La Fiaccola per i vivi che sono morti

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Se con la morte terrena dovrebbe cessare ogni tipo di contesa e violenza umana e le spoglie mortali dei defunti, di tutti i defunti, dovrebbero almeno meritare rispetto, negli ultimi anni, purtroppo, stiamo, invece, assistendo ad un preoccupante incremento degli atti di profanazione dei sepolcri, spesso per motivazioni politiche, espressione di un crescente imbarbarimento della società e risultato dell’opera del radicalismo rivoluzionario.

Le profanazioni dei sepolcri, in particolare se compiute per motivazioni politiche, oltre a rappresentare un gravissimo atto di barbarie, denotano anche la mancanza di capacità di comprendere che esistono dei valori etici, pre-politici, superiori ai valori politici. Il Codice Penale italiano prevede che «chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni»[1]; la legislazione italiana, giustamente, non distingue la fede politica del morto sepolto nella tomba profanata e nemmeno la sua onorabilità o, cosa ancor più significativa, il suo essere incensurato o meno oppure la gravità dei suoi eventuali reati: tutto appartiene alla sua vita terrena e non può influire sul rispetto minimo che si deve ad ogni spoglia umana.

Molte profanazioni sono compiute solo allo scopo di infierire vigliaccamente sulle spoglie mortali di coloro che, in vita, hanno professato idee diverse da quelle degli aggressori o, addirittura, per quelle idee hanno combattuto, come, ad esempio, coloro che, durante la Seconda Guerra mondiale, si trovavano in Italia dalla parte perdente della barricata o, semplicemente, erano solo stati richiamati alle armi. In molti casi, tuttavia, il vilipendio costituisce anche un gesto provocatorio, teso a generare reazioni e ad innescare tensioni, da cavalcare politicamente: vilipendio di cadavere a scopo di “lucro politico”.

 

 

Nel gennaio di quest’anno varie tombe dei Caduti per la Repubblica Sociale Italiana, che si trovano presso il Cimitero Monumentale di Bergamo, nel Campo dei Caduti per la Patria, sotto l’egida del Ministero della Difesa, sono state profanate da ignoti.

 

 

Tra i sepolcri profanati anche quelli del noto scultore bergamasco Francesco Spangher (1882-1945), le cui opere sono presenti anche all’interno dello stesso Monumentale, assassinato dai liberatori il 19 maggio 1945 e quelli dei cugini Pilenga di Urgnano, assassinati il 29 aprile 1945, proprio al cimitero di Bergamo. «Clamorosa fu l’uccisione dello scultore Francesco Spangher, la cui adesione al Fascio aveva avuto un valore simbolico. Prelevato a cura del CNL [Comitato di Liberazione Nazionale, nato il 9 settembre 1943 a Roma, NdR] di Città Alta venne gettato da una botola della Rocca»[2]. A proposito dell’assassinio dei cugini Pilenga, assieme ad altri bergamaschi, Italo Pilenga (1937-2020) ben descrisse le circostanze della strage del 29 aprile 1945: «mio papà, mio zio Cipriano, fratello del papà, lo zio Lorenzo Vecchi, fratello della mamma, Luca Cristini, cugino del papà sono stati assassinati la sera della domenica 29 aprile 1945 al muro del cimitero. Senza nessun processo. Tanti altri vennero uccisi quella sera. Mio padre era un vero fascista, niente da dire. Ma non fece del male a nessuno. In paese cercava di aiutare i giovani che non si volevano arruolare nella Repubblica Sociale favorendo l’ingresso nella Todt [un ente di costruzioni che operò dapprima nella Germania nazista, e poi in tutti i paesi occupati dalla Wehrmacht, NdR], come lavoratori. Mio zio Lorenzo Vecchi era impiegato del consorzio agrario di Boltiere, ma non aveva mai fatto niente per il fascismo. Era fascista come decine di migliaia di altri bergamaschi. In quel gruppo di parenti di Urgnano di veri fascisti c’erano mio papà, Luca Cristini e Davide Marchiondelli. Gli altri c’entravano poco o niente. Perché li uccisero? Ma anche Luciano Angeretti era un soldato della Repubblica Sociale, ma non era un fascista convinto, non era un volontario, era stato richiamato alle armi, su di lui non pesavano accuse. La sua famiglia era sfollata a Urgnano. Perché furono uccisi? Non lo saprò mai». Dal 1956, quando furono realizzati in quel luogo, i sepolcri in questione non erano mai stati profanati.

Analogamente nel settembre 2021, presso il Campo della Memoria di Nettuno, sono state profanate e trafugate le spoglie di alcuni caduti della Repubblica Sociale Italiana.

 

 

Mentre nel 2018 ignoti infierirono sulla lapide dei 43 giovani, tra i 15 e i 22 anni di età, che furono fucilati dai partigiani il 28 aprile del 1945 a Rovetta, in Val Seriana, nel 2009 venne demolita a colpi di martello la targa in memoria, posta all’esterno del cimitero, proprio dove ebbe luogo la fucilazione. L’anno seguente, invece, un finto ordigno esplosivo fu piazzato in corrispondenza della lapide commemorativa. La responsabilità della strage di Rovetta è stata attribuita al partigiano Paolo Poduje[3] (1915-1999), detto «il Mojcano», come da lui stesso confermato: in qualità di agente del SOE[4], diede ordine di procedere con la fucilazione dei soldati che si erano ingenuamente consegnati al CLN di zona, dopo la caduta della Repubblica Sociale italiana. La Procura della Repubblica aprì nel 1946, presso il Tribunale di Bergamo, un procedimento penale, che si concluse con una sentenza che stabilì di non dover procedere contro gli imputati, appigliandosi al fatto che ufficialmente l’occupazione nel territorio bergamasco sarebbe cessata il 1º maggio 1945 e, dunque, la strage sarebbe stata «un’azione di guerra».

Coloro che pensano (o dicono di pensare) che con la violenza ai danni delle tombe si possa migliorare la nostra civiltà e/o impedire il regresso che la memoria (anche funeraria) di seguaci di ideologie considerate immorali arrecherebbe cadono nell’errore criminogeno di invertire la gerarchia tra morale e politica. La politica è parte dell’etica e da questa dipende: non possono esistere giustificazioni politiche per atti immorali; ciò che è condannato dal tutto (morale) non può essere assolto o giustificato dalla parte (politica).

Gli atti immorali giustificati da motivazioni politiche hanno il duplice effetto di inquinare l’immagine dell’idea politica “giustificante” (agli occhi di chi conserva retta ragione) e di attenuare il senso etico (tra coloro che fanno prevalere istintivamente la volontà sulla ragione).

 

 

[1] Art. 408 del Codice Penale.

[2] Teodoro Francesconi, RSI e guerra civile nella Bergamasca, Greco&Greco editori, Milano 2006.

[3] Partigiano italiano, Comitato Rivoluzionario Partigiano, LIII Brigata Garibaldi.

[4] Special Operations Executive, organizzazione britannica operante durante la Seconda Guerra mondiale e specializzata in operazioni di sabotaggio ed attentati dietro le linee nemiche.

 

 

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