Sola fide, sola infirmitas. La fine dell’unità cristiana

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L’unità dei cristiani è sempre stata un limite all’accentramento del potere politico controbilanciato dal potere spirituale e temporale della Chiesa cattolica.

Un cristiano sapeva di dover obbedire sia al suo Re che alla Santa Chiesa e questo ha impedito per secoli, non solo all’umile contadino, ma anche ad imperatori, di dominare in modo assoluto, svincolati da obblighi morali e sociali, il loro impero così come il proprio campo agricolo, dovendo obbedire tutti prima alla volontà di Dio che a quella degli uomini.

Ma il 31 ottobre 1517 un frate presbitero agostiniano di nome Martin Lutero aprì la strada alla separazione netta e violenta del potere politico da quello religioso, permettendo al primo di non dover più rispondere ad autorità superiori, ma limitare semplicemente il suo operato alla propria coscienza, aprendo la strada all’ampio e insindacabile valore dell’autodeterminazione moderna. Martin Lutero nella sua Riforma sostiene dal punto di vista dottrinale che la Chiesa come istituzione non è un’autorità e che non sia necessaria per la salvezza delle anime, ma anzi, a causa della corruzione morale delle sue autorità, nella visione dell’eresiarca, essa porti alla dannazione.

La riflessione teologica di Lutero concede ai signori feudali tedeschi che aderiscono a questa visione eretica di staccarsi definitivamente dal papato e dalle gerarchie ecclesiastiche, distruggendo in questo modo secoli di unità dei cristiani.

Fu Lutero stesso a dare l’esempio, nel 1520, bruciando pubblicamente la bolla papale Exurge Domine, in cui papa Leone X chiedeva la pubblica abiura delle sue idee al frate agostiniano.

Tale rottura non ha un significato esclusivamente politico, ma anche e soprattutto religioso e filosofico.

Grazie alla Riforma luterana un cristiano non risponde più del proprio operato, poiché solo la Fede, come sostiene Lutero, dona la salvezza e quindi le opere buone e l’agire diventano opzionali, massima espressione di questo è la celeberrima frase «Pecca fortiter sed crede fortius».

I sacramenti validi per Lutero erano solamente Battesimo ed Eucarestia, che potevano essere somministrati da chiunque; il sacerdozio divenne quindi inutile, insieme alla Chiesa nel suo complesso.

I principi tedeschi che aderirono al luteranesimo furono così giustificati anche a colpire chiese, monasteri, proprietà terriere ed edifici ecclesiastici di cui si dichiararono diretti amministratori o proprietari, esautorando qualsiasi autorità religiosa precedentemente esistente.

Il potere imperiale cattolico, che avrebbe dovuto capire come questo ribaltamento assoluto avrebbe influito negativamente sull’unità imperiale, non agì per arginare il problema, ma addirittura fu cauto e permissivo nei confronti delle apostasie che colpivano molti feudi della Germania. Un personaggio chiave che favorì la separazione del potere politico dalla Chiesa fu lo stesso Imperatore Carlo V.

Nel 1521 egli convocò la Dieta di Worms in cui avrebbe dovuto far abiurare Martin Lutero e in caso di rifiuto, esiliarlo o attuare la pena del rogo. Ma l’esitazione dell’Imperatore e un salvacondotto precedentemente concesso a Martin Lutero, permisero all’eresiarca di Sassonia di sfruttare un falso rapimento, orchestrato dall’amico Federico III di Sassonia, per fuggire dalla Dieta di Worms e venir protetto dallo stesso Federico, il quale molto probabilmente sostenne il frate agostiniano più per ragioni politiche che per adesione volontaria alla Riforma.

L’operato di Federico permise a Lutero di proseguire la sua traduzione della Bibbia in tedesco e la sua opera di diffusione dell’eresia, minando specialmente nel nord della Germania i rapporti con il Papato e l’Imperatore.

La debolezza politica e la miopia di Carlo V portarono prima a proteggere i protestanti con la triste parentesi del sacco di Roma (6 maggio 1527) e successivamente alla creazione della Lega di Smalcalda nel 1531.

Il sacco di Roma accrebbe una separazione netta dei doveri religiosi da quelli politici dello stesso Imperatore, il quale non rispondendo più al suo obbligo religioso di difensore della cattolicità, fece assediare e poi depredare la città di Roma da circa 14.000 lanzichenecchi (soldati mercenari tedeschi di fede luterana), al fine di punire il papato di una possibile alleanza con la Francia, principale nemico dell’Impero.

La Lega di Smalcalda, invece, si propose come baluardo di lotta al potere papale e successivamente a quello imperiale, diffondendo il luteranesimo in tutto il nord Europa e in Germania, depredando chiese, monasteri e cacciando o uccidendo sacerdoti, vescovi e monaci.

Carlo V non si curò di quanto avveniva nei suoi feudi tedeschi fino al 1541, anno in cui fu convocata la Dieta di Spira. Infatti, in questa occasione i principi elettori protestanti gli chiesero di riconoscere pubblicamente il loro stato di elettori protestanti, di riconoscere la Lega di Smalcalda e di fornire loro, attraverso la corona imperiale, sostegno finanziario e militare. La risposta fu la guerra sostenuta, in questo caso, anche da papa Paolo III, nonostante il precedente operato di Carlo V.

Le truppe imperiali entrarono nei feudi tedeschi ribelli nel 1546 e sconfissero in breve tempo le forze della Lega nella città di Ulma, nel Ducato del Württemberg e nei territori del palatinato. L’ultimo nemico fu Giovanni Federico I di Sassonia, proclamato campione della Riforma e definito il «magnanimo».

La battaglia finale si consumò a  Mühlberg il 24 aprile 1547,  dove le truppe imperiali sbaragliarono le forze protestanti e catturarono lo stesso elettore di Sassonia sancendo la fine definitiva della Lega di Smalcalda.

La prigionia di Giovanni Federico durò fino al 1552, anno in cui venne liberato dal suo successore, il duca di Sassonia Maurizio I. Carlo V ritirò la condanna a morte da lui stesso pronunciata nei confronti del duca ribelle sotto pressione della moglie del duca e dei suoi figli, convinto di ottenere maggiori benefici dal carcere che non dalla morte del ribelle.

Questo fu un errore strategico, visto che Giovanni Federico si manifestò quale fervente luterano e difensore della Riforma, rifiutando molte volte la possibilità di abiurare l’eresia per ritornare alla fede cattolica, accrescendo in questo modo la corrente di conversioni al luteranesimo da parte di molti tedeschi.

L’ultimo grave errore dottrinale e filosofico, oltre che politico, di Carlo V fu la Pace di Augusta del 25 settembre 1555. Con essa l’Imperatore stabilì un principio che capovolse completamente i rapporti tra potere religioso e potere politico, decidendo in modo arbitrario l’assoluta superiorità del secondo sul primo.

La pace di Augusta dichiara: «cuius regio eius religio», ossia «di chi è il regno, di lui sia la religione». In questa decisione la scelta della fede non è più personale, ma è un’imposizione del sovrano, principe, duca o vassallo, quindi non esiste una fede cristiana autentica per il potere politico, ma la fede dei sudditi è scelta a discrezione del governante. Ricordiamo che per la Pace di Augusta le credenze religiose prese in considerazione erano solo cattolica o luterana.

Oltre a tentare di negare il libero arbitrio dei sudditi riguardante a quale professione religiosa aderire, venne negata definitivamente l’unità dei cristiani in un’unica fede e la Chiesa di Roma fu marginalizzata ad operare formalmente solo nei territori dove la vita cattolica era concessa dal potere politico.

Dal punto di vista pratico, drammatiche ripercussioni ricaddero sulla popolazione, costretta a migrare, qualora fosse stata in grado di farlo, in un feudo appartenente alla propria fede. Recita, infatti, l’artico 24 della Pace di Augusta:

«Può avvenire che i Nostri sudditi o quelli degli elettori, principi e di altre proprietà, sia della vecchia fede o della Confessione di Augusta, desiderino lasciare le nostre terre o quelle degli elettori, principi, e le proprietà del Sacro Romano Impero, insieme alle loro mogli e figli, e stabilirsi altrove. Sarà loro consentito e sono autorizzati a farlo, a vendere i loro beni e possedimenti, dopo aver pagato una somma ragionevole per la libertà dagli obblighi servili e le tasse in arretrato, come è stato ovunque consuetudine per tutte le età. Le loro cariche onorifiche e i loro obblighi, invece, non sono ricompensati. Loro signori, tuttavia, non devono essere privati così del loro diritto consuetudinario di chiedere un risarcimento per la concessione di libertà dal servilismo».

In aggiunta, i beni della Chiesa sequestrati prima del 1552 non dovevano essere restituiti alle autorità ecclesiastiche, bensì rimanevano in mano a chi li aveva depredati, mentre quelli trafugati dopo il 1552 andavano restituiti.

Le decisioni di Augusta porteranno alla più tragica guerra combattuta tra i cristiani che neanche un secolo dopo insanguinerà il vecchio continente con la cosiddetta Guerra dei trent’anni (1618-1648).

In conclusione, la Riforma protestante sconvolse completamente non solo l’unità dei cristiani, ma ruppe, in modo per ora irrimediabile, il benefico rapporto che si era creato tra il potere spirituale e il potere temporale, permettendo a quest’ultimo di controllare sempre più la vita, anche privata, delle persone.

 

 

 

 

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