Quale filosofia alla base del Femminismo? – IV

Home » Quale filosofia alla base del Femminismo? – IV

 

Articoli precedenti:

Primo: Quale filosofia alla base del Femminismo? – I

Secondo: Quale filosofia alla base del Femminismo? – II

Terzo: Quale filosofia alla base del Femminismo? – III

 

Come abbiamo accennato in apertura (qui), il Femminismo consiste, essenzialmente, nella negazione della natura umana, come sopra descritta, e, soprattutto, nel principio della modificabilità dell’essere, normalmente volgarizzato nel motto «ciascuno può essere ciò che vuole». Si tratta di una delle forme più avanzate di volontarismo.

Tutta la storia del pensiero umano può, secondo una certa angolatura, essere sintetizzata nella perenne lotta tra il realismo ed il volontarismo, che vi si contrappone; parliamo, ovviamente, di famiglie di dottrine, più che di dottrine specifiche, soprattutto per quanto concerne il volontarismo.

Il realismo è l’approccio filosofico che si basa sul presupposto dell’esistenza della realtà e della sua conoscibilità, tramite la ragione. Una volta conosciuto ciò che è (metafisica), con le sue leggi, la ragione elabora i princìpi e le norme, la cui applicazione permette all’uomo di conformarsi sempre più perfettamente alla propria natura (etica). Ogni singolo essere (ente) è caratterizzato da un insieme di peculiarità che condivide con gli altri enti a lui simili; tale insieme di proprietà è denominato natura. Ogni singolo essere, poi, può avere delle peculiarità, che possono allontanarlo dalla perfetta aderenza alla propria natura o meno: nel primo caso si tratterà di imperfezioni, mentre nel secondo si tratterà di «accidenti»[1] neutri. Fusioni minerali di zolfo all’interno del diamante, ad esempio, non ne modificano la natura, ma ne diminuiscono la perfezione, almeno dal punto di vista della purezza, e, conseguentemente, sono imperfezioni, mentre le differenze di peso, normalmente espresse in carati, sono degli accidenti che non influiscono sulla sua perfetta aderenza alla natura del diamante, anche se, nel caso specifico, ne modificano il valore monetario.

Questi princìpi valgono per tutti gli esseri creati; per quanto, invece, riguarda Dio, ci si dovrebbe addentrare nel mistero trinitario, che esula dal nostro discorso. Gli esseri viventi possono, nella loro vita, mutare queste caratteristiche, tanto avvicinandosi alla perfezione della loro natura, quanto allontanandosene ulteriormente; ma solo gli uomini (il discorso per le creature angeliche è più complesso e comporterebbe divagazioni estranee all’argomento in parola), in quanto dotati di anima razionale, possono, sia pur entro certi limiti, decidere di intraprendere tale cammino in una direzione piuttosto che nell’altra: è, per questa ragione, che solo per loro si pone il problema morale (qui).

Il volontarismo, invece, nega tutto ciò ed attribuisce ai desideri, piuttosto che alla ragione, la base dell’agire umano e, conseguentemente, vede nella realtà il risultato del tentativo di soddisfare tali impulsi. Il presupposto da cui parte è, nella migliore delle ipotesi, l’inconoscibilità razionale di ciò che esiste (agnosticismo filosofico), quando non giunge a negare addirittura l’esistenza dell’essere; tale presupposto è già racchiuso nell’antica massima degli scettici greci, secondo la quale «nulla esiste e, se, per caso, qualcosa dovesse esistere, non sarebbe conoscibile e, se, per assurdo, potesse essere conosciuta, non sarebbe comunicabile». Qui sono già racchiuse tutte le gradazioni di scetticismo che supportano le varie concezioni volontariste.

Anche nell’ipotesi di accettare lo scetticismo più moderato (incomunicabilità del reale), il ruolo della ragione diverrebbe del tutto secondario e subordinato a quello della volontà. L’essere umano non agirebbe più per conformarsi alla sua vera natura, conoscibile e comunicabile, ma per conformare il reale ai propri desideri: l’uomo, non potendo conoscere in modo oggettivo la realtà, neppure su se stesso, non può conformarsi ad essa, ma è costretto a limitarsi a tentare di renderla “più gradevole”, riducendo l’etica alla continua ricerca del desiderabile, con l’esclusione di ogni riferimento alla oggettiva giustizia, salvo, poi, chiamare giusto (e, normalmente, diritto) ciò che i suoi appetiti gli dettano.

La giustizia è dare a ciascuno il suo. È di ogni evidenza che, perché qualcosa sia di qualcuno e questo sia oggettivo e, conseguentemente, imponibile a tutti, è necessario che sia reale ed universalmente conoscibile, quindi immutabile (l’universalità, ovviamente, attraversa sia il tempo che lo spazio); se ciò non è possibile, non può esistere alcun tipo di giustizia e tutto viene lasciato ai desideri di ciascuno, diversi da persona a persona, da comunità a comunità e da epoca ad epoca. Il volontarismo è, quindi, costretto ad affidarsi ai sentimenti delle persone ed a far leva su di essi, con l’inevitabile conseguenza di sfociare nel più assoluto sentimentalismo.

Caratteristica essenziale delle dottrine volontariste è il prescindere, in maniera pressoché assoluta, dalla realtà dei fatti e, soprattutto, dalla loro analisi razionale, rifiutando sdegnosamente di accettare l’evidenza della realtà; ne consegue un disprezzo per il passato ed una fede cieca “nell’onnipotenza” della volontà, ritenuta capace di modellare il reale a proprio piacimento.

Tutti i regimi totalitari hanno una connotazione volontarista, a volte implicita ed a volte esplicitata. Una delle espressioni artistiche migliori e che maggiormente chiarisce come questo approccio obnubili la ragione è il film «Il trionfo della volontà» (1935) di Helene Bertha Amalie (Leni) Riefenstahl (1902-2003): si tratta di un documentario di propaganda nazista del raduno del partito a Norimberga, nel settembre 1934. L’opera, già dal titolo, fa emergere il filo conduttore dell’ideologia nazionalsocialista, comune, come dicevamo, a tutti i regimi totalitari: la volontà del regime, se applicata con ferrea determinazione, è in grado di superare qualunque ostacolo e di modificare il reale a suo piacimento. La perizia tecnica dell’opera ed i suoi risultati estetici sono di altissimo livello, ma qui se ne vuole sottolineare l’aspetto contenutistico di fondo: ogni considerazione razionale deve essere bandita e lo spettatore deve essere immerso in una sorta di “orgia” di immagini e di suoni, in modo che i suoi istinti ed i suoi sentimenti siano rapiti ed egli si trovi gioiosamente trasportato, come dalla corrente impetuosa di un fiume, all’adesione a quanto viene non proposto, ma fatto sentire, quasi come inevitabile e, comunque, sempre come esaltante, nella sua gradevolezza.

Il Femminismo è pienamente volontarista, perché rifiuta la natura sessuata dell’uomo e pretende di costruire una persona completamente nuova, diversa da quella che finora ha calcato le terrene zolle; rifiuta il concetto stesso di famiglia; condanna, infine, tutta la storia umana come un susseguirsi di malvagità e di ingiustizie elevate a sistema.

Si può affermare che esso sia il penultimo stadio evolutivo dell’evoluzionismo stesso, anche se tende a confluire nell’ultimo, come vedremo nel prossimo articolo.

 

(4-continua)

 

[1] Per «accidenti» Aristotele (384-322 a.C.) intendeva caratteristiche secondarie che non mutano la natura dell’oggetto a cui si riferiscono.

 

 

Facebook
WhatsApp
Twitter
LinkedIn
Stampa
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Mettiti in contatto con noi!

Hai delle domande o delle osservazioni da comunicarci?
Ti risponderemo il più rapidamente possibile!

Europa Cristiana

Direttore Carlo Manetti

Iscriviti alla nostra newsletter

Se ci comunichi il tuo indirizzo e-mail, riceverai la newsletter periodica che ti aggiorna sulla nostre attività!

Ogni settimana riceverai i nostri aggiornamenti e non di più.

Torna in alto