Gli uomini e la vita associata I

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Leo von Klenze (1784-1864), Ricostruzione ideale dell’Acropoli e dell’Areopago di Atene (1846)

 

La vita politica, così come la conosciamo ancora noi oggi, nacque certamente nella Grecia classica con la costituzione della polis, ma già nei poemi omerici leggiamo di strutture politiche (monarchiche) complesse, in cui l’assemblea dei nobili aveva voce in capitolo nelle decisioni prese dal re (βασιλεύς/basiléus; di etimo oscuro: forse dalla radice βα-/ba- del verbo βαίνω/bàino, «andare, salire», unita a -λευς/-leus,  ionico per -λαός/laόs, «popolo», oppure con λάς/las, «pietra»)[1], re definiti anche, con un bell’epiteto che testimonia la presenza fondamentale della pastorizia nell’economia del tempo, «pastori di popoli» (ποιμένες ληών/poiménes leόn). Le forme politiche greche, formalizzate poi da Aristotele (384-322 a.C.) nella sua Politica, passarono anche a Roma, considerata da alcuni storici, almeno nei suoi primi tempi, come una sorta di “polis” occidentale, le cui prime leggi scritte (le Leggi delle XII Tavole, della metà del V a.C.) furono esemplate, così come ci racconta lo storico Tito Livio, sul modello delle leggi delle principali città-stato greche.

A proposito di Aristotele ricordiamo che egli riconosce in Grecia appunto tre forme di governo, e cioè monarchia, aristocrazia e democrazia, a cui corrispondono le tre loro degenerazioni: tirannide, oligarchia e oclocrazia. Etimologicamente, le prime tre sono formate coi suffissoidi -αρχία/-archia (cioè «potere, comando» < verbo άρχω/archo, «comando perché sono il primo»)[2] e -κρατία/-crazia («dominio» < verbo κρατέω/cratéo, «comando perché sono il più forte»)[3] preceduti rispettivamente da μόνος/mόnos («uno solo»), άριστος/áristos («migliore» e quindi «nobile») e δήμος/démos («popolo»; cfr. sanscrito dáti, «dividere, fare le parti» e quindi «compagnia, gruppo che condivide»). Di contro, tirannide deriva da τύραννος/týrannos, cioè «signore che esercita il potere da solo» (di etimo incerto – forse frigio – per il quale si propone congetturalmente il paragone col sanscrito turváņi-ḥ «vittorioso» e túrvati «soggiogare»); oligarchia premette al suffissoide di cui sopra la forma ολίγοι/olίgoi («pochi»), mentre oclocrazia unisce i termini όχλος/ochlos («moltitudine» in senso dispregiativo) e -κρατία/-crazia («dominio»).

Non ci deve stupire, dunque, il fatto che – prima ovviamente dell’invasione “barbarica” da parte del lessico politico anglo-americano – la quasi totalità dei termini politico-civili nella nostra lingua (ma anche nelle altre lingue romanze e persino in quelle non di origine neo-latina)[4] sia di origine greco-latina, e questo perché noi, discendendo dalla civiltà politica greco-romana, usiamo sia parole greche filtrate attraverso il latino sia parole genuinamente latine.

 

Battista Agnese (1500-1564), Miniatura del cosmo, con mappa mundi attorniata da sfere celesti e da zodiaco

 

Alla base della vita umana e della sua possibilità (anzi, necessità, se diamo ascolto ad Aristotele)[5] di legarsi in convivenza con gli altri secondo norme ben precise e da tutti condivise, abbiamo il concetto (anch’esso “rivisitato” da Aristotele) di κόσμος/kósmos, in italiano «cosmo», con un valore tuttavia alquanto differente dall’originale greco, in quanto nel lessico greco esso vale inizialmente «ordine, regola, ornamento» (dal verbo κοσμέω/kosméo, da cui in italiano anche «cosmesi, cosmetico»; dalla radice i. e. kens-, «parlare solennemente», da cui anche il latino censeo. «giudicare, apprezzare») per poi aggiungere anche quello di «luogo adorno» e poi (a partire dalla scuola pitagorica) quello di «mondo ordinato» [6].

Nel κόσμος/kósmos dunque si può sviluppare la vita (βίος/bíos; dall’i. e. *gee- «vivere»)[7] associata dell’uomo, che per essere giusta deve essere regolata dal νόμος/nómos (< νέμω/némo, «do la giusta parte dove far pascolare il gregge», e poi «distribuisco», da una forma indoeuropea *ṃnό/*ṇmό, «comprare», da cui anche il latino emo), cioè dalla legge. In latino lex, dal verbo lego, che, come il suo corrispondente greco λέγω/lego, da un iniziale valore di «raccogliere, radunare, scegliere»[8], dall’i. e. *leġ– («raccogliere»),.passa poi a quello di «leggere» (in latino) e di «parlare» (in greco).

Prima ancora che nella polis, tuttavia, il δήμος/démos, cioè il popolo, si ripartiva nei vari ghéne, plurale di γένος/ghénos, cioè le famiglie o stirpi (in latino gens e genus)[9], mentre in Omero il «popolo» si presenta ancora nella forma arcaica λαώς (ληός)/laόs (leόs). Da parte sua il latino ci parla di populus, termine che troviamo diffuso anche in altre lingue italiche (umbro, falisco, etrusco, in cui troviamo la forma pupluna, da cui il toponimo Populonia), ma di origine non chiara (forse da pello, «respingere, scacciare, sconfiggere», o forse da pleo, «ingrandire, rafforzare», o forse ancora un prestito da altra famiglia linguistica), ma anche di gens e genus, di cui già si è accennato trattando a proposito del greco ghénos; abbiamo poi anche tribus, parallelo all’umbro trifu, il cui etimo potrebbe essere (ma è soluzione ipotetica) il numerale *tri- (tres), in quanto inizialmente tre erano le tribù romane (Titienses, Ramnenses, Luceres), così come già tra gli etruschi[10].

Una volta nata la πόλις/polis, il demos si divise tra όχλος/ochlos (in latino plebs, probabilmente dalla radice *pledhw-, raffrontabile col greco πληθύς/plethús, «folla», dalla radice i. e. *pele- «essere pieno, riempire») e gli άριστοι/áristoi, in latino optimates, traduzione pressoché letterale di áristoi, cioè il superlativo «i migliori», oppure patres.

Infine, uno sguardo alle virtù tipiche del cittadino (πολίτης/polίtes; a Roma civis, da cui civitas, di etimo incerto ma sicuramente i. e., testimoniato anche in osco-umbro come ceus[11]): l’obbedienza (πειθώ/peithό) < verbo πείθω/péitho («persuado»), nella sua forma medio-passiva πείθομαι/péithomai («sono persuaso» e quindi «obbedisco»)[12], dall’i. e. *bheidho («confidare»); la giustizia (δίκη/dike), letteralmente «indicazione, direzione», come il verbo δείκνυμι/déiknumi («mostrare») ed il latino dico (arcaico *deico), dall’i. e. *diktis («parola»); la concordia (ομόνοια/omόnoia)[13], termine composto da όμος/όmos («uguale») e da νοέω/voéo («pensare») che vale dunque «pensare in modo uguale» e quindi «andare d’accordo», concetto poi ripreso anche nell’etimo del suo equivalente latino concordia, da cum + cor (lett. «avere un cuore che sta unito»; e così il suo contrario: dis-cordia). Paralleli ai termini greci testé indicati sono i latini: oboedientia (da audio, «ascoltare» nel senso di «dare retta»)[14], ius (arcaico ious), coi suoi derivati quali iustitia, iudex (< ius dicere), iuro ecc., da due possibili radici, cioè *ye-ous oppure *yewos/*yowes avvicnabili al vedico yόḥ («salute»), e virtus che, derivata da vir («uomo»), segna, con il suffisso –tus (cfr. per es. senectus, iuventus ecc.) il rapporto di qualità e di attività tra la persona e l’azione sua tipica.

 

 

(1-continua)

 

[1] Quindi, rispettivamente, «capo/guida del popolo» e «chi sale sul trono».

[2] Dalla radice *mrghό («essere il primo»), cfr. il sanscrito árhati («meritare»).

[3] Dalla radice i. e. *qrt-/*qert- («essere duro, forte»).

[4] Pensiamo, tanto per fare anche un solo esempio ma validissimo, al termine «democrazia», universalmente usato (anche se con sfaccettature semantiche diverse se utilizzato nelle democrazie occidentali o in quelle socialiste) nei lessici politici di tutte le nazioni europee e del mondo in genere.

[5] Per il quale – lo ricordiamo – l’uomo è uno ζώον πολιτικόν/zόon politikόn, cioè un essere vivente che abita in una polis, cioè in società con altri suoi simili.

[6] In italiano, infatti, tale termine, oltre al valore estetico/geografico già presente nel greco, ne ha acquisito anche uno più propriamente astronomico.

[7] Da non confondere con βιός/biόs (con accento sull’ultima sillaba), in latino vis, cioè la «forza», intesa come «violenza», da cui (forse) il termine latino vir (maschio).

[8] Pensiamo anche al vocabolo legio («legione»), che significa letteralmente «gruppo scelto di uomini».

[9] Una famiglia linguistica, con esempi diffusi in tutte le lingue ariane, che discende dall’i. e. ġene-/*ġeno- («partorire»); cfr. il greco ghí-ghno-mai/γίγνομαι ed il latino gene-ro (pronuncia arcaica ghénero).

[10] Aldilà del termine italiano «tribù», non dobbiamo tralasciare il fatto che dal latino tribus deriva una intera famiglia linguistica viva ancor oggi nella nostra lingua: tribuno, tributo, tribunale, attribuire (lett. «assegnare alle tribù»), retribuire, contribuire, distribuire.

[11] In latino abbiamo tre termini per indicare la città, in quanto città-stato: urbs (l’insieme di edifici, di cui oppidum è la parte pi alta e fortificata, cioè la «rocca» o «cittadella»), civitas («insieme di cittadini») e respublica (la città in quanto insieme di leggi che determinano uno stato). A questi tre termini corrispondono, in greco, solamente πόλις/pόlis (urbs e civitas) ed il suo derivato πολιτεία/politéia (respublica), mentre άστυ/asty è la rocca fortificata.

[12] Di qui anche il termine, usato poi nel lessico cristiano, πίστις/pίstis, «fede».

[13] Ricordiamo che ancora oggi, ad Atene, la piazza centrale più importante della città, in cui si trova il parlamento della repubblica ellenica, porta il nome di «Piazza Omonìa», forma moderna per Omόnoia, e cioè «Piazza Concordia», plateonimo (cioè nome di piazza) ovviamente ricalcato sul modello parigino di Place de la Concorde.

[14] Ancora oggi, in piemontese e probabilmente anche in altre lingue, abbiamo forme come scot-me (lett. «ascoltami») che vale però più propriamente «dammi retta, fai come ti dico, obbediscimi».

 

 

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