Il 28 maggio sarà beatificato don Luigi Lenzini, martire nel «Triangolo rosso» d’Italia

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Può una pandemia impedire di diventare santi? Grazie a Dio, no! Purtroppo, però, ha fatto tardare l’elevazione agli onori degli altari di non poche figure meritevoli. Il 27 ottobre 2020, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, monsignor Marcello Semeraro, papa Francesco autorizzava il decreto con cui Don Luigi Lenzini veniva riconosciuto martire. È stato necessario attendere sino ad ora per poter invece procedere alla solenne cerimonia di beatificazione, che per la precisione avverrà sabato 28 maggio 2022 in Piazza Grande a Modena. Si tratta di un martire nel «Triangolo rosso».

Luigi Lenzini nasce a Fiumalbo il 28 maggio 1881, figlio del dottor Angelo e di Silvia Lenzini, in via Bassa Costa, N. 74. Cresce in famiglia agiata e soprattutto profondamente cristiana. Fin dall’infanzia, Gesù è il suo primo Amico. Una fanciullezza segnata dalla devozione a Gesù Eucaristico e alla Madonna. Sente presto che Gesù lo chiama a farsi sacerdote.
Compie gli studi ginnasiali nel Seminario di Fiumalbo (Modena). Nel 1898, diciassettenne, a Natale veste l’abito talare, come chierico della diocesi di Modena. È molto contento della scelta compiuta e intraprende con slancio e profitto gli studi di filosofia e teologia. Si radica nella Verità della santa Dottrina Cattolica, alla luce del Magistero di Leone XIII che all’inizio del secolo XX, indica con autorità Gesù Cristo come Via, Verità e Vita per l’umanità (enciclica Tametsi futura), e del santo Pontefice Pio X, che inaugurando il suo pontificato, nell’agosto 1903, si propone di «Ricapitolare tutte le cose in Cristo« («Instaurare omnia in Christo»).
A 23 anni, ricco del vero spirito religioso e sacerdotale che vuole stabilire davvero tutto in Gesù Cristo e che non può sopportare che qualcosa o qualcuno sia fuori di Lui, Luigi Lenzini viene ordinato sacerdote il 19 marzo 1904, festa di San Giuseppe, dall’Arcivescovo di Modena, Monsignor Natale Bruni.
Celebrata la prima Santa Messa a Fiumalbo tra la gioia dei suoi cari e dei concittadini, viene mandato vice-parroco prima a Casinalbo, quindi a Finale Emilia, dove resterà sei anni. È un giovane prete colmo di amore a Dio che lo spinge ogni giorno di più a essere apostolo del Redentore in mezzo ai fratelli.

In Italia, in particolare in Emilia, in questi anni, dilaga il socialismo, ateo e materialista, che si propone di sradicare la Fede cattolica e, a parole, di promuovere i ceti più umili: ecco dove sta l’inganno.
A Finale, una delibera del Consiglio comunale del 1882 aveva abolito il Crocifisso e l’insegnamento della Religione dalle scuole, che però era stato subito ripristinato da un decreto del Prefetto. All’inizio del secolo, il socialista Gregorio Agnini organizza a Finale e dintorni la penetrazione del socialismo, recandosi a “predicare” anche sulla piazza della chiesa. Don Luigi, appena trentenne, scende in piazza con competenza e coraggio a controbattere baldanzosamente il “compagno” Agnini, con la Luce della Verità del Vangelo di Cristo. Prima e dopo, prega davanti a Gesù Eucaristico, acquistando per Suo dono una parola franca e luminosa che confuta gli errori e custodisce molte anime nella Fede.
Dal 1912 al 1921 è rettore della parrocchia di Roncoscaglia, quindi viene nominato parroco di Montecuccolo, dove rimarrà fino al 1937. Sente in profondità come un assillo pungente la responsabilità di essere parroco e di portare le anime che gli sono affidate a Gesù, in questa vita, nella fuga dal peccato e nella Grazia santificante, quindi in Paradiso. Vuole giungere ad ogni anima, nessuna esclusa.

È attento a tutte le necessità della parrocchia dove è amato come il buon pastore a immagine di Gesù, come l’apostolo di Gesù, che vive per Gesù solo e per donargli tutte le anime. Il suo più grande amore è il Santo Sacrificio della Messa, Gesù Eucaristico. Ogni domenica guida i suoi parrocchiani in un’ora di adorazione eucaristica.

Tra i suoi scritti troviamo la sua elevazione ardente a Gesù-Ostia esposto sull’altare: «So di essere alla tua presenza, o Gesù mio, e benché con gli occhi non ti veda, pure la Fede mi dice che Tu sei lì in quell’Ostia, vivo e vero, come lo fosti un dì sulla terra. Sì, lo credo, o Gesù, più che se ti vedessi con gli occhi, e sapendo di essere alla tua reale presenza, il mio primo dovere è di adorarti. Ti adoro con lo spirito di adorazione con cui ti adorò tua Madre, quando ti vide nato nella grotta di Betlemme. Voglio la Fede e la carità del tuo padre putativo S. Giuseppe per adorarti come meriti. Ti adoro con le adorazioni dei tuoi Apostoli e soprattutto con quella del tuo diletto Pietro, quando ti disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Fa’, o Gesù, che la mia adorazione non si limiti a questo giorno, ma che il mio pensiero sia sempre vicino al tuo santo Tabernacolo».
Alla fine del 1937, don Luigi si sente chiamato a farsi religioso redentorista a Roma. Lascia Montecuccolo, ma a Roma non resiste, così ritorna in diocesi a Modena nel 1939. Per 2 anni è cappellano nella Casa di cura di Gaiato, servendo Gesù nei malati con la delicatezza di un padre. Intanto ha la gioia di vedere due giovani già suoi parrocchiani, da lui guidati, salire l’altare come sacerdoti di Gesù.
Il 26 gennaio 1941, a 60 anni, è nominato parroco di Crocette, 700 abitanti, nel comune di Pavullo (Modena). Un’altra volta è tutto dedito al suo ministero: sacerdote della Verità che annuncia e fa amare Gesù, uomo di sconfinata carità che soccorre e consola i suoi nelle difficoltà enormi della guerra. È subito benvoluto e stimato da molti, quelli che amano la Verità.
Nessuno può accusarlo di simpatie fasciste, anzi, aiuta anche alcuni partigiani e nasconde in canonica alcuni ricercati. La sua preoccupazione è “salvare” chiunque abbia bisogno. Non usa il pulpito per fare propaganda politica, ma esprime con chiarezza, in chiesa e fuori, il suo timore per il diffondersi di ideologie avverse al Cristianesimo: «Se il comunismo ateo avesse a prevalere – afferma con coraggio nelle sue omelie – un giorno sarà anche impedito alle famiglie di battezzare i loro bambini».
Bastano parole come queste a renderlo inviso, a trasformarlo in bersaglio da colpire e da eliminare. A una riunione della metà del giugno 1945 interviene un propagandista comunista per chiedere in tono minaccioso dove si trovi «il parroco a cui intende insegnare come deve parlare in chiesa». Queste minacce arrivano a don Luigi che non se ne cura, anche quando qualcuno viene di persona a intimidirlo in casa sua, e ritiene suo fondamentale dovere mettere in guardia i giovani e tutti i suoi parrocchiani contro i nemici della Fede e della libertà.
Don Luigi sa che nelle circolari ad uso dei propagandisti comunisti di Modena, nel Nord-Italia e nell’Est Europeo, sta scritto: «Il nostro compito è bolscevizzare il paese, cioè liberare l’umanità dalla schiavitù che secoli di barbarie cristiana hanno creato, liberare l’umanità dal concetto di religione, distruggere la morale, non aver paura del sangue». (Ecco, questo è il comunismo!). Davanti a tutto ciò, egli risponde predicando con la tenacia degli antichi profeti e con la pubblicazione di due volumetti, Pensate e Ragioniamo un poco. Più volte, la domenica, dice al suo popolo: «Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere debbo farlo anche a costo della vita».

La notte del 21 luglio 1945 – la guerra era finita da tre mesi – alle ore 2:00, si ode una scampanellata alla porta della canonica di Crocette (Pavullo – Modena). La buona perpetua, Angiolina F., affacciatasi alla finestra, vede un uomo che le dice di voler il parroco per l’assistenza ad un infermo assai grave. Angiolina conosce l’uomo e si affretta a chiamare il parroco. Don Luigi, intuito il diabolico tranello, rifiuta l’invito, dicendo che ha già visitato il malato il giorno prima e che sarebbe tornato al mattino, alla luce del sole. La perpetua dalla finestra lo dice all’uomo rimasto ad attendere.

Segue un lungo silenzio nella calda notte d’estate. Quindi si sentono strani rumori lungo i muri della casa. Gli uomini presenti, partigiani comunisti (sono almeno in quattro), servendosi di una scala a pioli, riescono a entrare in canonica attraverso la finestra del ballatoio, rimasta aperta, all’altezza di 7 metri da terra.
Sono mascherati e, appena entrati, terrorizzano la perpetua, la quale fugge in una casa vicina, dopo aver riconosciuto uno di quei figuri. Frattanto risuonano nella notte lenti rintocchi della campana a martello, come un gemito, un grido di aiuto.
Don Luigi, compreso il pericolo, è sceso al piano terra ed è risalito subito sul pianerottolo del campanile e ha dato di piglio alla corda della campana. A quel suono, si scatena sul piazzale della chiesa una sparatoria infernale a scopo intimidatorio: guai a chi fosse sopraggiunto!
I briganti, introdottisi in canonica, sono assai, pratici dei luoghi e, scendendo la scala interna, si portano in chiesa e sparano diversi colpi, quindi salgono sul pianerottolo del campanile, dove trovano don Luigi. Lo afferrano – quattro contro uno – e lo strappano via dal luogo santo con brutale sacrilega violenza.
Nel tragitto dalla chiesa verso la morte ormai sicura, don Luigi vive il suo calvario. Gli assassini infieriscono su di lui con sevizie ed efferata crudeltà. Vogliono costringerlo a bestemmiare il suo Dio, quel Dio che lo ha elevato alla dignità più alta sulla terra: Alter Christus. Giunto nella vigna a mezzo chilometro dalla chiesa, con il corpo orribilmente straziato, il parroco viene finito con un colpo alla nuca, quindi viene “semisepolto” sotto poca terra, intrisa del suo sangue. I senza-Dio fuggono “a capolavoro compiuto”. L’odio a Cristo e alla Sua Chiesa li ha condotti ad un efferato delitto, contro uno dei suoi Ministri. È notte fonda, notte nera, sulla campagna di Crocette e ancor più in quei fanatici criminali chiusi alla Luce.
Il povero corpo di don Luigi è ritrovato da alcuni contadini una settimana dopo, il 27 luglio 1945, nella vigna, lungo la scorciatoia che conduce a Pavullo. I suoi funerali, in mezzo al rimpianto e alle lacrime degli onesti, vengono celebrati nella sua chiesa di Crocette dal Vicario foraneo di Pavullo, don Giuseppe Passini.
La tomba del martire, nel cimitero parrocchiale, è subito meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera verso l’indimenticabile buon pastore che ha dato la vita per Gesù e per le anime a lui affidate.

 

 

 

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