Imposture intellettuali e nuove schiavitù

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La cronaca s’incarica d’illustrare in immagini argomenti e concetti, dando loro evidenza e concretezza oltre ogni aspettativa. Così quando nel precedente numero di Europa Cristiana si parlava di restyling del PD come incarto posticcio per confezionare un ceto, non avremmo osato prospettarne, così presto e con puntualità, la rappresentazione  grottesca nei fasti del restyling  della stessa Schlein. E’ una mise en abîme, il vano che accede al vano e ancora al vano e così via, in una vanità significante massima visibilità e massimo vuoto. Eventi della politica-spettacolo, tarlo della democrazia, che rende scontati, quasi doverosi, comportamenti altrimenti imbarazzanti, patetici o arroganti che siano.

L’apparenza che può influenzare, indurre simpatia e consenso, non è novità del nostro tempo; nuovo è l’elemento moltiplicatorio, recessivo e riduttivo, del sistema mediatico e dei social network, e quindi lo spazio gigantesco e globale a disposizione di poteri che agiscono al di sopra e al di là della politica stessa.

Le più grandi imposture possono così essere accreditate, messe in scena, e alla ribalta fanno la loro parte la Schlein e i suoi dilemmi estetici.

 

Decostruzione ovvero distruzione

Alla fine degli anni 90 fu pubblicato Imposture intellettuali. Quale deve essere il rapporto tra filosofia e scienza? di A.Sokal e J.Bricmont, che smantellava alcune roccaforti della filosofia postmoderna, e in particolare l’applicazione superficiale e incongrua da parte di essa di concetti matematici e fisici.

Ai nostri tempi un simile meritorio sforzo di depurazione metodologica riempirebbe volumi e volumi, a fronte del dilagare nelle istituzioni, nelle università, nei media, nella società in generale, di teorie pseudoscientifiche, autoreferenziali e fasulle, che si diffondono in forma totalitaria, grazie a chi vi investe e vi guadagna, al terrorismo che le impone e all’ignoranza e conformismo di chi le accredita o subisce.

Alle origini delle teorie del gender, che con rapidità e violenza attentano oggi alla salute mentale e fisica degli adolescenti, e dilagano fino agli asili d’infanzia, stanno sistemi concettuali apodittici, autonomizzati, pregiudiziali.

Il punto di vista, la trovata (dato che di scienza non si può parlare), già del resto smascherata e dileggiata a suo tempo da Socal e Bricmont, è quello della decostruzione, che afferma pregiudizialmente che ciò che appare come originario è sempre prodotto di una costruzione sociale. Si rompe così ogni fondamento razionale e obiettivo, e qualunque nuova “costruzione sociale” può modificare e manipolare la realtà, la quale in ultima istanza non esiste, tanto meno come natura. Via libera quindi ai teorici per autonomizzare, partendo dalle proprie personali ossessioni, monomanie, deliri di onnipotenza (e carriere universitarie), particelle della realtà decostruita, in un processo apparentemente e provvisoriamente liberatorio. Provvisoriamente, perché nel vuoto creatosi col venir meno di ogni patrimonio culturale e spirituale, della memoria storica e delle stesse comunità umane, s’insedia la tecnologia e il potere economico, che volgono il frammentato al virtuale e l’individualista al servile.

 

Azione a tenaglia

Oggi i decostruttori-distruttori sgomitano e si pavoneggiano sulla nuova frontiera dell’intelligenza artificiale e del transumano, mentre vengono a saldarsi strutturalmente ed entrare a regime gli apparati industriali, istituzionali e mediatici prefigurati dalle loro farneticazioni ideologiche.

Le premesse delle teorie del gender sono già tutte nei testi quali quelli di Judith Butler degli anni 90, per cui la bipartizione uomo-donna esiste solo nei comportamenti sociali e nel linguaggio, divenuti una falsa natura. I generi, derivanti da atti performativi, possono essere sovvertiti, e le identità sono fluttuanti; la stessa divisione dei sessi è il prodotto di un’organizzazione sociale oppressiva, che fa sì che arbitrariamente lo si assegni alla nascita in base a dati materiali secondari, variamente interpretabili, e su cui comunque la tecnologia può intervenire.  Con questo si perviene al nucleo filosofico nihilista: distruzione dell’organismo vivente, pensante, empatico coi simili e in connessione attraverso il corpo con l’ambiente.

Assistiamo al dispiegarsi di tale ideologia distruttiva, nella sua azione a tenaglia: da una parte la rappresentanza e difesa di pretese minoranze disconosciute e perseguitate[1], da tutelare e risarcire con norme e privilegi, dall’altra la costituzione di un sistema industriale globalizzato, con le relative lobbies e apparati mediatici, che promuova e soddisfi i nuovi consumi che ne derivano.

Va purtroppo attribuita alla perversione del femminismo la principale spinta aggressiva, nella dissolutrice interpretazione del processo di superamento delle strutture patriarcali. Occorreva lo svuotamento dell’identità femminile integrale, la rimozione dalle coscienze della natura omicidiaria dell’aborto, l’inimicizia verso l’uomo, per consegnare il movimento delle donne alle etichette LBGT ecc.., annientandone il patrimonio storico e di rappresentatività degli interessi e problemi concreti delle donne.

 

Transumanesimo, gnosi suicidaria.

Le teorie decostruzioniste vanno oltre la relativizzazione del genere, il quale del resto, su questa via, va a farsi elusivo anche come target commerciale. Occorre a questo punto -e lo si fa- decostruire la natura umana come specie fin dalla sorgente della vita, autonomizzando l’evento riproduttivo, isolando i relativi organi come meri strumenti, immettendoli come tali sul mercato, affermando altresì la genitorialità come “diritto” individuale di tutti e comunque, simmetricamente all’aborto: il bambino come oggetto, di desiderio o di ripulsa – il bambino come prodotto, comprato o scartato.

L’impostura intellettuale del transfemminismo rivela qui il suo ruolo e il suo referente di sistema: le teorie decostruttivistiche, rompendo l’unità della persona e della comunità umana, annientano la possibilità della critica sociale e strutturale,  consegnano al potere  economico e tecnologico individualità isolate, sezionate e disperse. Filosoficamente, approdano ad una gnosi suicidaria, nella quale la realtà fisica è il male, ma non vi è conoscenza possibile nè orizzonte metafisico.

La questione dell’utero in affitto rende ciò drammaticamente evidente. Se è discriminazione legare la genitorialità al sesso femminile o peggio alla coppia padre-madre, se qualunque dei possibili generi potrà prender possesso di un figlio nei modi che la tecnologia permette, nello stesso tempo una persona dotata di organi generativi potrà (o sarà costretta a) metterli a profitto[2]. Sotto il velame delle ipocrisie buoniste, questo è il progetto globalizzato di cui fa parte la GPA: i supermercati generativi eugenetici, le agenzie d’intermediazione, i circuiti internazionali d’inseminazione e gestazione, gli apparati farmaceutici e sanitari, la propaganda martellante e precoce per indurre nuovi consumatori.  Quanto agli interessi e ai diritti del bambino, nessun riguardo, nessun dubbio, complici psicologi e psichiatri infantili.

Non è certo sulla fondatezza e sulla qualità intellettuale delle ideologie decostruttiviste che si fonda la loro influenza, bensì su una crisi profonda della civiltà occidentale di cui esse, insieme al liberalismo genetico, sono a loro volta espressione. Tale sistema va strutturandosi in forme descrivibili solo in scenari da fantascienza distopica, e la distanza tra questi problemi e il teatrino della politica è vertiginoso.

Esiste tuttavia un ampio spazio di resistenza, testimonianza, discussione, che contrasti l’oscuramento della ragione, la schiavitù volontaria, e affermi la verità e l’unità integrale della persona, la dignità e l’intangibilità della vita, l’identità dell’uomo e della donna come diade aperta alla vita costitutiva della comunità umana.

Il baratro dell’Occidente è già iniziato… ma  esiste una tenace resistenza che pulsa nel cuore delle nazioni, dove parecchia gente, sia semplice che culturalmente preparata, non si rassegna di fronte alla devastazione anticristiana e antiumana perpetrata da menti perverse e folli, così buon senso e gusto per le cose secondo natura vengono conservati e difesi, soprattutto fuori dalle grandi città, nelle campagne e nei borghi disseminati lungo tutta l’Europa. Qui molte persone vivono per conservare i propri patrimoni culturali, fatti di storia, arte, artigianato e anche di enogastronomia. In questa impresa culturale ed economica insieme, che comporta inesorabilmente difesa, conservazione, trasmissione alle nuove generazioni, mamme e nonne e bisnonne, nonché zie e prozie sono essenziali: la donna, grazie anche alla riscoperta del valore della terra, come accade sempre più spesso fra i giovani, può riappropriarsi della propria identità femminile, rigenerante e costruttiva. Osservando e vivendo la natura, con i suoi ritmi e le sue stagioni, le sue seminagioni e i suoi raccolti, si diventa ça va sans dire più realisti, come dimostrò Gustave Thibon, recuperando così anche la ragione umana, nonché il valore della famiglia di sempre, per vivere gioie e dolori, per affrontare insieme, uomini e donne, prove e sacrifici che l’esistenza terrena mai può e potrà sottrarre.

 

Jean-François Millet – El Ángelus, 1857-1859, Olio su tela, Museo de Orsay, Parigi

 

 

[1] Si gioca per esempio sull’equivoco dell’omofobia, strumentalizzando l’omosessualità che è un orientamento erotico.

[2] La manipolazione del linguaggio, falsificando a sua volta la realtà, cambia nome alle cose, e accanto alle lavoratrici del sesso ci sarebbero le lavoratrici gestanti; il tutto col beneplacito delle femministe.

 

 

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