Il parco della Murgia materana, è un territorio ancestrale, aspro, brullo, dalla vegetazione bassa di arbusti sempreverdi della macchia mediterranea alternati a spazi di nuda roccia calcarea. Questo territorio, proprio per le sue caratteristiche severe, fu meta, nell’alto medioevo, di insediamenti di monaci eremiti, che diedero vita nei secoli ad un insolito stanziamento religioso di chiese e cenacoli scavati nel tufo o ricavati nelle grotte preesistenti. Nel parco archeologico e naturale intorno Matera, si contano più di 150 chiese rupestri.
Il fenomeno del monachesimo perdurò fino quasi al Rinascimento, convivendo con la cultura pastorale degli insediamenti abitativi, fino a quando il declino dell’economia agro pastorale innescò la decadenza inesorabile che portò all’implosione di quell’habitat, culminando con lo svuotamento e l’abbandono dei Sassi di Matera nel 1950.
La storia della vita degli uomini che si è avvicendata in quel paesaggio e gli eventi naturali non hanno però distrutto le tracce della Chiesa medievale che sono rimaste impresse nella roccia millenaria, che è ora lo scrigno di un tesoro inestimabile di storia della cristianità, in cui la cultura artistica e architettonica dei monaci bizantini in fuga dall’Oriente, si avvicenda e si incrocia con quella dei monaci benedettini. Cultura latina e cultura orientale convivono e si sovrappongono in questi luoghi, uniche testimonianze di una eccezionale simbiosi tra cultura e natura, arte e religione.
Questi luoghi di culto, in buona parte scoperti, recuperati, restaurati, continuano a parlare di fede, anche se dell’ambiente ecclesiastico non rimane molto: le architetture nel tempo sono state modificate, in alcuni casi queste grotte diventarono stalle o case di pastori. Sono state totalmente svuotate e lo spazio è nudo.
Eppure, entrando in questi luoghi l’atmosfera sacra è incredibilmente integra. Le opere d’arte superstiti sui muri restituiscono appieno la connotazione di chiesa. Un’idea di quando l’opera d’arte sacra sia potente e suggestiva si avverte visitando la cosiddetta «Cripta del Peccato originale», a una quindicina di chilometri dai Sassi di Matera. Riscoperta nel 1963 sotto un vigneto a strapiombo sulla gravina, dopo l’abbandono, il degrado e la trasformazione in un ricovero per un pastore e il suo gregge, è stata restaurata e aperta al pubblico. È una testimonianza fondamentale della pittura longobarda datata VIII-IX secolo, già così distante dalla fissità ieratica della pittura bizantina. L’artefice, il «Pittore dei fiori di Matera», probabilmente un monaco benedettino proveniente dal territorio del beneventano, ci trasmette ancora potentemente la forza e il ruolo della sua arte.
Le immagini monumentali si susseguono sul muro come le scene di un racconto ad episodi dove il protagonista viene più volte ridipinto perché non si perda il filo della narrazione; ad esempio, nella parete dedicata alla Genesi, Eva viene raffigurata mentre esce dal costato di Adamo, poi mentre mangia il frutto dell’albero della tentazione e di nuovo mentre offre la mela ad Adamo.
Questa è la biblia pauperum: qui l’immagine racconta, spiega, accompagna, è leggiadra didascalica, nello stesso tempo insegna e incanta. Il pittore dei fiori ci fa entrare in un mondo paradisiaco, in un prato fiorito di fiori rossi, in cui troneggia un’immagine della Madonna con Bambino tenerissima. L’autore si esprime con un linguaggio pieno di umanità e di dolcezza.
Nella penombra della visita, con il sottofondo di canti gregoriani, i secoli di storia, le vicende e la particolarità del luogo lasciano spazio al misticismo che solo l’arte sacra, dipinta per raccontare le verità di fede, sa trasmettere, così che noi a più di 12 secoli di distanza, possiamo ritrovare, in quel luogo spogliato di tutto, la nostra Chiesa.