema economico e vedevano nella società del benessere capitalistica la premessa e la condizione di “conquiste” femminili in chiave antimaschile; è per tale via che quella femminista è pervenuta a costituire un’ideologia totalmente subordinata al sistema, confluendo nei movimenti LBGT ecc… per i quali il “genere” è opzione individualistica, contenitore di stereotipi. Dal “sesso economico” si giunge così all’istituzionalizzazione dell’unisex, del fluido, in stretta connessione con gli apparati tecnologici, medici e mediatici. La negazione del sesso non solo non combatte il sessismo, ma lo rende sfuggente, indicibile. Le identità –maschili e femminili- costitutive della diade fondamento e futuro della comunità, sono il bersaglio del progetto distruttivo, mentre la concreta situazione sociale ed economica delle donne scompare dall’agenda e dal linguaggio dei media e della politica. Si assiste così a sconcertanti teatrini nell’establishment, quale quello sulle candidature femminili alla Presidenza della Repubblica, in cui la rivendicazione di uguaglianza discredita e rende strumentali le candidature stesse. Né altri esiti sono del resto da attendersi da un egualitarismo pervertito dalle teorie del gender, che affigge come proprie bandiere l’aborto e l’utero in affitto.

[1] Ivan Illich, Gender, per una critica storica dell’uguaglianza ed. Neri Pozza 2013, ed. Beat 2016 (citazioni da questa edizione)

 

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