La chiesa Santa Maria in Trastevere, nel cuore di Roma, è magnifica e solenne avvolta nella atmosfera dorata dei suoi mosaici: quello del catino absidale del XII secolo e quello della fascia sottostante di Pietro Cavallini della fine del XIII secolo che cristallizzano, in una sintesi magnifica, il contrasto tra l’arte bizantina e la nascente arte italiana.
Questi intrecci di linguaggi e di stili dei tanti secoli di storia e di arte che in questa chiesa si sono avvicendati, si intersecano e dialogano in una pacifica armonia.
Anche l’opera più antica della Basilica, l’icona medievale della Madonna della Clemenza o Theotòkos, si trova inserita, sopra l’altare della Cappella costruita dal cardinal Altemps nel XVI secolo.
In questo spazio deputato ad una pala però l’icona non è perfettamente leggibile, un po’ per la scarsa illuminazione, un po’ perché fortemente danneggiata, con vistose lacune, dalle quali si vede il legno delle tre tavole di cipresso sulle quali è dipinta. Si trova al lato sinistro dell’abside, subito dopo i mosaici abbaglianti, tanto da passare quasi inosservata, eppure il suo valore artistico e di fede è inestimabile!
Si ha notizia di questa antica immagine ritenuta acheropita e miracolosa dal resoconto di un pellegrino di Salisburgo in visita a Roma nel primo medioevo. Si presume che sia sempre rimasta nella chiesa di Trastevere, prima nella basilica paleocristiana e poi in quella riedificata nel XII secolo da Innocenzo II, tanto che sembra sia stata proprio la sua presenza a motivare l’intitolazione della basilica alla Madre di Dio.
La sua storia, come la datazione, è incerta, ma sicuramente è tra le più antiche icone conservate in occidente e tra le 5 più antiche icone dipinte tra il VI e l’VIII secolo, e anche tra le più grandi, misura 164 x 116 cm.
L’immagine è pienamente dentro gli stilemi dell’arte bizantina con la Madonna al centro nella sua rigida frontalità, seduta in trono con il bambino sulle ginocchia, ai lati due angeli, e in ginocchio il ritratto del donatore che si crede essere papa Giovanni III (561-574) o Benedetto I (574-579) suo successore, datando l’opera ragionevolmente alla fine del VI secolo. Nelle espressioni dei visi si intravede però già quella dolcezza dello sguardo tipica delle icone più tarde, un primo passo verso un gusto artistico più occidentale.
L’iconografia è quella di Maria nello stile Maestà, uno stile popolare in cui la Vergine è in abiti regali come un’imperatrice bizantina seduta su un trono con una corona di perle, vestita regalmente con un ricco abito color viola così come il Bambino Gesù sulle sue ginocchia, ma è anche figura della chiesa di Roma, infatti il Papa è prostrato ai suoi piedi.
La composizione celebra la regalità della Vergine per aver concepito il Figlio di Dio. Questo Mistero è sottolineato dalla presenza degli angeli alle sue spalle e dall’iscrizione lacunosa al bordo dell’icona che si legge partendo dall’alto a destra: «Poiché Dio stesso si fece dal tuo ventre… i principi degli angeli ristanno e stupiscono di Te che porti in grembo il Nato…” (traduzione di Carlo Battelli).
Anche la tecnica di esecuzione, l’encausto, è antica e ormai misconosciuta: i pigmenti vengono stemperati a caldo nella cera fusa, una tecnica complicata che non permette ripensamenti o indecisioni, ma che lascia una pittura luminosa e potente che solo il fuoco (come è stato) può vincere.
Il tempo, l’incendio, le nuove sensibilità artistiche, non hanno attenuato però la sua forza, basta soffermarsi, guardarla senza fretta, lasciarsi interpellare dagli sguardi, dalla sua imponenza di Regina e dalla sua tenerezza di Madre, per essere proiettati fuori dal tempo dentro il Suo Mistero.