L’11 maggio, due giorni prima della solennità di Nostra Signora di Fatima, è stato arrestato il salesiano cardinale Joseph Zen Ze-kiun, il coraggioso prelato novantenne critico nei confronti del regime comunista di Pechino, ma anche dell’Accordo provvisorio fra Pechino e la Santa Sede, sbilanciato a favore del potere politico cinese. Il cardinale di Hong Kong ha ricevuto un fermo per motivi di sicurezza nazionale e poi è stato rilasciato su cauzione. L’accusa del Governo di Pechino è di collusione con le forze straniere, uno dei reati che, in base alla legge imposta da Pechino all’ex colonia nel 2020, porta a pene molto severe, compreso l’ergastolo.
Il cardinale non è in buoni rapporti con la Cina per le critiche al controllo del partito Comunista verso le comunità religiose e per essere difensore dei diritti civili. Già a gennaio era stato accusato di aver incoraggiato nel 2019 alcuni studenti a ribellarsi ad alcune misure prese da Pechino. Zen Ze-kiun è una figura molto importante, sia come guida spirituale di Hong Kong, ma di grande interesse anche nella cultura politica.
L’accusa nei suoi confronti, oltre che di collusione con le forze straniere (una delle quattro tipologie di reato della legge sulla sicurezza nazionale introdotta nel giugno del 2020, insieme a sovversione, secessione e terrorismo), è in relazione al suo ruolo di amministratore del «612 Humanitarian Relief Fund», un fondo a sostegno dei manifestanti pro-democrazia, nelle spese legali e sanitarie che essi devono affrontare. L’organizzazione di cui il Cardinale è stato amministratore, è stata istituita nel 2019 e sciolta lo scorso l’anno successivo. Oltre a Zen sono stati arrestati, e poi rilasciati anch’essi su cauzione, altri tre promotori del fondo: Margaret Ng, avvocatessa ed ex deputato dell’opposizione, la cantautrice Denise Ho e l’accademico Hui Po-keung. (Nella foto a destra: il cardinale Joseph Zen, il primo a sinistra, e l’ex parlamentare dell’opposizione Margaret Ng, a destra, afp).
Il cardinale è stato rilasciato dopo qualche ora di interrogatorio nella stazione di polizia di Wan Chai, sull’isola di Hong Kong e uscito dalla caserma non ha rilasciato dichiarazioni. L’agenzia AsiaNews del Pime ha riportato: «Zen è da tempo nel mirino del governo cinese. A gennaio la stampa pro-establishment ha pubblicato quattro articoli in cui lo si accusava di aver incitato gli studenti a rivoltarsi nel 2019 contro una serie di misure governative».
Il porporato è inviso a Pechino anche per le sue critiche al controllo esercitato dal Partito comunista cinese sulle comunità religiose. Egli ha condannato la rimozione delle croci dall’esterno delle chiese in Cina e ha celebrato negli anni Messe in ricordo delle vittime di Tiananmen: i giovani massacrati dalle autorità il 4 giugno del 1989 per aver chiesto libertà e democrazia. Fortemente contrario all’accordo tra il Vaticano e la Cina sulla nomina dei vescovi, la sua voce si era levata alta anche in difesa degli uiguri, un’etnia che vive nello Xinjiang: «È orribile quello che stanno facendo ai musulmani, con i campi di concentramento. Fanno sterilizzazione di massa e vogliono distruggere una razza. Sono crimini orribili».
È interessante scoprire, a questo punto, chi è questo combattente ed anziano Principe della Chiesa. È nato a Yang King-pang, nella diocesi di Shanghai, il 13 gennaio 1932, da Vincent e Margaret Tseu. Ha dichiarato egli stesso: «I miei genitori erano cristiani, mio padre era così fervente che voleva diventare sacerdote, ma il missionario che lo battezzò lo convinse invece a sposarsi. Ancora oggi – aggiunge – secondo un’antica consuetudine e una pratica saggezza, nella Chiesa cattolica solitamente si tende a non ammettere agli ordini sacri gli appartenenti alla prima generazione di convertiti». Inoltre: «Quando ero bambino alla domenica mio padre mi portava a cinque Messe, due in parrocchia e tre in altre chiese, ma non mi sono mai annoiato. I miei genitori avevano un buon livello di educazione. Sfortunatamente, durante la guerra con il Giappone, mio padre che era ingegnere, si ammalò gravemente, e perdemmo ogni fonte di sostentamento. Per qualche anno vivemmo in estrema povertà, e mia madre fu costretta a vendere i suoi pochi gioielli per procurarci il pane. Il parroco ci aiutò e, conoscendo le mie intenzioni, mi indirizzò presso l’aspirantato che i Salesiani avevano aperto a Shanghai. Essi mi accolsero, e feci il noviziato a Hong Kong. Fu un anno bellissimo. Il superiore, don Carlo Braga, era un sant’uomo, dal cuore grande. Don Braga fu definito il “Don Bosco della Cina”».
Proprio nella famiglia salesiana il futuro Vescovo di Hong Kong ha emesso la prima professione il 16 agosto (giorno della nascita di san Giovanni Bosco) 1949 e quella perpetua il 16 agosto 1955. In seguito ha studiato alla Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo Salesiano di Torino, quartiere Crocetta, dove è presente l’Istituto internazionale Don Bosco, per poi proseguire gli studi a Roma. Dopo essere stato ordinato sacerdote a Torino l’11 febbraio (nel giorno di Nostra Signora di Lourdes) del 1961, fece ritorno in patria, diventando insegnante allo studentato salesiano di Hong Kong e al Seminario diocesano Holy Spirit. Per sei anni è stato Superiore Provinciale per la Cina della Società Salesiana di San Giovanni Bosco e dal 1989 al 1996 ha insegnato filosofia e teologia sacramentaria in alcuni Seminari cinesi, fra cui quello di Sheshan, alla periferia di Shanghai, che ospita i seminaristi delle diocesi delle sei province dell’est della Cina: Fujen, Shandong, Zhejiang, Jiangsu, Hanshui e Shanghai.
Il 13 settembre 1996 papa Giovanni Paolo II lo nominò Coadiutore della Diocesi di Hong Kong, ricevendo l’ordinazione episcopale il 9 dicembre; mentre, a conclusione dell’udienza generale del 22 febbraio 2006, Benedetto XVI annunciò l’intenzione di crearlo cardinale: «Questa nomina», così commentò l’elevazione a tale dignità, «è un segno di benevolenza e di affetto del Papa per tutta la Cina. E se io accetto, l’accetto per tutta la Cina. Ho ormai quasi 75 anni e pensavo di andare in pensione. Adesso non so cosa mi accadrà. Staremo agli ordini ed obbediremo. Forse il Papa avrà bisogno ogni tanto di qualche consiglio. Sulla Cina ci sarà molto da lavorare».
Vescovo emerito di Hong Kong dal 15 aprile 2009, il cardinale Zen non ha esitato a criticare l’accordo Provvisorio stipulato tra Roma e Pechino nel 2018 e rinnovato nel 2020 fino al 22 ottobre 2022. Per la prima volta, spiega Vatican Newsn tutti i Vescovi in Cina, compresi quelli allineati con il regime, «sono in comunione con il Vescovo di Roma e, grazie all’implementazione dell’Accordo, non ci saranno più ordinazioni illegittime. Bisogna tuttavia rilevare che con l’Accordo non sono state affrontate tutte le questioni aperte o le situazioni che suscitano ancora preoccupazione per la Chiesa, ma esclusivamente l’argomento delle nomine episcopali, decisivo e imprescindibile per garantire la vita ordinaria della Chiesa» (Vatican News).
Zen è da sempre un forte oppositore di ogni intesa con il governo di Pechino: la considera una vera e propria «resa» del Vaticano di fronte alle pretese della Cina, da sempre ostile e persecutoria nei confronti della Chiesa cattolica. Siglare un accordo con il regime comunista ha sempre significato per il Vescovo emerito di Hong Kong «tradire Gesù Cristo» e «Forse il Papa è un po’ ingenuo, non ha il background per conoscere i comunisti in Cina. Il Papa conosce i comunisti perseguitati in America latina, ma potrebbe non conoscere i persecutori comunisti che hanno ucciso centinaia di migliaia di persone». Non esiste un’unica grande Chiesa cattolica in Cina, bensì due realtà ecclesiastiche: una comunità sotterranea, fedele al Pontefice e quella patriottica controllata dal governo.
Con questo accordo, secondo il cardinale ci si dirige verso una «falsa libertà, si dà l’impressione della libertà, ma non è una libertà reale. La gente prima o poi vedrà che i vescovi sono burattini del governo e non pastori del gregge. I vescovi ufficiali non stanno predicando davvero il Vangelo. Predicano l’obbedienza all’autorità comunista».
D’altro canto la prudenza diplomatica del Vaticano di fronte all’arresto di un suo alto membro ricorda molto l’atteggiamento Ostpolitik di casaroliana memoria nei confronti dell’Unione Sovietica: «La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell’arresto del cardinale Zen e segue con estrema attenzione l’evolversi della situazione».
Non si può mai fare i conti senza la storia e la storia insegna che occorre conoscere i popoli prima di illudersi in facili accordi. Valga, a chiusura di questo articolo, ciò che ebbe in visione il fondatore dei Salesiani. Nel 1885 raccontò ai Salesiani riuniti a San Benigno Canavese, in Piemonte, di aver sognato l’elevazione verso il cielo di due grandi calici, l’uno ripieno di sudore e l’altro di sangue. Anni dopo, nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale, un gruppo di missionari salesiani prima di partire dalla cittadella cattolica di Valdocco a Torino alla volta di Shiu-Chow nel Kwang-tung, in Cina, ricevette dall’allora Rettor Maggiore, don Paolo Albera, il calice con il quale aveva celebrato le nozze d’oro di consacrazione e i 50 anni del santuario di Maria Ausiliatrice. Il prezioso regalo venne consegnato da don Sante Garelli a monsignor Versiglia, il quale dichiarò: «Don Bosco vide che quando in Cina un calice si fosse riempito di sangue, l’Opera salesiana si sarebbe meravigliosamente diffusa in mezzo a questo popolo immenso. Tu mi porti il calice visto dal Padre: a me il riempirlo di sangue per l’adempimento della visione». Monsignor Luigi Versiglia (1873-1930), divenuto vescovo titolare di Caristo e vicario apostolico di Shiuchow, nella regione del Kwangtung, nel sud della Cina, sarà trucidato insieme al confratello don Callisto Caravario (1903-1930). I due protomartiri salesiani sono stati dichiarati martiri nel 1976 da papa Paolo VI, mentre Giovanni Paolo II li ha beatificati il 15 maggio 1983 e sono stati canonizzati, insieme ad altri martiri cinesi, il 1º ottobre 2000. Per ricordare il decennale della loro canonizzazione, il 2 ottobre 2010, si è tenuta una fiaccolata dalla casa natale di san Luigi Versiglia (Oliva Gessi, in provincia di Pavia) alla chiesa parrocchiale, a cui è seguito un momento di preghiera presieduto dal cardinale Joseph Zen Ze-kiun.