Il chiostro è un posto in cui la dimensione quotidiana sembra lasciare spazio ad un tempo sospeso. Immerso nel silenzio, è un luogo aperto, ma nello stesso tempo protetto dalle mura del convento e della chiesa che lo circoscrivono, è l’horto conclusus in cui solo la luce del sole sembra poter entrare, filtrando negli ambulacri tutt’intorno nel ritmo luce/ombra scandito dal riflesso delle colonnine che lo delimitano.
Il chiostro di San Paolo fuori le mura a Roma, fortunatamente scampato al rovinoso incendio della notte del 15 luglio 1823 che distrusse gran parte della Basilica, è ancora integro e meraviglioso. Ci si accede al termine di un corridoio allestito con delle informazioni e l’impatto emotivo all’apertura della porta è stupefacente, un tuffo nel XIII secolo dove tutto è ordine e ineffabile Bellezza.
Apparteneva all’antico convento benedettino, era un luogo di clausura dove i monaci pregavano, meditavano, studiavano, dove potevano sentirsi appagati dalla bellezza del creato e dalla suggestione di una architettura nata per essere perfetta. La forma infatti è quella classica quadrangolare di tutti i chiostri. Come fosse un fulcro, gli gira intorno tutto il complesso monastico: dalle 4 gallerie si snodano i vari ambienti in una ripartizione non solo funzionale, ma ordinata: l’oratorio, la sala capitolare, il refettorio, i dormitori, la biblioteca. Per la vita dei monaci questo spazio non aveva solo la funzione di area di collegamento, ma era connotato di una forte valenza spirituale, religiosa che disponeva alla preghiera e al dialogo con Dio.
Questa straordinaria atmosfera che conduce alla meditazione e al raccoglimento si percepisce ancora vividamente, anche il visitatore moderno più disincantato, entrando, osserva con rispetto questo luogo, e vi avverte la presenza del Sacro. Immersi in una calma immobile, i pensieri frenetici della vita moderna si arrestano e in quel microcosmo si respira una ritrovata armonia.
Questo chiostro fu concepito da Pietro Vasselletto nel 1205 e terminato circa 35 anni dopo da un altro maestro chiamato sempre Vassallectus, essi crearono una delle meraviglie della Roma duecentesca. Quello che rapisce maggiormente, ancora oggi, sono le quattro splendide fughe di colonnine di marmo binate visibili dall’ambulacro; si innalzano da un basso podio e sono: alcune, lisce, altre tortili, altre incastonate di mosaici, alcune del limpido biancore del marmo, altre brillanti di colori e luci d’oro zecchino; questi splendidi pilastrini sorreggono una serie di archi a tutto sesto.
Il punto di vista privilegiato sembra proprio essere quello dal buio ambulacro, lo spettatore in ombra dirige lo sguardo verso la luce attraverso un magnifico diaframma che separa, ma non chiude. Il giardino si connota come uno spazio irreale quasi irraggiungibile, ma al centro dei quattro corridoi ci sono aperture che consentono l’accesso con quattro viottoli delimitati da siepi basse ordinate e arbusti di rose.
Attraverso queste quattro porte simmetriche possiamo entrare e fare parte del giardino sentendoci immersi in questa meraviglia che da qualsiasi lato si guarda è bella. Sull’epistilio, sotto un fregio cosmatesco, in una fascia di mosaico d’oro, leggiamo un’iscrizione in latino scritta in lettere azzurre che, tradotta, recita: «questo luogo decorato con tanto splendore, raccoglie sante milizie. Qui studia, legge, e prega la famiglia monastica».
Qui, seppure nello spazio limitato di una visita, ci sentiamo anche noi immersi in quell’atmosfera di mistica religiosità.