Articoli precedenti:
Primo: La fondazione del Femminismo liberale
Secondo: Dalle Suffragette alle oscene comparse da circo
Ci eravamo riproposti, nell’ultimo articolo di approfondimento sul femminismo di parlare degli “uomini femministi”, è infatti utile parlare anche di loro perché questa categoria è sorta “grazie” alle femministe. Proprio in questi giorni abbiamo assistito ad una patetica reprimenda da parte di alcune esponenti del partito democratico che si sono indignate perché nessuna di loro è stata chiamata a far parte del Governo Draghi. Per esempio, Valeria Fedeli ha dichiarato: «Non riesco a capacitarmi, neanche una donna del mio partito […] Considero questa cosa inconcepibile per un partito democratico, riformista, di centro sinistra» (qui).
D’altro canto ha detto Laura Boldrini: «siamo tutte molto arrabbiate. Io vedo anche il livello di impegno che ci mettono le donne, alla Camera ad esempio, vedo l’impegno con cui lavorano in Commissione, in Aula, con cui affrontano i provvedimenti. C’è una tale motivazione che non può non essere ripagata, perché questo vuol dire non valorizzare il capitale umano che uno ha, ignorarlo è veramente miope da parte del partito. Io non lo so, non so quale sia stata la dinamica, però il fatto che non sia stata inserita una donna mi sembra una cosa grave a prescindere, così come è grave che il governo ha meno di un terzo di donne e la gran parte senza portafoglio. Questa mi sembra una lettura svilente per le donne» (qui).
Se da una parte esiste una fazione politica maschile che si dice progressista e, dunque, sostenitrice dei “diritti” delle femministe, per poi utilizzare le donne non per meriti, ma per convenienze di “quote rosa” da apparire politicamente corretti e democratici, dall’altro esiste una porzione maschile di uomini che nella società agisce come fossero delle donne. Prendiamo, come campione emblematico, la pubblicità dei nostri tempi: abbiamo uomini che si occupano delle faccende domestiche, lavano, cucinano, accudiscono ai bebè e, di contro, abbiamo donne che svolgono attività tipicamente maschili, progettano automobili, sono macchiniste di treni, si destreggiano fra trapani e levigatrici… così la cultura del cambio di identità, sottolineato anche dall’editoria e dalla cinematografia entra nel sentire comune di coloro che, soprattutto fra le nuove generazioni, non comprendono più che cosa significhi, semplicemente e in maniera naturale, essere uomo ed essere donna: armonia straordinaria dei contrapposti che, nel buon senso e nella buona volontà e ognuno con i suoi talenti precipui, si completano a vicenda. Che si vuole di più? Basti vedere nelle nazioni europee del Sacro Romano Impero quanto la concezione cristiana abbia agito positivamente e fruttuosamente nelle società: nessuna competizione o antagonismo rivaleggiante fra uomini e donne, ma solo seria consapevolezza, gli uni e le altre, di essere chiamati a dare il meglio di sé, al cospetto di Dio, nel proprio dovere di stato. E le donne (quante donne!) governavano negli Stati e nei monasteri.
Tutti, oggi, sono perlopiù insoddisfatti, men che meno le femministe, divise fra il lavoro, la famiglia e i loro spazi liberi e autogestiti, Covid permettendo. Palestra, estetista, scuola di ballo, locali notturni, pranzi/aperitivi con le amiche e gli amici, i colleghi e le colleghe… lontane dai mariti e dai compagni per sentirsi “libere” e lontane dai figli… figli dati in mano allo Stato: dall’asilo nido all’Università. E se qualcuno, a scuola, dice che il proprio figlio o la propria figlia manifesta qualche problema, subito dallo psicanalista o dallo psichiatra perché i problemi, ormai, vengono trattati fuori, dagli “specialisti” e se lo specialista propone psicofarmaci perché le sedute di ascolto non sono sufficienti, subito si propinano, fin dalla più tenera età, terapie che creano dipendenza. Le femministe sono state determinanti nel togliere nel mondo occidentale l’innocenza ai bambini con le loro battaglie di “libertà” e di autodeterminazione; a togliere il diritto di avere delle madri-madri e non madri che scimmiottano l’altro sesso e che sostengono la parità di genere fra donne, uomini, lesbiche, omosessuali, transessuali…; a togliere il diritto di vivere l’infanzia nel proprio focolare domestico di una famiglia normale – luogo naturale e ideale per crescere bene e sereni, in armonia con se stessi e con il mondo – come sempre è stato nelle civiltà.
Tempo fa divenne virale la fotografia di un ragazzo che a una manifestazione femminista reggeva un cartello con la scritta «Real men are feminists», ossia «i veri uomini sono femministi»… Subissato dalla propaganda politica e mediatica è arrivato a definirsi addirittura così. Siamo qui all’esagerazione, tuttavia, negli atteggiamenti quotidiani molti giovani uomini sono entrati nel meccanismo per cui cedono, di giorno in giorno, un po’ della loro sanissima virilità. Tanto più che, con i cosiddetti «femminicidi» urlati dai media, dalle femministe e dalla politica, gli uomini vengono sempre più segnati a dito, colpevolizzati, etichettati come quelli che fanno male e uccidono le donne, senza considerare, invece, che siamo di fronte ad una società che ha perso Dio, la propria identità e addirittura la stessa ragione. Una società senza ideali spirituali, asservita totalmente alle istanze e illusioni immanentiste è in balia del male: taluni vengono inghiottiti dalla depressione e si uccidono ( i suicidi fra i giovani sono di gran lunga aumentati negli ultimi anni ), altri vanno fuori di testa e uccidono, mentre il demonio cattura anime su anime.
La responsabilità delle femministe è enorme e un giorno la storia come la sociologia e la medicina mentale dovranno fare il bilancio della loro seminagione. Oggi, purtroppo, se ne raccolgono già i frutti amari, amarissimi per le famiglie e, dunque, per tutta la società occidentale, fra i quali l’aborto di massa (contro il quale già innumerevoli realtà pro life combattono in Europa come negli Stati Uniti. In Italia è molto attiva la realtà della Marcia per la Vita, con la presidenza della Dottoressa Virginia Coda Nunziante, la cui undicesima edizione è programmata quest’anno per il 22 maggio a Roma), l’effemminatezza degli uomini, il forte aumento dell’omosessualità, lo squilibrio psicoaffettivo dei bambini e degli adolescenti, i molteplici divorzi e le drammatiche separazioni. La rivoluzione porta sempre disordine, paura e rovina in quanto cerca caparbiamente di distruggere l’ordine naturale; tuttavia, quest’ultimo, è sempre destinato, prima o poi, a prevalere perché le leggi del cosmo sono vincenti su quelle del caos.
Scrive Paolo Stella Casu sul sito «Pasionaria. Il femminismo che non ti aspetti!», ossia quello di nuova generazione (un progetto che dal 2014 si occupa di divulgazione e informazione, con l’obiettivo di comunicare il femminismo intersezionale e del transfemminismo, aderendo, dal 2016, alla rete femminista nazionale «Non una di meno»): «Il mio primo incontro con il pensiero femminista è stato mentre studiavo per l’esame di Filosofia Politica. Si trattava di un capitolo relativamente piccolo, ma ripensandoci ora è stato lì che – con stupore – ho iniziato a concepire l’idea che il corpo potesse essere pensato come spazio politico […] Per me la politica era evidentemente una guerra di idee nelle quali i corpi erano solo un accidente, un semplice strumento per la diffusione e la difesa delle idee stesse. Io avevo le mie, e pensavo che esse, alla fine, avrebbero vinto perché erano le più logiche, sensate, universali – quel determinismo derivato dal marxismo più banale. Con il femminismo ho scoperto invece che la politica passa attraverso i corpi. Che l’esistenza stessa di alcuni corpi è di per sé un atto politico» (qui).
Togliendo il Creatore, togli anche le creature per quello che sono, nella loro unicità e bellezza, «ad immagine di Dio», e cosa rimane? Un intelletto che cerca altre strade, altri percorsi, aggrovigliandosi, confondendosi e, annaspando, delira. Oggi il femminismo sta delirando, ha la febbre alta e invece di curarsi e recuperare la straordinarietà di essere donna, guarda “oltre” e, un giorno, non forse troppo lontano, si schianterà contro la realtà. E non rimarrà più nulla di quel passato così brutto e deforme, feroce e assassino (milioni e milioni di aborti) e rimarranno “solo” la donna magnificamente donna e l’uomo magnificamente uomo. Lui e lei, umili protagonisti di vite realizzate nell’immenso disegno di Chi li sovrasta e dei quali parlò con cognizione di causa il Dottore della Chiesa santa Ildegarda di Bingen, che non fu una «femminista ante litteram» come una certa pubblicistica post sessantottina falsamente e spudoratamente cerca di propinare agli ignari, semmai fu una convinta assertrice dei meriti che una donna ed un uomo possono farsi di fronte a Dio, vivendo in pienezza e in correlazione equilibrata l’esilio terreno.
Ildegarda di Bingen, Liber Divinorum Operum, Lucques, Biblioteca Statale, Codex Latinum n. 1942, dal sito della Biblioteca Nazionale di Francia
(3- fine)
1 commento su “Il femminismo degli uomini”
Un articolo stupendo che va fatto leggere ai giovani e diffuso ovunque. Grazie Cara Cristina! Pucci Cipriani