San Salvatore Monferrato

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Ormai ci siamo purtroppo abituati. Nell’epoca dello scientismo più assoluto, chissà perché, su certi argomenti si glissa con estrema superficialità, ricorrendo agli stereotipi più frusti. Per rimanere, ad esempio, nel nostro ambito di indagine, il ritornello dei saggisti che contano suona più o meno sempre così: «i culti mariani antichi non sono altro che riproposizioni cristiane di miti pagani, quelli medievali favole e leggende popolari. I santuari sorti poi in epoca moderna, ed in particolare fra il XVI e il XVIII secolo, sono frutto delle guerre di religione e, naturalmente, del tentativo cattolico di impedire l’adesione del popolo alla Riforma Protestante. Non parliamo infine delle manifestazioni celesti contemporanee: tutte truffe di ciarlatani o allucinazioni di psicolabili».

Ma esiste anche un altro filone interpretativo, che emerge spesso come argomento complementare. Potremo denominarlo «teoria campanilistica», in quanto basato su “profondissime” considerazioni storico-sociologiche del tipo: in quei tempi lontani ogni città, ogni villaggio, cercava di primeggiare sulle realtà vicine; così finivano per autocelebrarsi, inventandosi fatti miracolosi che davano origine alla costruzione di edifici ricchi e sontuosi.

 

 

Ebbene: la storia che andremo a raccontare, se mai ciò sia avvenuto altrove, contraddice completamente questo assunto. A San Salvatore Monferrato, infatti, la Santa Vergine beneficò un nemico, la persona di gran lunga meno appropriata, dunque, per favorire l’orgoglio di stampo localistico. L’anonimo contadino del paese, che risulta coinvolto nella vicenda, ne esce, anzi, molto male ed anche, in parte, i suoi concittadini che sembra lo abbiano nascosto consentendogli di sfuggire all’arresto. Tutti questi elementi sono stati del resto ampiamente evidenziati da un avvincente romanzo storico, «Martino De Nava ha visto la Madonna», scritto dal professor Elio Gioanola nel 2003. Si tratta di un racconto, in parte certo romanzato, ma ben radicato su solidi presupposti documentali. Ne consigliamo, quindi, la lettura agli scettici per partito preso.

L’evento documentato a San Salvatore Monferrato, grazioso paese collinare posto fra Casale ed Alessandria, si inserisce nel contesto storico della cosiddetta I Guerra del Monferrato (1613-1617). In essa si combattevano il duca di Savoia Carlo Emanuele I (1562-1630), sostenuto dai francesi, e gli spagnoli insediati nel Ducato di Milano. La contesa d’armi verteva sulla successione dell’antico Marchesato monferrino, passato ai Gonzaga di Mantova dopo l’estinzione della casata dei Paleologi.

Il conflitto terminerà, ma solo per poco, con la pace di Pavia che, nel 1617, sancirà la sconfitta dei piemontesi. Il territorio di San Salvatore, dunque, come si può facilmente immaginare, era divenuto zona di manovre militari e varie compagnie di soldati vi transitavano periodicamente, generando senz’altro insofferenza e malcontento fra la popolazione civile.

In questo clima di guerra e di ribellione, matura il tentativo di uccisione del soldato spagnolo Martino De Nava, episodio che sta all’origine della conseguente apparizione della Madonna che lo salva. Il 15 maggio del 1616, intorno a mezzogiorno, una Compagnia di soldati iberici muove da Valenza per trasferirsi a Casale Monferrato, attraverso le colline di San Salvatore.

Di questa brigata faceva parte il soldato Martino De Nava, particolarmente devoto alla Madonna, il quale portava sempre con sé una corona del Rosario donatagli dalla madre, alla sua partenza dalla Spagna. Egli la recitava probabilmente tutti i giorni nei momenti di riposo dagli esercizi militari.

Comunque risulta certamente un buon cristiano ed un devoto di Maria. Il fatto che la Madonna gli sia venuta in soccorso in modo così straordinario, dimostra senza dubbio che Martino era un buon soldato e un uomo di preghiera.

La giornata è torrida e il nemico è in agguato. Avendo la Compagnia, per il gran caldo, necessità di acqua, i soldati sono sparpagliati nella zona alla ricerca di pozzi. Martino si inoltra per una viuzza ombrosa che dolcemente sale dalla valle di Saliceto, in una zona detta Pelagallo, verso l’altura di una collina. Raggiunge quindi un piccolo pilone sul quale è dipinta un’immagine della Madonna; vicino si apre, quasi nascosto tra il fogliame, un pozzo con basso parapetto, profondo circa dieci metri. Il ritrovamento dell’acqua è, per il giovane, come una grazia del cielo. Si getta, quindi, immediatamente in ginocchio per terminare la recita del Rosario che aveva iniziato appena si era trovato solo lungo il viottolo campestre.

Rivolge ancora uno sguardo riconoscente all’immagine della Madonna sul pilone, poi cerca di industriarsi armeggiando con la funicella ed il secchiello di cuoio che portava sempre con sé per attingere l’acqua. È felice di aver trovato ristoro, ma sente un lieve fruscio e vede nascondersi, tra il verde fogliame, un contadino che lo sta ad osservare. Questo fatto gli provoca un attimo di sospetto: teme che qualcosa di brutto gli possa accadere, essendo senza le armi, ma poi decide, comunque, di andare avanti. Continua, quindi, ad adoperarsi per attingere acqua; si sdraia sul parapetto per guadagnare spazio con il braccio dentro il pozzo. A questo punto, però, il contadino approfitta della sua posizione precaria, lo aggredisce con violenza, lo insulta e lo ferisce più volte al braccio disteso fuori del pozzo. Martino balza di scatto in piedi ed ingaggia una violenta colluttazione con la forza della disperazione, ma l’assalitore vibra colpi all’impazzata, rabbiosamente, tanto che il soldato, sopraffatto, perde molto sangue e cade quasi svenuto. L’aggressore, per nascondere il delitto e per evitare la vendetta dei commilitoni poco distanti, getta tosto il povero Martino nel pozzo. Al contatto con l’acqua fresca, egli, però, rinviene e si aggrappa ad una radice d’olmo che sporge sul fondo della cavità.

Chiede aiuto con tutte le sue forze, ma l’eco della sua voce si perde nel silenzio dell’abisso. Alzando, però, lo sguardo vede, nello spazio di cielo che si apre sull’imboccatura, l’immagine della Madonna dipinta sul pilone. Si rivolge allora a Lei, chiedendo soccorso con grande Fede. Sull’orlo del pozzo Martino scorge allora una bellissima Signora che regge in braccio un dolce Bambino, mentre l’acqua, tinta di rosso dal suo sangue, cresce lentamente, portandolo fino all’imboccatura. Martino è sorpreso: la Signora dal volto celestiale, gli tende la mano e così pure il Bambino. È felice e si sente sicuro anche perché l’acqua non cede più al peso del suo corpo. Martino guarda estasiato, ora il volto della Donna, ora quello del Bambino ed esce dal pozzo, sorretto dalla sua Salvatrice. Non ha parole per ringraziare la sua Benefattrice che lo aiuta, sorreggendolo, a raggiungere il bivacco dei soldati, a circa trecento metri. Sostenuto sempre dalla bella Signora, Martino giunge tra i commilitoni. Alcuni camerati gli vanno subito incontro per fornirgli le prime cure, mentre la Signora si arresta all’ingresso dell’accampamento…

Tutti ringraziano naturalmente la gentile Salvatrice. Sopraggiunge, però, poco dopo, anche il Capitano, Don Giovanni Bravo De Laguna, con alcuni ufficiali, il quale, udito il fatto straordinario dallo stesso Martino, ordina di donare «due doppie spagnole» alla donna così premurosa; ma quando il soldato si avvicina, la Signora che è stata così buona e caritatevole, dispare agli sguardi esterrefatti degli Spagnoli.

I soldati rimangono molto stupiti. Sono loro, pertanto, i primi a credere al miracolo ed a parlarne ripetutamente tra loro. Il Capitano, da buon militare, vuole, in ogni caso, vederci chiaro. Ordina, dunque, che siano prestate le prime cure al suo sottoposto; fa, poi, perlustrare i dintorni; fa interrogare tutti gli abitanti del luogo per cercare notizie su quella donna misteriosa che è scomparsa tanto repentinamente dalla loro vista.

Per quanto, tuttavia, siano state minuziose le ricerche, della signora non si riesce a sapere nulla. Intanto Martino va gradualmente migliorando. Il Capitano e gli altri Ufficiali, riuniti, si fanno allora nuovamente raccontare l’episodio, sottoponendo Martino ad uno strettissimo e particolareggiato interrogatorio. Si cerca, almeno, il colpevole, ma il contadino non viene mai identificato, anche perché il buon Martino si dimostra comunque restio a cercarlo, avendolo in cuor suo sinceramente perdonato.

Appena il giovane sarà in condizioni di camminare bene, si recherà quindi, con il suo Capitano, dall’Arciprete di San Salvatore, perché ormai la fama del miracolo si è divulgata in tutto il paese e tutti vogliono sapere e sentire dal miracolato come si sia svolto il fatto prodigioso. La Madonna del Pozzo, così subito viene infatti chiamata, è al centro di tutte le conversazioni.

Ogni giorno gran folla di fedeli si reca al luogo del miracolo: molti bevono l’acqua del pozzo per devozione, molti pregano in ginocchio. Già si parla di grazie ricevute, di voti esauditi, di guarigioni operate. Monsignor Giovanni Battista Biglia (1570-1617), Vescovo di Pavia, da cui dipendeva allora il borgo al quale è pervenuta, da più parti, notizia del fatto prodigioso, incarica l’Arciprete di San Martino, don Giovanni Pietro Buzio, di ricevere alla presenza di testimoni la deposizione del miracolo. Martino conferma, con giuramento, quanto gli è capitato ed espone tutto con parola franca ed appassionata. Anche in altre deposizioni successive il soldato confermerà sempre con giuramento quanto gli era capitato.

Così il Vescovo, dopo attenta analisi di ogni minimo particolare, con suo decreto del 2 aprile 1617, riconoscerà ufficialmente il fatto prodigioso, autorizzando l’erezione sul luogo di una cappella «ad onore della gloriosissima Madre di Dio». Gli atti del processo canonico, svolto con estremo rigore e secondo i dettami fissati dal recente Concilio Tridentino (1545-1563), sono ancor oggi conservati negli archivi diocesani. Ciò conferma l’attendibilità di quei particolari che vennero per circa un anno indagati con ogni accuratezza e passati al vaglio del più meticoloso esame. Contrariamente, infatti, a quanto fanno intendere certi pseudo-storici, in quell’epoca, come anche nelle altre, le autorità ecclesiastiche erano tutt’altro che inclini ad assecondare gli entusiasmi dei vari “mistici” o “veggenti”, che pullulavano specialmente nelle campagne. La Santa Inquisizione spagnola anzi, proprio in quegli anni, aveva fortemente contrastato la cosiddetta «eresia degli illuminati», una sorta di movimento carismatico ante litteram che teorizzava la possibilità di un contatto diretto fra i fedeli ed il mondo celeste.

A partire dalla prima cappella, come è avvenuto in tanti altri luoghi sacri, si è proceduto, nel corso dei secoli, a progressivi ampliamenti ed abbellimenti. Oggi il Santuario sorge poco al di fuori del paese, circondato da una casa di riposo per anziani ed appare dotato di un campanile costruito nel 1777. Davanti all’edificio è stato collocato altresì un percorso esterno raffigurante le quattordici stazioni della Via Crucis. All’interno si può ammirare la copia di una bella tela, dipinta già nel 1622 dai pittori alessandrini Giorgio Alberini (1576-1626) e Paolo Buffa, che rappresenta la scena del miracolo con la Madonna che soccorre il soldato spagnolo. Purtroppo il presbiterio appare oggi discutibilmente alterato a causa delle deturpazioni provocate dall’adattamento liturgico post-conciliare.

In un’ampia cappella posta sulla destra dell’ingresso è ancora conservato il pozzo del miracolo, mentre la scimitarra ed il moschetto di Martino de Nava, segnalati fra gli ex-voto fino agli anni cinquanta del XX secolo, sono stati poi trafugati da ladri sacrileghi.

Va infine ricordato il ritrovamento della tomba di Martino localizzata, a seguito di lavori per la risistemazione dell’impianto di riscaldamento, sotto il pavimento della chiesa parrocchiale di San Salvatore. Tale rinvenimento, avvenuto intorno al 2000, ci ha restituito quasi completamente incorrotto, il corpo del veggente che oggi riposa, in un reliquiario di cristallo, nella cappella del Rosario della medesima parrocchiale.

Il buono e devoto militare, infatti, non volle più lasciare, per il resto della sua vita, il paese che lo vide testimone di sì grande prodigio. Si stabilì, quindi, in una piccola casupola posta a lato della canonica e qui condusse un’esistenza semplice e piena di fervore religioso.

Tutti i paesani ne apprezzarono la pietà e la religiosità. Un esempio davvero ammirevole che possiamo, a buon diritto, avvicinare alle numerose figure di soldati lodate dal Divin Maestro nel Vangelo.

 

 

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