Giovanni Fausti nacque a Brozzo, frazione di Marcheno, in Val Trompia (in provincia e diocesi di Brescia) il 9 ottobre 1899, primo dei dodici figli di Antonio Fausti e Maria Sigolini, genitori religiosi e inclini alla carità.
Fanciullo felice e sereno, dedito anch’egli, nel suo piccolo, a intensificare la comunione e l’affetto in famiglia. Testimonia la sorella Suor Umbertina: “… tanto era, fin dai primi anni di scuola, il suo amore allo studio che, quando doveva attendere ai fratellini, cullarli, si legava una cordicella al piede e così senza distrarsi se ne stava al suo tavolino intento sui suoi libri”. Maturò la vocazione sacerdotale e a 10 anni entrò nel Seminario di Brescia, dove ebbe come compagno di studi Giovanni Battista Montini, il futuro Beato Paolo VI.
Verso i 18 anni, nel 1917, fu chiamato alle armi e dovette interrompere gli studi. Nel 1920, dopo aver seguito un corso all’Accademia Militare di Modena, fu mandato in servizio a Roma dove frequentò la Facoltà di Lettere presso l’Università.
Congedato nello stesso 1920 col grado di sottotenente di artiglieria, riprese gli studi presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Dal suo Rettore del Seminario di Brescia, così fu presentato: “… il giovane ha sempre manifestato segni evidentissimi di vocazione allo stato ecclesiastico, specialmente con l’amore alla pietà, alla disciplina e allo studio. Gode ottima salute ed è fornito di sufficiente ingegno”. Il 30 dicembre 1920, aveva solo 21 anni, così annota nel suo diario: “Se poi un giorno vorrai fare di me un apostolo, un dotto, un martire oscuro del tuo amore, tutto accetto, o Gesù, e specialmente ciò che può farmi assomigliare di più a te, che fosti così umiliato e tanto soffristi nella tua vita mortale. Ora voglio attendere a rendermi forte e pronto a far ciò che tu vorrai da me, o Gesù”. Fu quindi ordinato sacerdote il 9 luglio 1922, laureandosi poi in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e in filosofia all’Accademia San Tommaso. Nel 1923 era già professore di filosofia nel Seminario di Brescia.
Da due anni appena era sacerdote diocesano quando fu colto da una folgorazione che neppure lui seppe spiegarsi, come nota nel suo Diario al giorno 1° ottobre 1924: “… Il 5 giugno non sapevo dir di no al S. Cuore di Gesù che mi pareva che mi dicesse di far presto… in poche parole m’intesi col direttore e decisi: da quel momento ero già Gesuita di elezione; la cosa era fatta e io non sapevo spiegarmi come. Mi pareva di essere su una nuova via, spintovi dalla grazia di Dio e mi pareva di sentire una voce insistente: è finita, non posso più tirarmi indietro! Ho detto di si, deve essere di Sì!…“.
Il 30 ottobre 1924, con il permesso del suo vescovo, entrò nella Compagnia di Gesù a Gorizia. Così egli scrive nel suo Diario: “13 novembre 1924 – Giorno della vestizione. Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te – quid ergo erit nobis? Oltre la materiale spoliazione di tutte le cose mie, voglio spogliarmi anche dell’affetto naturale che sento verso le persone: da oggi non sono che di Gesù, e i miei affetti saranno soltanto spirituali, non per questo meno forti, anzi di più, sicuro che in paradiso amerò di più ancora che su questa terra. Verso di me stesso comincerò pure la lotta del disfacimento del mio io carnale, per vivere solo di Gesù in umiltà sincera e perfetta carità. Questo è il cento per uno che domando a Gesù, alla Mater Divinae Gratiae, a S. Stanislao”.
Terminato il noviziato con la professione dei primi voti il 31 ottobre 1926, fu mandato a Chieri (TO) nello scolastico della Provincia Torinese, dove si fermò due anni per approfondire la filosofia e la teologia. Dal 1929 al 1932 fu inviato in Albania come professore di filosofia presso il Pontificio Seminario di Scutari, affidato ai Gesuiti. Imparò celermente la difficile lingua albanese, compiendo studi approfonditi sull’Islam per poter avviare un serio e concreto dialogo fra islamici e cristiani.
Negli anni dal 1931 al 1933 scrisse una serie di articoli su questo tema, per le pagine della rivista «La Civiltà Cattolica», che furono poi raccolti e pubblicati nel volume «L’Islam nella luce del pensiero cattolico». Sempre in quest’ottica, fondò la Lega «Amici Oriente Islamico», diffusa in Italia e all’estero.
Nel 1932 fu richiamato in Italia a Mantova, come professore di filosofia e “ministro”, ovvero responsabile di quella comunità gesuitica. Lì si manifestarono i sintomi della tubercolosi, malattia di cui era già stato affetto in forma leggera quand’era in Albania. Pertanto, dall’agosto 1933 e fino al 1936, dovette sottoporsi a cure lunghe e specifiche, prima in Alto Adige e poi a Davos in Svizzera.
All’inizio del 1936 riprese l’insegnamento, questa volta alla Facoltà «Aloisianum» di Gallarate (in provincia di Varese e diocesi di Milano), dove, il 2 febbraio 1936, emise la professione solenne. A Gallarate rimase sei anni, dimostrando eminenti doti pedagogiche e intellettuali. Nello stesso periodo scrisse il volume «Teoria dell’astrazione», pubblicato postumo nel 1947.
I Superiori della Compagnia di Gesù, coscienti delle sue doti e virtù, nel luglio 1942 decisero di affidargli un compito delicato e molto arduo, quello di Rettore del Pontificio Seminario di Scutari in Albania e dell’annesso Collegio Saveriano. Dopo un anno, nel 1943, trasferì i suoi incarichi a un gesuita albanese, padre Daniel Dajani.
Si spostò poi a Tirana, dove fu impegnato a difendere ed assistere gli italiani e gli albanesi, sia cristiani che musulmani, coinvolti nella tragedia della seconda guerra mondiale. Venne pure ferito da una pallottola tedesca che colpì l’apice del polmone sano, rompendogli la clavicola.
La situazione peggiorò ancora quando, alla fine del 1944, i tedeschi si ritirarono e i partigiani comunisti, comandati da Enver Hoxha, conquistarono il potere ed effettuarono ogni sorta di soprusi nei confronti dei cattolici.
Si accanirono in maniera particolare contro i vescovi, i francescani e i Gesuiti; questi ultimi perché, attraverso l’educazione dei giovani, contribuivano alla formazione culturale delle classi dirigenti del Paese, specie nel Nord.
Sentendo forte la passione per lo studio, come autentico culto da rendere a Dio, pur optando per questo tipo di lavoro, si sottopose alla volontà di chi doveva decidere di lui. Scrivendo il 23 marzo 1945 al Vicario Generale della Compagnia di Gesù, tra l’altro dice: “Se l’obbedienza esige da me per tutta la vita questo contrasto fra aspirazioni intime [lo studio] ed esigenze esterne, come religioso mi sottometto senza discutere; ma se i Superiori vorranno riesaminare il problema nel migliore impiego delle mie energie per il bene della Chiesa e della Compagnia, ne sarò loro grato. Da molti anni recito ogni mattina, dopo la Messa, il «Veni Sancte Spiritus», perché lo Spirito Santo illumini i miei Superiori, ai quali ho consegnato la mia libertà, sul migliore impiego che essi possano fare di me. Detto questo, mi dichiaro contento di ogni futura decisione e destinazione e attenderò tranquillamente qui a Tirana le decisioni dei Superiori su ciò che debbo fare”.
Fiduciosi nella prudenza di padre Giovanni, i superiori, nel maggio 1945, lo promossero Viceprovinciale dei Gesuiti in Albania.
Neppure una decina d’anni prima, nella terza settimana degli esercizi spirituali del 1936, che fece a Bassano del Grappa, riflettendo su quanto aveva meditato annota: “Gesù viene poi alle prese colla politica: altra terribile ed eterna questione, che rende tanto difficile il nostro lavoro apostolico, e questo non solo nelle terre infedeli, ma anche nelle stesse nazioni cattoliche; quanto bisogna pregare affinché il buon Dio guidi le sorti di questa cieca politica che non vuol vedere altro che la miserabile terra e non sa mai alzare gli occhi al cielo! Gesù previde anche questo, e un vero cattolico non può fare a meno di vedere anche le questioni politiche e nazionali sub specie aeternitatis e pregare il Signore che attraverso le agitazioni e le traversie della storia umana prepari l’avvento del suo regno. In questi momenti, in cui tanti interessi religiosi sono in giuoco assieme alla politica, bisogna pregare il Signore che si degni di guidar Lui ai suoi santissimi fini lo svolgersi degli avvenimenti. È certo con pena immensa che si deve constatare come quasi tutte le nazioni seguano oggi una politica anticristiana o antireligiosa: fino a quando, o Signore permetterai tanto male? Gesù ha voluto soffrire in sé quelle ingiustizie che poi si sarebbero perpetuate nei secoli contro la sua Chiesa. Egli ha vinto i suoi nemici di allora e vincerà anche quelli che verranno in tutti i tempi; ciò non toglie che noi dobbiamo soffrire quelle ingiustizie come se fossero fatte personalmente a noi, dato che toccano le vive carni del corpo mistico di Gesù al quale noi pure partecipiamo”.
Nel mese di dicembre uno degli studenti del Seminario, Fran Gaçi, morì in casa propria, dopo essere stato torturato dalla Sigurimi (la polizia segreta) e rilasciato. Il 31 dicembre, insieme a padre Daniel Dajani, si recò nel villaggio d’origine del giovane, per una Messa di suffragio.
La sera stessa, appena tornati a Scutari, i due sacerdoti vennero arrestati. Padre Giovanni fu tenuto in isolamento per due mesi e, anche in seguito, fu sottoposto a torture. L’accusa, non provata, che fu rivolta loro era di essere politicanti traditori della nazione, asserviti agli occidentali e spie del Vaticano, oltre che di aver favorito la formazione dell’Unione Albanese.
Si trattava in realtà dello pseudonimo con cui i seminaristi Mark Çuni e Gjergj Bici avevano firmato alcuni volantini con cui avevano cercato di contrastare la propaganda comunista, stampati in proprio e senza farne parola con i superiori.
Ogni volta che doveva passare dalla prigione al tribunale, padre Giovanni veniva pesantemente insultato. Una donna, ad esempio, si fece avanti gridando con voce rabbiosa: «Una pallottola in fronte!» e, così dicendo, gli sputò in faccia. In risposta, lui fece un cenno col capo e commentò: «Perdona, o Padre, perché non sa quello che sta facendo!».
Una toccante testimonianza del carcere nei riguardi di P. Fausti è stata data con dovizia di particolari dall’allora diciassettenne Giovalin Zezaj, arrestato e in prigione con lui con le stesse accuse: “lo ho avuto l’occasione di restare più spesso con P. Giovanni Fausti. Per la prima volta nella mia vita l’ho visto e conosciuto in carcere quando andavo in un bugigattolo sotto una scala, che serviva come cella, ma contemporaneamente serviva anche come gabinetto per alcuni arrestati, che eravamo al piano terra. In quella cella improvvisata si trovava legato l’onorato Padre e io, quando entrai, lo salutai, e poi gli ho parlato con voce molto bassa. Un’altra volta volevo dargli delle arance, ma lui mi disse con la sua voce dolce: «No, figlio, tu hai bisogno di nutrirti». Ogni volta, e ciò capitava due o tre volte al giorno, questo dipendeva dalle guardie buone o cattive, lo trovavo con le mani giunte e pregava sempre. Ebbe molta fiducia nei miei riguardi e parlava con me senza paura. Mi dava coraggio e mi diceva che dobbiamo pregare sempre Dio e che non dobbiamo perdere mai la speranza in lui che ci aiuta. Ogni volta che lo incontravo faceva tutto il possibile per tenermi su di morale, dicendomi tra l’altro: «Gesù ha detto: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Così mi dava coraggio perché ero molto giovane. Avevo un grande desiderio di incontrarlo spesso. Mi sembrava proprio un santo. Ancora oggi non posso capire come poteva essere così tranquillo in quella cella così terribile, in cui mancava completamente l’aria pura. Nonostante tutto, continuava a essere calmo e parlava sempre di speranza in Dio. Gli interrogatori si facevano sempre dopo la mezzanotte per terrorizzare sempre più le nostre anime, e quando venivano i poliziotti, come demoni, a prelevare il Padre, lui era molto tranquillo e saliva le scale adagio, adagio, forse pregava anche allora”.
Il 22 febbraio 1946 vennero lette le sentenze. Otto furono i condannati a morte per fucilazione: padre Gjon Shllaku, padre Giovanni Fausti, padre Daniel Dajani, i seminaristi Mark Çuni e Gjergj Bici, i laici Gjelosh Lulashi, Fran Mirakaj e Qerim Sadiku. Gli altri furono invece destinati al carcere, per un periodo che poteva andare dai cinque anni all’intera vita, di fatto, se avessero anche minimamente trasgredito. Per Gjergj Bici la sentenza venne poi cambiata in anni di lavori forzati, mentre Fran Mirakaj risulta che sia morto nel settembre 1946.
All’alba del 4 marzo, i sei rimasti furono trasportati al cimitero cattolico di Scutari, luogo della loro esecuzione. Alle 6 in punto venne dato l’ordine di fare fuoco agli otto soldati del plotone, armati di mitragliatrici.
Padre Giovanni pronunciò quindi le sue ultime parole: «Sono contento di morire nell’adempimento del mio dovere. Salutatemi i fratelli gesuiti, i diaconi, i sacerdoti e l’arcivescovo». Il grido comune dei condannati fu: «Viva Cristo Re! Viva l’Albania!».
Preparandosi a ricevere l’Ordine maggiore del Suddiaconato, allora aveva solo 23 anni, aveva appuntato nel suo Diario: “8 aprile 1922 – La morte – La cara consigliera, la consolatrice di chi lotta per il Signore. Che io non la tema mai, o mio Dio. lo vivrò del mio meglio, invocando quell’ora come una liberazione: abbandonerò allora le mie miserie alla tua misericordia, e verrò a te, o mio Dio”, E così fu!
La notizia del martirio di padre Giovanni Fausti e dei suoi compagni si diffuse celermente in tutto il mondo cattolico, suscitando dolore e stupore. La Compagnia di Gesù, pochi anni dopo, ebbe un ulteriore martire, il fratello laico Gjon Pantalia, morto il 31 ottobre 1947.
Nell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania e capeggiati dal vescovo Vincenç Prennushi, figurano anche padre Giovanni Fausti e i suoi compagni. Sono stati tutti beatificati il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.
1 commento su “Padre Giovanni Fausti, nel 75° anniversario del martirio”
GRAZIE per aver ricordato la vita di questi eroici martiri del Cristianesimo in questo periodo storico di apostasia e di ferocia. La morte del Beato GIOVANNI FAUSTI e dei seminaristi ci fa altresì riflettere sulla realtà di certe dottrine politiche persistenti ancora oggi e che continuano a spargere odio e violenza contro il cristianesimo e la Chiesa. GRANDE è LA NOSTRA RESPONSABILITà NELL’AIUTARE I FRATELLI PIù SPROVVEDUTI A NON CADERE NELLA RETE DELL’ACCONDISCENDENZA E DELLA TOLLERANZA. Diventerebbero complici di cose orribili contro DIO e contro gli esseri umani.