San Romualdo: «Siedi nella tua cella come nel Paradiso scordati del mondo e gettalo dietro le spalle»

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Il fondatore dell’eremo di Camaldoli, nonché promotore dell’Ordine camaldolese, diramazione riformata di quello benedettino era un nobile e lasciò tutto per farsi monaco. Molti aristocratici del Medioevo, che edificarono l’Europa cristiana, erano veramente cristiani e come tali s’incamminarono sulla via della santità, industriandosi per la costruzione del Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo nel mondo, con il loro esempio e con le loro opere.

Parliamo di san Romualdo. Nella sua Piccola regola d’oro si legge:

«Siedi nella tua cella come nel Paradiso scordati del mondo e gettalo dietro le spalle».

Come fece a gettare dietro alle spalle il mondo con i suoi pesi lo si attinge dalla biografia scritta da san Pier Damiani (1007-1072), futuro priore dell’eremo romualdino di Fonte Avellana, che oltre ad aver conosciuto personalmente Romualdo, ha potuto ascoltare testimoni scelti direttamente nella cerchia del santo. La Vita di San Romualdo venne redatta circa quindici anni dopo la morte del protagonista (1042).

Romualdo nacque a Ravenna fra il 951 e il 953. Era figlio del duca Sergio degli Honesti di Ravenna e di Traversa Traversari. La sua vocazione sorse in seguito ad fatto di sangue di cui furono protagonisti il padre e un cugino, che morì. Aveva 20 anni e decise di espiare quel fatto ritirandosi quaranta giorni nel monastero di Sant’Apollinare in Classe. Ma quell’ambiente non faceva per lui, allora si recò da un eremita, Marino, in territorio veneziano e lo scelse come guida spirituale. Nel 978 Romualdo fece conoscenza del primo dei grandi personaggi che possono essere considerati suoi discepoli, si trattava del doge di Venezia Pietro Orseolo I. Quest’ultimo sposò Felicia, da cui ebbe l’omonimo figlio, che fu a sua volta doge dal 991 al 1009, e una figlia di cui non si conosce il nome, sposata a Giovanni Morosini.

 

Chiesa di San Rocco (Venezia), – Statua di san Pietro Orseolo, XXIII doge della Repubblica di Venezia, opera di Giovanni Marchiori

 

Secondo la testimonianza di Giovanni diacono, al momento della sua rinuncia al dogato nel 978 non aveva più di cinquant’anni, pertanto sarebbe nato verso la fine degli anni 920. Il primo documento a citarlo risale al giugno del 960, quando sottoscrisse un decreto del doge Pietro IV Candiano che inibiva il commercio degli schiavi. Il suo nome compare anche in un documento del luglio 971 con cui lo stesso doge, su pressione dei Bizantini impegnati contro i Fatimidi, vietava ai Veneziani la vendita di armi e legname ai saraceni. Si occupò del restauro degli edifici che erano stati oltraggiati da una rivolta e, fra l’altro, commissionò a Costantinopoli la famosa e straordinaria Pala d’oro, grandiosa opera di oreficeria che venne prodotta appositamente per la basilica di San Marco. Inoltre, il 17 ottobre 977 si accordò con il conte d’Istria Sicardo in favore dei commerci veneziani nella regione.

Sospettato, non senza ragione, di aver partecipato all’assassinio del suo predecessore, Pietro Candiano, tormentato dai rimorsi, Pietro Orseolo si confidò dapprima con un illustre pellegrino di passaggio per Venezia di nome Guarino, abate del potente monastero di San Michele di Cuxa, nei Pirenei. Poi il doge sollecitò anche il parere di Marino e di Romualdo, la cui santità era già nota. Il loro consiglio fu quello di rivestire l’abito monacale. Nella notte del 31 agosto dello stesso anno, lasciò di nascosto il Ducato e raggiunse un luogo non lontano dal monastero di sant’Ilario per poi proseguire via cavallo per Vercelli e quindi raggiungere dopo molti giorni il monastero di Cuxa, insieme ai tre monaci, al genero Giovanni Morosini e a Giovanni Gradenigo.

La scelta procurò, come conseguenza, il ritorno della fazione avversa, succedendogli Vitale Candiano. Pentito e riconciliato con il Signore, colui che divenne, compatrono secondario di Venezia, morì il 10 gennaio del 987 o del 988 a Cuxa, dove fu sepolto. La moglie Felicita è compresa in un elenco di beati veneziani, benché non sia ancora stata proclamata tale dalla Chiesa.

Fu proprio a Venezia che Romualdo conobbe l’abate Guarino, uno dei più importanti monaci rifondatori del X secolo. Fu quest’ultimo a convincere il giovane eremita, non ancora trentenne, a seguirlo proprio nell’abbazia di San Michele di Cuxa (in catalano Sant Miquel de Cuixà), in Catalogna, dove Romualdo si formò e qui rimase dieci anni.

Fece ritorno in Italia nel 988, andando a vivere nell’eremo di Pereo, sulla cosiddetta Isola delle Rose, presso Ravenna. Rinunciò alla dignità di Abate e, portandosi nel territorio del monte Fumaiolo, fondò, dove sorge attualmente il paese di Verghereto (oggi in provincia di Forlì) un monastero in onore di San Michele Arcangelo. A causa dei suoi continui richiami disciplinari e morali ai monaci, venne cacciato con «belluino furore» a «vergate», come evidenziano i biografi, insieme ai suoi discepoli.

Intorno all’anno 1001 il giovane imperatore Ottone III convinse l’eremita a divenire Abate di Sant’Apollinare in Classe; ma la sua vocazione era quella della solitudine e del rinnovamento della vita eremitica e quindi, dopo appena un anno, rinunciò all’incarico, recandosi a Montecassino.

Per un certo periodo di tempo visse in una grotta (poi chiamata Grotta di Romualdo) sul canale di Leme, presso Parenzo in Istria. Intorno al 1014 fondò un eremo a Sitria, alle falde del monte della Strega, fra monte Catria e monte Cucco, presso la frazione di Isola Fossara, comune di Scheggia, in provincia di Perugia e, dopo poco, vi aggiunse un piccolo cenobio con una chiesa: l’abbazia di Santa Maria di Sitria. Rimase in terra umbra quasi sette anni, gli ultimi prima di recarsi a Camaldoli. A Sitria visse da eremita, in compagnia di devoti che ammaestrava «tacente lingua et predicante vita», come afferma san Pier Damiani.

San Romualdo non ha mai fondato un ordine religioso, mentre fondò molti eremi che facevano parte della famiglia benedettina, compreso quello di Camaldoli. S’ignora la data di erezione dell’eremo di San Salvatore a Camaldoli, istituito in Toscana intorno al 1012 o 1015, nell’alta Valle dell’Arno, sulle terre di un certo Maldulus, si parla di Campus Malduli, da cui sarebbe derivato il termine Camaldoli.

L’ordine dei Camaldolesi venne formalmente costituito con una bolla di papa Pasquale I, datata 4 novembre 1113, che riconosceva al priore dell’eremo la posizione di capo di un ordine separato dalla famiglia benedettina. Alla fine del XVIII secolo e lungo tutto il XIX, l’ordine dei Camaldolesi venne duramente colpito dalle spoliazioni della Rivoluzione francese, dalle decisioni stabilite dall’Impero di Napoleone e dagli eventi dell’Unità d’Italia anticattolica e anticlericale; pertanto a Camaldoli i religiosi furono espulsi nel 1806. Tuttavia la comunità si ricostituirà nel 1816, beneficiando del sostegno del papa camaldolese Gregorio XVI (1831-1846), per venire dispersa nuovamente nel 1866 con le leggi liberali e massoniche.

All’inizio del XX secolo resistevano tre realtà: i cenobiti camaldolesi, gli eremiti di Toscana e gli eremiti camaldolesi di Montecorona, la cui sede fu poi trasferita a Frascati. Secondo la costituzione Inter religiosos coetus del 2 luglio 1935 Pio XI istituì la congregazione dei monaci eremiti camaldolesi dell’ordine di San Benedetto, nata dalla fusione dei cenobiti e degli eremiti di Toscana e governata, come nel corso del Medioevo, dal priore dell’eremo di San Salvatore a Camaldoli.

Romualdo, appartenente solo a Dio, è sì eremita, ma non conosceva sosta, rimanendo comunque in orazione, in penitenza e in meditazione. Molto spesso lo chiamano per dirimere questioni ecclesiastiche e politiche e tiene relazioni con le grandi famiglie del tempo. Lui si adegua al rumore, ma solo per compiere la volontà di Dio e il suo dovere davanti agli uomini, ma con l’ansia di far ritorno all’isolamento per stare solo con il suo Dio. Le sue dimore sono gli isolotti del delta padano, le alture degli Appennini e le coste istriane, niente di meglio per la sua sete di silenzio. Sono brevi intervalli, che egli vive come oasi nel deserto delle voci, delle richieste, dei problemi terreni, dei desideri di chi vorrebbe vivere nel suo esempio.

Le persone lo cercano in ogni dove… Viaggia e si sposta, fondando luoghi per uomini che vogliono vivere nella pace del Signore, offrendogli la propria esistenza. Le sue realtà, però, sono sempre piccole, non vuole luoghi grandi, ma di proporzioni raccolte, perché una cella soltanto è sufficiente per ogni monaco e non vuole neppure che siano tanti a vivere insieme perché si disperderebbe la comunione con Dio. Intanto fronteggia, a motivo della sua rettitudine spirituale e morale, personaggi gretti o addirittura malvagi, come un abate, che ha comprato la sua carica ed ora cerca di assassinare Romualdo, strangolandolo.

Dopo una vita tesa al romitaggio, tempestato di richieste di apertura di eremi e cenobi, Romualdo si spegne a circa 75 anni: è ora completamente solo. Raggiunge il suo Signore il 19 giugno fra il 1023 e il 1027 nell’abbazia di San Salvatore in Valdicastro, vicino a Fabriano.

Verrà beatificato cinque anni dopo il dies natalis e sarà dichiarato santo nel 1595, da papa Clemente VIII. Il suo corpo si trova, dal 1481, nella chiesa dei Santi Biagio e Romualdo a Fabriano, mentre il braccio, collocato in un prezioso reliquiario d’argento, è custodito nella cattedrale di Jesi. Il nuovo calendario della Chiesa lo ricorda al 19 giugno, mentre la memoria del calendario tradizionale cade il 7 febbraio.

 

 

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