L’abbazia di san Galgano

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L’abbazia cistercense di san Galgano con la sua imponente architettura in stile gotico svetta sui prati della Val di Merse, a circa 30 km da Siena nel comune di Chiusdino. È stata per più di un secolo la più importante fondazione cistercense in Toscana. Iniziata nel 1220 circa e consacrata nel 1268 dal vescovo di Volterra Alberto Solari, fino alla fine del XIV secolo, godeva di una grande importanza economica e culturale, tanto da stringere stretti legami con la Repubblica di Siena. Dall’inizio del XVI secolo però, con l’affidamento agli abati commendatari, cominciò una lenta e inesorabile decadenza, così, all’inizio del XVII secolo vi rimase un solo monaco; le vetrate andarono distrutte e le volte delle navate crollate in più punti. Da un documento del 1662 si legge: «La chiesa non può essere tenuta in peggior grado di quello che si trova e vi piove da tutte le parti», in seguito gli agenti atmosferici e l’incuria fecero il resto, fino al totale abbandono e la sconsacrazione nel 1789.

Solo nel 1924 si decise di salvare quel che rimaneva di questo importante sito per la storia della cristianità, avviando un restauro eseguito con metodo conservativo per consolidare le strutture ancora in piedi, senza ricostruire quelle ormai crollate.

L’abbazia nel suo interno a croce latina di 69 metri di lunghezza e 21 di larghezza si presenta a noi priva del pavimento e del tetto. Si cammina su un terriccio tra piccoli cespugli d’erba spontanei,  dove i pilastri cruciformi delle navate si ergono come grandi alberi dalle radici ben piantate, che svettano robusti verso il cielo, che  con i suoi toni di azzurro trasparenti ed eterei si spalanca al di sopra.

Un’impressione straordinaria dovuta alle inconsuete cromie di azzurro e di verde, sempre diverse secondo le ore e le stagioni, in contrasto con i materiali di costruzione delle mura, degli archi e dei pilastri: travertino, rocce, mattoni rossi corrosi dal tempo, macchiati dai licheni e dai muschi.

I giochi d’ombra e di luci, il silenzio irreale, le nuvole e gli uccelli di passaggio rendono quindi l’atmosfera interna e di quel che resta di questa chiesa di rara suggestione.

Non ci sono più ornamenti, nè bassorilievi, sculture o pitture, solo i capitelli delle colonne donano un po’ di gentilezza a questa architettura austera. Non vi si celebra la Messa eppure le preghiere che in questo luogo sono state recitate per secoli si percepiscono ancora all’interno di questa surreale nudità. Quello che rimane è solo la sua forma di croce e solo per questo, alzando lo sguardo al centro del transetto, ci si sente ancora all’interno di in un luogo sacro in cui il simbolo della croce non è più un manufatto, ma è la proiezione della forma architettonica nel cielo, per questo il senso di sacralità non solo rimane intatto, ma è divenuto immutabile, semmai trascendente, addirittura simbolico.

La forma di cielo che si vede dall’interno dell’abbazia è la croce nella sua trascendenza e immanenza, e proprio per questo ancora in questo luogo unico ci si sente riconciliati e accolti.

 

 

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