La vita cristiana è contemplativa o non è

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C’è un equivoco di fondo che riguarda la parola «vita contemplativa» quando ci si riferisce alla vita religiosa. Nella nostra Chiesa è piuttosto comune la divisione tra vita attiva e contemplativa, tanto che nel linguaggio corrente se si dice che quei religiosi sono contemplativi, subito si pensa ai monaci del monastero, alle clausure, ai cori monastici, mentre se si parla di «vita attiva» si pensa subito alle suore che tengono gli asili, ai Salesiani, agli Ordini ospedalieri o a quelli che hanno scuole e sono dediti all’insegnamento. Si ingenera così l’idea che i monaci sono quelli che vivono chiusi in monastero, pregano, non si vedono in giro, in sostanza non fanno… niente, o per lo meno, niente di utile, mentre gli altri religiosi fanno qualcosa di utile per la società, danno da mangiare ai barboni della città, aiutano qualcuno, eccetera.

Ma all’inizio non era così.

La prima forma di vita religiosa che sorge nella Chiesa è quella monastica. Quando terminò la persecuzione nell’Impero romano e fu possibile praticare apertamente la propria fede e si cominciarono a costruire chiese e basiliche, ci furono degli uomini e delle donne che iniziarono a ritirarsi nei deserti e nei luoghi solitari per dedicarsi più radicalmente e profondamente alla preghiera, all’ascesi, al silenzio. Fuggirono dal mondo, lo fecero materialmente, vivendo in radicale povertà, e furono per tutti un segno potente delle esigenze della vita spirituale di ciascuno. Tutti infatti, se vogliono essere cristiani, sono chiamati a pregare, a vivere una certa ascesi (distacco dalle cose del mondo), a coltivare il raccoglimento. I monaci fecero questo in maniera più decisa, ma non per questo si sentirono mai staccati dalla società degli uomini, e tanto meno si sentirono meno “utili” al mondo. Il monaco, infatti, si fa uno con tutti, per portare davanti a Dio le esigenze di tutti. Se davvero la preghiera è efficace («Qualunque cosa chiederete nel mio nome, io la farò», ha detto il Signore Gesù – Gv 14,14), i monaci si ritirarono non per coltivare interessi personali, ma per fare proprio l’unico interesse di tutti: supplicare per il perdono dei peccati di tutti e per la salvezza eterna di tutti gli uomini. La loro lotta col demonio ebbe proprio per questo accenti impressionanti: sembrò che il demonio non  sopportasse questi uomini, e li attaccò in maniera furibonda (per convincersene basta leggere la vita di sant’Antonio abate scritta da sant’Atanasio).

Il monaco vero, quindi, è il perfetto cristiano, non il cristiano isolato, misogino, fannullone. Tant’è vero che si deve al monachesimo del primo millennio la costituzione e la costruzione di una vera civiltà, con tutte le strutture necessarie per il buon vivere umano, dal lavoro al ricovero assistenziale dei pellegrini, dalla bonifica delle campagne allo sviluppo dell’artigianato, dalla promozione della cultura e delle arti alle varie invenzioni nel campo scientifico. Tutto quanto ruotava attorno alla vita dell’abbazia; veniva poi magistralmente riassunto nella vita liturgica e sacramentale dei monaci, cui il popolo partecipava. Ecco il vero significato, allora, del termine «vita contemplativa»: esso significa che tutto viene visto nella luce della fede, di Dio, tutto viene riportato a Lui perché «tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui» (Col 1,16) e il fine dell’esistenza umana è dare gloria a Dio. Il vero contemplativo, dunque, non è quello che sta tutto il giorno in camera a guardare il soffitto, parlando con un Essere superiore e invisibile, ma è colui che “vede Dio in tutte le cose”. Per il contemplativo, nulla è profano, tranne il peccato. La creazione è stata fatta da Dio, e ogni cosa parla di Lui. San Francesco d’Assisi vede un filo d’erba ed esclama: «Laudato sii mio Signore per sorella erba»; camminando vede un magnifico ruscello ed eleva subito un pensiero al Creatore: «Laudato sii mio Signore per sorella acqua». L’uomo profano, invece vede l’erba, e pensa che Dio non c’entri nulla: la calpesta come niente fosse; vede l’acqua e trova che non ci sia nulla di speciale in un ruscello: tira dritto indifferente. Il contemplativo vede un bisognoso e subito lo soccorre, perché vede in lui il Signore che lo sollecita: «Qualunque cosa avrete fatta ad uno di questi piccoli, l’avrete fatta a me» (Mt 25,40). Il profano, invece, vede un bisognoso e decide, pensa, soppesa le cose: se considerare l’altro come un fastidio oppure come uno verso il quale compiere un’azione buona, per poi agire nel modo che riterrà migliore per lui. Il contemplativo non divide il mondo in due: la contemplazione e la vita attiva, perché tutto è da assumere e portare a Dio (tranne il peccato) attraverso la carità.

Nella Chiesa cristiana orientale (la Chiesa russa ortodossa) non vi è divisione tra vita attiva e contemplativa: come vita religiosa vi sono solo i monaci, perché la carità va praticata e vissuta da tutti i cristiani; per questo motivo non è necessario creare un Ordine religioso apposta che faccia la carità ai poveri o ai drogati o si dedichi ai vecchi. Là i cristiani vanno alla fonte quanto più possono, con la preghiera e la divina liturgia, poi esercitano nella loro quotidianità, laddove Dio li ha posti (in famiglia, nelle fabbriche, nelle scuole) la carità.

In questo modo, anche i monaci non sono, propriamente parlando, di «vita contemplativa», ma di vita semplicemente cristiana: essi mettono Dio al primo posto, quindi pregano molto, poi lavorano, agiscono (vita attiva), ma non lo fanno perché lo devono fare: lo fanno perché è nella natura dell’uomo lavorare, produrre, e attraverso queste attività esercitare la carità cristiana. In fondo i grandi santi furono anche uomini e donne di grande azione, basti pensare, per esempio, prendendo una tra i tanti, a santa Elisabetta d’Ungheria, che morì giovanissima: aveva messo Dio al primo posto, pregava, andava a Messa tutti i giorni, poi si recava ad aiutare i poveri e fondò ospedali. Le sante madri di famiglia non si ponevano il discorso di quanta la loro vita fosse contemplativa e quanto fosse attiva: amavano Dio, pregavano in continuazione, e si ammazzavano di fatica per seguire le vicende della famiglia.

Il monachesimo fa semplicemente presente il primato di Dio, perché se non si mette Dio al primo posto, ogni “contemplazione” delle cose e della creazione risulta difficile, se non impossibile. Il monaco è lì come monito, come guardiano, vero punto di riferimento nella Chiesa. Poi i contemplativi sono quelli che vivono fuori, nel mondo, coloro che non patteggiano col mondo, che anzi lo rigettano in quanto esso è contrario alla fede, ma sono impegnati fino all’osso nelle realtà umane del lavoro e della famiglia. I contemplativi non si turbano mai, sono profondamente sereni e in pace, anche se soffrono moltissimo, perché sanno che tutto concorre al bene per coloro che amano Dio, e desiderano che tutti siano salvati. Con le loro opere essi manifestano la loro fede e rendono bella la creazione.

Il cristianesimo, dunque, è per se stesso contemplativo, in virtù del battesimo. O è così o semplicemente non è. C’è, poi, chi sceglie di scandisce tutto il giorno e la notte nell’unione con Dio. Questa comunione di battezzati e credenti intercedono presso La Trinità per la salvezza di moltissime anime.

 

 

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