La Famiglia Novarina, conti di San Sebastiano e marchesi di Spigno

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Il nome dei Novarina, conti di San Sebastiano e marchesi di Spigno, famoso in Piemonte per oltre due secoli, si spense nel luglio del 1832, con la morte di Luigi che, dal matrimonio con Matilde Scarampi di Camino, non aveva avuto discendenza maschile.

Ufficiale e combattente in gioventù (nel 1793, durante le guerre d’aggressione franco-giacobine, fu aiutante di campo del Re), Luigi Novarina divenne negli anni della maturità un autorevole botanico e costituì importanti collezioni, delle quali fece dono alla Società Agraria di Torino. Profondo conoscitore della storia familiare portò con sé nella tomba un antico segreto legato alla storia dei propri avi.

I Novarina, originari di Carignano, avevano iniziato a distinguersi soprattutto dagli inizi del Seicento. Bernardino, tesoriere generale nel primo quarto del secolo e mastro uditore in Savoia, fu padre di Giambattista, grazie all’opera del quale la famiglia divenne una delle principali della corona sabauda: fu decurione di Torino e svolse importanti ruoli nella diplomazia (fu uno dei plenipotenziari a Münster) e ancor più nella magistratura, sino a divenire primo presidente del Senato di Nizza (1666) e poi di quello di Piemonte (1672). Nel 1665 era stato creato conte di San Sebastiano e di Cocconato, dopo averne acquistato parti in primo luogo dai Mola-Radicati, dai Broglia e da altri feudatari che ne possedevano porzioni minori.

Secondo conte di San Sebastiano fu Giuseppe, giudice di Torino nel 1676, poi referendario di segnatura e consigliere di Stato.

Il principale esponente dei Novarina fu però il quarto conte di San Sebastiano (e primo marchese di Spigno), Paolo Federico, la cui memoria è legata al vittorioso combattimento dell’Assietta del luglio 1747. Come è noto, il merito della vittoria piemontese, nella celebre battaglia è ufficialmente attribuito al comandante supremo delle truppe sabaude in campo, Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio, cui la vittoria fruttò benefici immediati e la gratitudine dei posteri, che a Torino è testimoniata, ad esempio, da una via a lui intitolata. Contemporanei, storici e storici militari affermano, tuttavia, che si tratta di gloria usurpata (più avanti nel tempo fu un suo discendente a vedersi usurpare in gran parte il merito di avere dato vita a quella che fu la più grande impresa industriale italiana e a lungo un orgoglio imprenditoriale torinese) e che il vero vincitore fu il luogotenente colonnello Paolo Novarina di San Sebastiano, che comandava l’avamposto dell’Assietta e che nelle relazioni ufficiali non è neppure nominato.

Non solo, ma la vittoria sarebbe frutto dell’insubordinazione del Novarina al Bricherasio (teoria che non è condivisa solo da un limitato numero di studiosi). Questi i fatti: Bricherasio si trovava sulla vetta del Gran Serano a respingere – coraggiosamente, ma a fatica – gli attacchi francesi. Poiché egli giudicava assolutamente indispensabile conservare quella posizione, anche a scapito di altre, ordinò al maggior generale Alciati e al Novarina di ripiegare verso di lui. Novarina, le cui truppe erano impegnate nella difesa della Testa dell’Assietta si rifiutò di obbedire. Riteneva, infatti, di trovarsi in una posizione – come riferiscono alcune cronache contemporanee – dalla quale dei buoni soldati sarebbero stati difficilmente scalzati. Era, inoltre, certo che abbandonare una simile postazione fosse un grave errore e considerava la ritirata molto pericolosa per il suo reggimento, concretamente esposto al rischio di essere decimato in campo aperto da un nemico in grado di schierare forze di gran lunga superiori. A quanto risulta Bricherasio inviò al conte di San Sebastiano un secondo e poi un terzo ordine di ritirarsi ma, quando gli ordini giungevano, il francese de Bellisle, alla testa dei suoi granatieri, stava ormai sferrando un attacco molto violento. Il difensore dell’Assietta non si curò dunque delle disposizioni provenienti dal comandante in capo e non solo riuscì a fermare l’ondata nemica, ma guidò i suoi al contrattacco, aggiudicandosi la vittoria. I francesi stessi gli riconobbero un ruolo determinante nella loro sconfitta; gli inglesi, osservatori neutrali, affermarono più recentemente, sulle pagine della prestigiosa rivista del loro Genio militare che, se il Novarina avesse ottemperato all’ordine del Bricherasio, forse, il Piemonte sarebbe divenuto una provincia francese. Nonostante tutto quanto si è detto, il Bricherasio fu gratificato con importanti cariche, mentre il conte di San Sebastiano passò a un incarico meno prestigioso di quello che già deteneva, lasciando i granatieri per andare a comandare un reggimento provinciale. Secondo lo storico Domenico Carutti «i nemici suoi erano benignamente uditi in corte, dove ingrato suonava il nome e odiosa durava la memoria di sua madre».

In effetti Paolo di San Sebastiano era il figlio primogenito di Anna Carlotta Canalis di Cumiana (nella foto a destra), moglie in seconde nozze di Vittorio Amedeo II, negli ultimi anni dell’esistenza del Re. Nata a Torino nel 1680 Carlotta fu, nella società torinese del suo tempo, figura controversa e chiacchierata. Ebbe tra gli storici illustri difensori e non meno illustri critici e detrattori. Trascorsa la sua prima infanzia nel monastero della Visitazione di Torino (di cui ancor oggi resta la chiesa in via XX Settembre all’angolo con via dell’Arcivescovado), Carlotta tornò a casa, nel palazzo di Cumiana, verso il tredicesimo anno di età. Si vuole che Vittorio Amedeo l’abbia conosciuta, invaghendosene, qui, durante una pausa dei non lontani e sfortunati combattimenti della Marsaglia (1693). Non passa molto tempo e troviamo la giovane “contessina” nel ruolo di damigella alla corte di Madama Reale. Vivendo a palazzo, le occasioni per incontrare il Re non mancarono di certo e ben presto nacquero voci su una relazione tra i due. Secondo alcuni la ragazza, non ancora sedicenne, restò incinta del Re. Si era al declinare del Seicento; il formalismo delle corti dell’Europa era assai meno concreto di quanto oggi si possa immaginare. Madama Reale decise, tuttavia, di dare un marito a Carlotta. La scelta cadde su Francesco Ignazio Novarina, terzo conte di San Sebastiano. Il matrimonio si celebrò nel duomo di Torino nell’aprile del 1702.

Sembra trattarsi di un’unione felice, allietata dalla nascita di numerosi figli. Ciononostante le dicerie sulla relazione con il Re non vengono messe, malgrado le molte amanti di quest’ultimo, a tacere definitivamente. Nel 1724 Carlotta resta vedova. Quattro, anni dopo anche Vittorio Amedeo perde la propria consorte, Anna d’Orléans. Carlotta non è più giovane, ma può essere tuttavia descritta, giunta nel pieno della mezza età, come una donna «bruna, ben fatta, dall’occhio nero e vivace, di bellezza ribelle agli anni, pericolosa all’età prima e alla matura». L’antica passione per lei da parte del Re può a questo punto rinascere (se mai si era spenta del tutto). Il 12 agosto 1730 essi si uniscono in matrimonio. La sposa riceve in dono, con titolo marchionale, il feudo di Spigno. Dopo meno di un mese il sovrano sottoscrive, cogliendo tutti di sorpresa, la propria abdicazione e si trasferisce con la moglie a Chambéry.

Le vicende successive sono note. Dopo un breve periodo di pieno accordo con Carlo Emanuele III, che gli è succeduto sul trono, Vittorio Amedeo pretende di riprendere un ruolo attivo negli affari di Stato. Si profila così un rapporto conflittuale tra padre e figlio. Lentamente, ma senza troppi tentennamenti, nella mente di Vittorio Amedeo si fa strada il desiderio di riconquistare il potere (il che gli verrà drasticamente impedito).

I contemporanei attribuirono alla marchesa di Spigno e alla sua ambizione di divenire regina il ripensamento dell’ex sovrano. Per questo fatto, molti, come il marchese d’Ormea o l’arcivescovo di Torino Carlo Arborio di Gattinara (che la definì «la cattiva furia» che stava accanto a Vittorio Amedeo) si scagliarono in modo durissimo contro di lei. Il ruolo della marchesa di Spigno nelle settecentesche vicende dei Savoia è, in realtà, tutt’altro che chiarito; gli storici moderni tendono a ridurne e ridimensionarne la reale importanza. Ciò che invece è certo è il fatto che a Carlotta l’aver sposato Vittorio Amedeo II costò assai caro.

La notte tra il 28 e il 29 settembre 1731, mentre Vittorio Amedeo veniva circondato e, di fatto, bloccato nel castello di Moncalieri, sua moglie fu trasferita in quello di Ceva e imprigionata – fatto del tutto inusitato per chiunque appartenesse alla nobiltà – insieme con prostitute e delinquenti comuni. Poté ricongiungersi al marito soltanto il 12 dicembre, dopo avere giurato a Carlo Emanuele che mai gli avrebbe confidato in quale prigione era stata rinchiusa. Dopo la morte di Vittorio Amedeo venne relegata nel monastero della Visitazione di Pinerolo dove visse ancora lungamente, in maniera molto ritirata. Non è difficile comprendere, a questo punto, il trattamento riservato al primogenito di Carlotta. Ma c’è dell’altro: secondo voci accreditate, colui che molti considerano il vero vincitore dell’Assietta altri non era che, ed è questo il segreto dei conti di San Sebastiano, un figlio di Vittorio Amedeo II. Torino compirebbe un atto di giustizia ricordandone in qualche modo il nome, magari con una lapide sull’antico palazzo torinese dei Novarina in via Santa Chiara 6, 8.

 

Il Castello di San Sebastiano

 

 

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