Quale filosofia alla base del Femminismo? – V

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Primo: Quale filosofia alla base del Femminismo? – I

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Terzo: Quale filosofia alla base del Femminismo? – III

Quarto: Quale filosofia alla base del Femminismo? – IV

 

L’Evoluzionismo è quella dottrina o, rectius, quella famiglia di dottrine pseudo-scientifica che asserisce il passaggio da una specie, solitamente ritenuta meno evoluta, ad un’altra, di norma concepita come più evoluta, attraverso una serie innumerevole di modificazioni, ciascuna delle quali impercettibile, all’interno della specie di partenza. Più che una teoria scientifica, esso rappresenta il tentativo di vestire in panni scientifici una tesi filosofica logicamente insostenibile.

 

Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553), Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden (1530)

 

L’Evoluzionismo è la risposta più articolata all’esigenza, aprioristicamente posta, di negare la Creazione. Dando per scontato che non possa essere razionalmente concepita la cosiddetta «tesi creazionista», ci si è sforzati di costruire una serie di teorie, che, pur non contraddicendo la dottrina osteggiata, potessero, quantomeno, dare l’idea di poter sussistere a prescindere da essa. Ma già il presupposto è contrario alla logica, come ha già dimostrato Aristotele (384/3-322 a.C.).

Ogni cosa che esiste ha, ovviamente, una causa, che, a sua volta, è cagionata da qualcos’altro e così a seguire. Questa catena, però, non può essere infinita (il cosiddetto regressus ad infinitum), perché, se non esistesse un anello iniziale all’origine di tutti gli altri, non esisterebbe nemmeno la catena e, conseguentemente, non esisterebbe nulla; ed è di ogni evidenza quanto questo sia assurdo. Deve, dunque, esistere un qualche cosa che, pur non essendo causato da nulla, è causa diretta e/o indiretta di tutto ciò che esiste, vale a dire l’anello iniziale della suddetta catena di causa-effetto: l’aristotelica «causa incausata».

Tale causa prima deve contenere in sé tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà, perché, se così non fosse, quanto non è in essa contenuto deve provenire da qualcos’altro e, quindi, essere cagionato da questo e non da quella causa che si era erroneamente definita prima, con la necessità di trovare l’anello effettivamente iniziale della catena.

La causa prima deve, inoltre, essere immutabile, perché, in caso contrario, bisognerebbe trovare una cagione del mutamento fuori di essa, con conseguente ulteriore allungamento della suddetta catena.

Deve essere eterna, perché, se avesse un inizio, esso dovrebbe trovare una cagione al suo esterno ed essa non sarebbe, conseguentemente, prima.

Deve essere spirituale, perché la materia muta, mentre solo lo spirito può permanere.

Deve essere viva, perché, essendo la vita presente nel cosmo, deve provenire da quella.

Deve essere razionale, perché la razionalità esiste e, conseguentemente, deve essere da essa posseduta.

Deve essere tanto potente da poter causare tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà, onde evitare di dover ammettere che qualcosa si sia potuto cagionare da qualcos’altro.

Un essere con le caratteristiche della causa prima suddetta viene normalmente definito Dio. Essendo Dio causa di tutte le cose e necessariamente dotato di libera volontà, Egli è, per forza di cose, anche creatore di tutto ciò che esiste, in maniera diretta o mediante la creazione delle cosiddette «cause seconde», vale a dire degli anelli intermedi di cui discorriamo.

Il presupposto creazionista risulta, dunque, dimostrato.

Anche, però, in presenza di Dio all’inizio della catena causa-effetto del reale, rimane da comprendere come le varie specie di esseri viventi siano venuti all’esistenza, vale a dire se singolarmente create dal nulla o se come risultato di una progressiva mutazione e differenziazione di alcune (poche) iniziali, eventualmente poste in essere ex nihilo[1] dal Creatore; è questa la tesi che cerca di conciliare il creazionismo con l’Evoluzionismo.

Questa dottrina di compromesso non contrasterebbe, stricto iure, con il dogma cattolico, a patto che, ovviamente, si ammetta l’intervento diretto di Dio nella creazione dell’anima umana, a partire dal primo uomo, che sarebbe il frutto dell’evoluzione, quanto al corpo, e della creazione divina diretta, quanto all’anima. È questa una tesi, come si vede, alquanto forzata, per non dire stravagante. Ma i maggiori problemi l’Evoluzionismo li crea non tanto sul piano teologico, quanto su quello prettamente scientifico.

Tutte le specie viventi si presentano come recinti chiusi; i loro ibridi, quando eccezionalmente possibili, sono generalmente sterili. Tali ibridi si possono considerare anomalie che la natura tende ad eliminare, solitamente in una generazione. Anche nei casi in cui questa sterilità non fosse assoluta, ammesso che ciò avvenga, le difficoltà riproduttive porterebbero alla loro estinzione in brevissimo tempo, come messo in luce dagli studi sui muli[2] e sui bardotti[3]. Essi, però, non sono il frutto di un’evoluzione, ma quello di un incrocio e non arrivano mai a costituire una specie a sé stante, capace di perpetuarsi naturalmente nel tempo.

 

Il bardotto

 

Ciascuna specie può subire evoluzioni, anche trasmissibili alle generazioni successive. Tali mutamenti possono anche avvenire solo in alcuni individui e non in altri e solo i primi, ovviamente, li trasmetteranno ai loro discendenti; si pensi, a titolo di esempio, alla differenza di statura tra i Watussi[4] ed i Pigmei[5]. Maggiore è la separazione tra i vari gruppi e più queste peculiarità tenderanno ad accentuarsi, a parità di altri fattori esterni; esse possono essere, infatti, causate anche dall’influenza dell’ambiente esterno. Queste caratterizzazioni e questi mutamenti, però, non sono mai tali da provocare, come, invece, sostengono gli evoluzionisti, il cosiddetto «salto di specie», vale a dire la nascita di un individuo di una specie da genitori di un’altra. A smentire l’assurdità di tale dottrina non basta il moltiplicare a dismisura gli anni in cui questo “prodigio” si produrrebbe: ci sarebbe sempre il momento in cui il figlio sarebbe di una specie differente da quella dei genitori ed è proprio questo che è impossibile.

Quanto l’Evoluzionismo sia una ideologia piuttosto che una teoria scientifica è dimostrato dalla sua stessa evoluzione dottrinale. Le ipotesi scientifiche tendono nascere semplici e, per così dire, “estreme”, per poi arricchirsi e sfumarsi, al fine di accogliere nel proprio seno i casi inizialmente non considerati o che possono smentirle, se mantenute nella loro “purezza” originaria. Le ideologie, invece, tendono al percorso opposto: iniziano più “blande”, al fine di rendersi maggiormente accettabili, per poi irrigidirsi progressivamente, in una sempre maggiore schematizzazione, tesa ad emarginare i “moderati”, considerati come cripto-traditori: «A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura» diceva Pietro Nenni (1891-1980). Ed all’Evoluzionismo è accaduto proprio questo. Dalle teorie che vedono l’evoluzione come lo sviluppo di singole specie in altre, si passa ad una teoria generale dell’Evoluzionismo, in cui si afferma, sempre senza la benché minima prova scientifica, che le varie forme di vita non sono altro che il continuo passaggio dal semplice al complesso; in quest’ottica, si postula che tutti gli esseri viventi derivino da organismi monocellulari. Si elimina dal proprio orizzonte il concetto stesso di «specificità umana» e si riduce l’uomo ad un animale come gli altri, magari evoluto, ma che discende da bestie più semplici. Inizialmente ci si riferisce alle scimmie, ma presto anche questo non appare sufficiente e si sposta sempre più verso il basso l’origine umana. Nella sua versione più “evoluta” si giunge a teorizzare ciò che la scienza ha sempre definito come assurda superstizione, ossia l’abiogenesi[6], vale a dire la nascita della vita da materiale organico non vivo.

È evidente come l’aspetto ideologico tenda progressivamente sempre più a prescindere da quello scientifico, “protetto” dal sottilissimo e trasparente velo del tempo. Ciò che risulta assolutamente contrario a tutte le leggi della biologia viene ritenuto “possibile” solo con una dilatazione a dismisura delle tempistiche: ciò che non è possibile in un millennio “deve” divenire plausibile in milioni di anni, solo perché è teorizzato dall’ideologia prescelta. La scienza, agli occhi di questi “filosofi”, cessa di essere umile e neutrale osservazione della realtà e delle sue leggi, per divenire il vestito che deve rendere accettabili le proprie assurde teorie.

E, come ogni ideologia che si rispetti, anche l’Evoluzionismo volge lo sguardo al passato per dominare il futuro: è una forma di bipensiero, vale a dire di dissociazione sistematica di ciò che è comandato di pensare dalla realtà. Eric Arthur Blair (1903-1950), noto con lo pseudonimo di George Orwell, lo ha sintetizzato in maniera mirabile nel romanzo-denuncia «1984», con lo slogan, attribuito al regime dominante, «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato». E l’Evoluzionismo non fa eccezione: dopo aver affermato che l’uomo “discende” dalla materia inerte, pretende di destinarlo ad un futuro non più umano, secondo la dottrina che si definisce «Transumanesimo», vale a dire passaggio dall’umanità alla non umanità. E il cerchio si chiude: dalla materia morta all’uomo e dall’uomo all’essere creato in laboratorio.

Ed è qui che l’Evoluzionismo mostra il suo vero volto volontarista. Abbiamo detto (qui) che la storia del pensiero umano può essere riassunta nello scontro tra chi ritiene che la ragione debba dominare sugli istinti, con il conseguente riconoscimento del reale e della sua conoscibilità, con la natura a fare da stella polare all’agire umano, e chi giudica che tutto sia possibile, con il primato della volontà, non essendoci alcuna natura umana cui conformarsi; l’Evoluzionismo, fin dalle sue origini, si colloca in questa seconda visione, negando all’uomo ogni sua specificità rispetto al mondo animale, dal quale, addirittura, lo fa derivare. Ma è nell’ultima fase che questo suo Volontarismo lo spinge a prevedere come possibile e persino auspicabile un superamento dell’umano.

In questa logica, il Femminismo diviene una particolare forma di Evoluzionismo, in quanto postula il “superamento” della natura sessuata e sociale dell’uomo. La rivoluzione femminista vuole, nella sua forma minimale, la distruzione della famiglia e della società, e, nella sua forma più “compiuta”, il superamento del concetto stesso di maschio e di femmina.

Il successo di tale rivoluzione condurrebbe, nella sua forma minimale, a ridurre l’uomo ad un essere non più pienamente umano, anche se non ancora compiutamente trans-umano. Nella sua forma più “compiuta”, invece, porterebbe ad una completa uscita dall’umanità, dando uno specifico contenuto a ciò che l’Evoluzionismo più esasperato abbozza solamente.

L’Omosessualismo e le dottrine Gender risultano, quindi, come il coronamento e la conduzione alle più estreme conseguenze del Femminismo, in un’ottica esasperatamente evoluzionistica. Non per nulla, sotto il cappello delle «politiche di genere», Femminismo ed Omosessualismo marciano tanto insieme da confondersi.

La difesa della natura umana da questa minaccia, che è triplice, ma, allo stesso tempo, è unitaria, richiede, quindi, la riscoperta e la valorizzazione della spiritualità, della sessualità e della socialità dell’uomo.

 

(5-continua)

 

[1] Dal nulla.

[2] Incroci tra un asino ed una giumenta.

[3] Incroci tra un cavallo ed un’asina.

[4] Popolazione di origine etiopica, caratterizzata da una statura molto elevata.

[5] Popolazione dell’Africa equatoriale di statura molto bassa.

[6] Dal greco βίος (bios) = vita, γένεσις (ghénesis) = origine, preceduto dall’α (alfa) «privativo», che nega il concetto che segue, significa origine (della vita) dalla non vita.

 

 

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