Il Maestro di color che sanno… Purgatorio XVIII

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 Arrivo dell’angelo in Purgatorio, affresco, 1501-1502, Cappella di San Brizio, Orvieto (TR)

 

Posto avea fine al suo ragionamento

l’alto dottore[1], e attento guardava

ne la mia vista s’io parea contento;

 

e io, cui nova sete ancor frugava,

di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse

lo troppo dimandar ch’io fo li grava’.

 

Ma quel padre verace, che s’accorse

del timido voler che non s’apriva,

parlando, di parlare ardir mi porse.

 

Ond’io: «Maestro, il mio veder s’avviva

sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro

quanto la tua ragion parta[2] o descriva.

 

Però ti prego, dolce padre caro,

che mi dimostri amore, a cui reduci

ogne buono operare e ’l suo contraro».

 

«Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci

de lo ’ntelletto, e fieti manifesto

l’error de’ ciechi che si fanno duci.

 

L’animo, ch’è creato ad amar presto,

ad ogne cosa è mobile che piace,

tosto che dal piacere in atto è desto.

 

Vostra apprensiva[3] da esser verace

tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,

sì che l’animo ad essa volger face;

 

e se, rivolto, inver’ di lei si piega,

quel piegare è amor, quell’è natura

che per piacer di novo in voi si lega.

 

Poi, come ’l foco movesi in altura[4]

per la sua forma ch’è nata a salire

là dove più in sua matera dura,

 

così l’animo preso entra in disire,

ch’è moto spiritale, e mai non posa

fin che la cosa amata il fa gioire.

 

Or ti puote apparer quant’è nascosa

la veritate a la gente ch’avvera[5]

ciascun amore in sé laudabil cosa;

 

però che forse appar la sua matera

sempre esser buona, ma non ciascun segno

è buono, ancor che buona sia la cera».

 

«Le tue parole e ’l mio seguace ingegno»,

rispuos’io lui, «m’hanno amor discoverto,

ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;

 

ché, s’amore è di fuori a noi offerto,

e l’anima non va con altro piede,

se dritta o torta va, non è suo merto[6]».

 

Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,

dir ti poss’io; da indi in là t’aspetta[7]

pur a Beatrice, ch’è opra di fede.

 

Ogne forma sustanzial, che setta[8]

è da matera ed è con lei unita,

specifica vertute ha in sé colletta,

 

la qual sanza operar non è sentita,

né si dimostra mai che[9] per effetto,

come per verdi fronde in pianta vita.

 

Però, là onde vegna lo ’ntelletto

de le prime notizie, omo non sape,

e de’ primi appetibili l’affetto,

 

che sono in voi sì come studio in ape

di far lo mele; e questa prima voglia

merto di lode o di biasmo non cape.

 

Or perché a questa ogn’altra si raccoglia,

innata v’è la virtù che consiglia,

e de l’assenso de’ tener la soglia.

 

Quest’è ’l principio là onde si piglia

ragion di meritare in voi, secondo

che buoni e rei amori accoglie e viglia.

 

Color che ragionando andaro al fondo,

s’accorser d’esta innata libertate;

però moralità lasciaro al mondo.

 

Onde, poniam che di necessitate

surga ogne amor che dentro a voi s’accende,

di ritenerlo è in voi la podestate.

 

La nobile virtù Beatrice intende

per lo libero arbitrio, e però guarda

che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».

 

La luna, quasi a mezza notte tarda,

facea le stelle a noi parer più rade,

fatta com’un secchion che tuttor arda[10];

 

e correa contro ’l ciel per quelle strade

che ’l sole infiamma allor che quel da Roma

tra Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.

 

E quell’ombra gentil per cui si noma

Pietola più che villa mantoana,

del mio carcar diposta avea la soma;

 

per ch’io, che la ragione aperta e piana

sovra le mie quistioni avea ricolta,

stava com’om che sonnolento vana[11].

 

Ma questa sonnolenza mi fu tolta

subitamente da gente che dopo

le nostre spalle a noi era già volta.

 

E quale Ismeno già vide e Asopo

lungo di sé di notte furia e calca,

pur che i Teban di Bacco avesser uopo,

 

cotal per quel giron suo passo falca[12],

per quel ch’io vidi di color, venendo,

cui buon volere e giusto amor cavalca.

 

Tosto fur sovr’a noi, perché correndo

si movea tutta quella turba magna;

e due dinanzi gridavan piangendo:

 

«Maria corse con fretta a la montagna;

e Cesare, per soggiogare Ilerda,

punse Marsilia e poi corse in Ispagna».

 

«Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda

per poco amor», gridavan li altri appresso,

«che studio di ben far grazia rinverda».

 

«O gente in cui fervore aguto adesso

ricompie forse negligenza e indugio

da voi per tepidezza in ben far messo,

 

questi che vive, e certo i’ non vi bugio[13],

vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;

però ne dite ond’è presso il pertugio».

 

Parole furon queste del mio duca;

e un di quelli spirti disse: «Vieni

di retro a noi, e troverai la buca.

 

Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,

che restar non potem; però perdona,

se villania nostra giustizia tieni.

 

Io fui abate in San Zeno a Verona

sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,

di cui dolente ancor Milan ragiona.

 

E tale ha già l’un piè dentro la fossa,

che tosto piangerà quel monastero,

e tristo fia d’avere avuta possa;

 

perché suo figlio, mal del corpo intero,

e de la mente peggio, e che mal nacque,

ha posto in loco di suo pastor vero».

 

Io non so se più disse o s’ei si tacque,

tant’era già di là da noi trascorso;

ma questo intesi, e ritener mi piacque.

 

E quei che m’era ad ogne uopo soccorso

disse: «Volgiti qua: vedine due

venir dando a l’accidia di morso».

 

Di retro a tutti dicean: «Prima fue

morta la gente a cui il mar s’aperse,

che vedesse Iordan le rede sue.

 

E quella che l’affanno non sofferse

fino a la fine col figlio d’Anchise,

sé stessa a vita sanza gloria offerse».

 

Poi quando fuor da noi tanto divise

quell’ombre, che veder più non potiersi,

novo pensiero dentro a me si mise,

 

del qual più altri nacquero e diversi;

e tanto d’uno in altro vaneggiai,

che li occhi per vaghezza ricopersi,

 

e ’l pensamento in sogno trasmutai.

 

 

[1] Il termine è usato qui nel suo valore etimologico (< verbo latino doceo, «insegnare») di «insegnante».

[2] Dal verbo latino partior («separare, dividere in parti»), ha qui il valore traslato, ancora più “tecnico”, di «dividere col ragionamento». Allo stesso modo, il successivo «descriva» ha il valore specifico della filosofia scolastica di «esporre analiticamente una tesi».

[3] Anche il sostantivo «(facoltà) apprensiva», dal verbo latino adprehendo («colgo, comprendo»), ha il significato tecnico-filosofico di «facoltà conoscitiva generale». Così anche «intenzione», del verso successivo, è termine tecnico della filosofia scolastica e vale «rappresentazione di un oggetto».

[4] Contrariamente all’uso, concreto, moderno, il sostantivo ha qui il valore astratto di «verso l’alto».

[5] Usato – come qui – in modo transitivo, il verbo «avverare» significa «affermare come cosa vera». Diverso è ovviamente l’uso intransitivo pronominale di «avverarsi», cioè «divenire vero, realizzarsi».

[6] Termine che può essere usato o con valore positivo («merito»), oppure negativo («colpa») o ancora, come qui, di vox media («causa»).

[7] Con maggiore adesione alla sua etimologia (< latino ad-specto), vale «affìdati» (lett. «rivolgi lo sguardo» e quindi «l’attenzione»).

[8] Letteralmente (dal latino secto, «tagliare»), vale «divisa, separata». Lo stesso valore ha anche etimologicamente il sostantivo «setta», nel senso di «gruppo (in genere religioso o politico) isolato ed autoreferenziale, spesso sconfinante nel fanatismo».

[9] Dal latino magis quam («più che»), come lo spagnolo mas que e il provenzale mais que.

[10] In questo caso «ardere» vale «brillare, essere luminoso», oltre che «bruciare».

[11] Voce del verbo «vanare» (cioè «vaneggiare»), probabilmente dal provenzale vanar.

[12] Dal verbo tardo latino falco, -are (< falcem, «falce»), indica il muoversi delle gambe nella corsa, simile al movimento di una falce. In italiano moderno resta il sostantivo «falcata», per intendere appunto un passo molto ampio, detto in genere (ma non esclusivamente) di animali, quasi di corsa.

[13] Dal verbo arcaico «bugiare», cioè «mentire, dire una bugia».

 

 

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