Quando la Sacra Sindone fu a Cherasco

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Cherasco era molto amata da Amedeo e la città lo ricambiava. Giunse alle porte di Cherasco scortato dal reggimento di cavalleria la Croce Bianca e qui trovò ospitalità nel palazzo dei marchesi Guerra, sotto il presidio del reggimento Santa Giulia. Dire che giunsero alle porte di Cherasco non è un modo di dire: Cherasco è realmente custodita da Porte, diverse da quelle naturali di Ala di Stura o di Viù, sono porte in muratura, costruite a protezione della città e a chiusura delle mura che fortificavano l’area urbana.

Dal 17 al 24 giugno 1706, la Sindone venne custodita a Cherasco, nel “Gabinetto del silenzio” (ora conosciuta come Sala della Sindone) del palazzo Salmatoris il cui proprietario, per l’occasione, incaricò Sebastiano Taricco di affrescare la bellissima saletta in cui sarebbe stata esposta la Sindone per tre giorni pour la veneration du pouple alla pubblica ammirazione, contenuta in una grande cassa in bronzo dorato, ricoperta da velluti cremisi, abbellita da ori cesellati, esposta tra quattro torce ardenti al cui solo pensiero… un po’ tremiamo. Gli incendi erano all’ordine del giorno ed essendo, la Sindone, già scampata almeno un paio di volte al fuoco… l’idea che ancora si tenessero torce accese così vicino al Lenzuolo è come un voler sfidare il destino. Le cronache di allora riferiscono che tutto il popolo accorse a vederla, anche dai paesi vicini, Bra incluso. Il Taricco però è poco conosciuto per quest’opera di Cherasco, mentre è ricordato per l’imponente affresco di Vicoforte in cui alcuni angeli sollevano la Croce verso il cielo ed altri sorreggono la Sindone. Nello stesso affresco è anche rappresentata la Veronica, come avevamo visto nelle pitture parietali di Lanzo e Cumiana.

L’affresco settecentesco visibile su una casa privata di Cherasco, di fronte alla chiesa di San Gregorio, in via Ospedale angolo via Garibaldi, forse si riferisce all’Ostensione di palazzo Salmatoris, l’unica al di fuori del capoluogo.

C’è un’altra opera sindonica nel cheraschese: un dipinto a fresco sul fronte principale del castello visconteo.

Cherasco si presenta come un grande terrazzo ed in effetti ha una posizione naturalmente strategica, sorge su un’altura circondata dalla Stura di Demonte e la sua storia ha inizio quando il marchese Manfredi Lancia, nel 1243, ordinò la sua costruzione in un’area che già in epoca romana era stata abitata con il nome di Clarascum. Visse annate alterne tra la dominazione di un casato o dell’altro e, nel 1277, come già Asti, Alba e Chieri, entrò a far parte della lega antiangioina, mettendo in evidenza la sua posizione di Comune libero ed indipendente, ma nel 1347 passò sotto il dominio dei Savoia, poi andò a costituire parte della dote della figlia di Gian Galeazzo Visconti, Valentina, andata in sposa a Luigi d’Orleans, fratello di Carlo VII di Francia.  Nel 1348 Luchino Visconti, duca di Milano, dopo aver già preso Asti e Bra, pose sotto assedio anche Cherasco. Vinta la città, procedette a lavori di fortificazione tra cui la costruzione di un castello, posizionato all’angolo sud dell’abitato, dalla struttura quadrangolare dotata di ponte levatoio, con torri poste ai lati e una torre d’ingresso, restaurato alla fine dell’Ottocento da Alfredo d’Andrade.

Con il trattato di Cambrai del 1529, si stabilì che la città tornasse ai Savoia ma il periodo di pace durò poco e Carlo III perse tutte le sue terre (eccetto le terre di Margherita, tra l’alta Moriana e l’alta Valle di Lanzo) e Cherasco rimase contesa sia dai Francesi che dagli Spagnoli. Successivamente, il trattato di Cateau-Cambrésis sancì il definitivo possesso della casata piemontese, che qui trovò più volte rifugio.

L’oratorio della chiesa di Sant’Iffredo sorse tra il XIII e il XIV secolo sul luogo in cui, secondo tradizione, fu ritrovato il corpo di Iffredo, benedettino cheraschese martirizzato dai Saraceni a Manzano, lungo il Tanaro. La prima edificazione fu ad opera dei Benedettini di S. Teofredo di Cervere, che nel Quattrocento abbandonarono l’edificio. Cento anni fa, nel 1915, il Laiolo eseguì un’opera murale all’interno dell’antica chiesa di San Pietro.

Quando, nel viaggio di ritorno, dopo l’estate e finita la guerra, il Duca Amedeo II con la famiglia e la Sindone tornò a Torino, passò ancora per Cherasco con gran tormento del Sindaco che già da giorni si affannava a capire quanti alloggi sarebbero serviti alla famiglia di Amedeo e quanta legna. A settembre la guerra finì e a Cherasco, il Sindaco fece preparare dei lumi da accendere davanti alle finestre delle case la sera del 2 ottobre, per salutare l’arrivo del Duca, della sua famiglia e della Sindone e tutti gli abitanti parteciparono ai saluti, anche i nobili in arrivo da Bra, da Alba e da Bene Vagienna.

In autunno, Cherasco si addobba di un intenso e piacevolissimo profumo, misto di cioccolato e nocciole; da lì, tra i filari di noccioli, si arriva facilmente a Bene Vagienna. La città è sulla strada che da Cherasco porta a Mondovì ed è ricca di affreschi e pitture sindoniche realizzate in anni diversi. Bene Vagienna era passata in mano ai Savoia con Emanuele Filiberto, dopo la pace di Cateau-Cambrèsis, nel 1559, quando la Sindone era ancora a Vercelli dopo lo scampato pericolo di cadere in mano francese ed aver attraversato le Terre di Margherita nel 1535. Fu molto legata, da vincoli di sangue e di amicizia, a casa Savoia; tra i nobili ricordiamo il Conte Costa. Nel secolo XVII le fortificazioni erette nel precedente ne fecero una piazzaforte che divenne presto importante. Nel 1614 il castello fu visitato dal capitano Ascanio Vittozzi, ingegnere di Carlo Emanuele I e, su suo parere, ristrutturato a spese di Bene e dei Comuni di Clavesana, Farigliano, Piozzo, Carrù, Trinità e Salmour.

Tanto basta a rendere Bene Vagienna una città sindonica. Un affresco, posto su un antico pilone, è da ritenersi databile a fine ‘500 circa, per essere ancora in stile Savoia, con la presenza dei Vescovi ai lati della Sindone, un altro con altri vescovi, ma posteriore di qualche anno ed altri ancora con la Sindone sorretta dai santi protettori. Sulla facciata di Casa de Giovannini, in Via Roma, un monumentale affresco secentesco presenta la vergine con ai lati S. Antonio e un angelo alato che sorreggono il Sudario, tutto contornato di una pregevole cornice in stucco.

La città di Bè, come amabilmente la chiamano i suoi abitanti, è talmente affezionata alla tradizione sindonica da aver curato il restauro degli affreschi, da aver ripetutamente allestito mostre e convegni a tema sindonico e da aver coinvolto l’Assessorato alla Cultura della regione Piemonte per contribuire al restauro dell’affresco posto sulla facciata della Parrocchiale dell’Assunta, nella centralissima Piazza Botero. Qui, sopra il portale d’ingresso, è ben visibile un raffinato affresco a tema sindonico raffigurante al centro S. Donato e ai lati Amedeo IX duca di Savoia e la Beata Paola Gambara Costa che tengono disteso il Sacro Lino. L’opera risale al 1649 ed è stata restaurata dal laboratorio Rava, in occasione dell’ostensione della Sindone del 1998.

 

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