Identità europea: Santo Stefano d’Ungheria

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In conspéctu divinæ maiestátis tuæ

In Europa è in corso uno scontro fra gli assertori dell’Unione Europea, impostata sui modelli Merkel-Macron, e i cosiddetti sovranisti, sostenitori dell’identità dei popoli europei. A primeggiare fra questi ultimi c’è l’Ungheria di Viktor Mihály Orbán. Il popolo magiaro ha fortemente mantenuto il patrimonio culturale e religioso che gli appartiene e che discende dal suo protettore, Santo Stefano, di cui è assai devoto ancora oggi. Consacrato primo sovrano d’Ungheria la Notte Santa di Natale dell’anno Mille con il titolo di «Re apostolico», egli è stato fondatore dello Stato e della Chiesa ungheresi: organizzò non solo la vita politica del suo popolo, riunendo 39 contee in unico regno, ma anche quella religiosa, gettando le fondamenta di una solida cultura cristiana. Proprio di questo luogotenente di Dio andiamo ora a trattare.

Intorno al 950 i principi occidentali iniziarono a reagire contro gli invasori barbari. Re Ottone di Germania raggruppò tutti i principi e il 10 agosto 955, sotto le mura di Augusta, riportò sugli Ungheresi la vittoria del Lechfeld. A partire da questa data, i nomadi si insidiarono a poco a poco nella pianura ungherese, mescolandosi ad altre popolazioni di origine asiatica o slava. Le tribù vennero raggruppate dai capi della famiglia Arpád, da cui discendeva Géza, capotribù magiaro, nonché primo principe stanziale a non vivere, quindi, sotto le tende, il quale sposò Sarolta, figlia del Duca di Transilvania, che era venuto a contatto con i cristiani provenienti da Bisanzio e dalla Bulgaria. Da questo matrimonio nacque nel 969 in Ungheria, ad Esztergom, Vajk, futuro Santo Stefano.

 

Monumento a Santo Stefano d’Ungheria a Budapest

 

Il biografo di Santo Stefano d’Ungheria è Hartwig, che visse nel XII secolo. Secondo il suo racconto, il capo ungherese apprese la nascita del figlio da una visione: il suo erede avrebbe ricevuto non solo una corona temporale, ma anche una corona eterna. Dal canto suo la madre Sarolta venne avvertita dal protomartire Santo Stefano di imporre al figlio il suo nome, che significa, «corona». Di fatto, il padre, in quest’epoca, era ancora pagano, ma successivamente s’impegnò nella conversione alla fede cristiana, arrivando al battesimo suo e del figlio.

I cronisti germanici, per dimostrare che la Chiesa ungherese era stata patrocinata dalla Chiesa di Germania, hanno riferito che il battesimo ebbe luogo a Colonia in presenza dell’Imperatore Ottone. In realtà è storicamente più plausibile che il battesimo abbia avuto luogo in Ungheria, alla corte di Esztergom, nel 985, e fu allora che Vajk ricevette il nome di Stefano.

Il principe Géza fece unire in matrimonio, nel 995, Stefano con Gisella, la figlia del Duca di Baviera, Enrico il Querelatore. Due anni dopo il padre morì lasciando il figlio sul trono del popolo ungherese. Il capo Koppany, che non aveva accettato la conversione del Principe Géza, si sollevò contro il successore, ma Stefano uscì vittorioso e per ringraziare Dio fondò il monastero di Pannongalma, Monte San Martino, a capo del quale pose Astric, amico di Sant’Alberto. In onore proprio di Adalberto, che era stato appena martirizzato in Prussia (997), Stefano edificò una chiesa ad Esztergom e ne fece il principale vescovado dell’Ungheria. Fondò pure, nella sua residenza di Szekesfehervar una chiesa dedicata alla Madonna, su imitazione di quella di Aquisgrana.

I tempi erano orami maturi per la costituzione del regno ungherese. Papa Silvestro II inviò la sua benedizione ed una corona al primo Re. La corona originale andò smarrita e non è quella conservata a Budapest, risalente alla fine dell’XI secolo. Il 1º gennaio 2000 la Sacra Corona d’Ungheria fu trasferita nel Parlamento ungherese a Budapest dal Museo Nazionale, insieme allo scettro, al globus cruciger e alla spada di Santo Stefano, mentre il grande Mantello dell’Incoronazione rimane in una teca di vetro nel Museo Nazionale perché la sua estrema delicatezza ne sconsigliava qualsiasi tipo di trasporto. Esso risale al 1030 circa. Gli antichi documenti lo descrivono come dono fatto a mano dalla Regina e dalle monache e reca l’unico ritratto conosciuto del Re. L’inscrizione circolare in latino identifica il mantello come indumento liturgico dei vescovi. Così il Principe, come riporta il suo biografo, «avendo ricevuto alcune lettere apostoliche di benedizione, in presenza e alle acclamazioni dei vescovi, del clero e del popolo, fu proclamato re, unto con l’olio santo e incoronato del diadema». Era la Notte Santa di Natale dell’anno Mille, come abbiamo prima ricordato, ed anche Gisella, sua sposa, venne consacrata Regina.

Con il consenso di Roma, il Sovrano creò due arcivescovadi, uno a Esztergom e l’altro a Kalocsa: il primo venne conferito all’Abate Anastasio e l’altro ad Astric. Furono creati anche altri otto vescovadi, di cui uno nella Transilvania.

Stefano coltivava ottimi rapporti con Sant’Odilone, abate dell’abbazia benedettina di Cluny, perciò affidò un vascovado ad un monaco cluniacense. Moltiplicò il numero delle chiese parrocchiali e, dopo la vittoria riportata sul ribelle Gyula, fondò la chiesa di Buda, sulla riva sinistra del Danubio. Si occupò personalmente dei nuovi monasteri, sorvegliando la vita dei monaci e dirigendo l’organizzazione delle scuole dei figli degli aristocratici, istituzioni che dovevano servire da vivaio per il futuro clero ungherese.

Il figlio Imre (Emmerico) è oggetto di particolari sue personali cure: per lui redige una Istruzione per la formazione morale in dieci capitoli, una sorta di Specchio del principe. Nel primo capitolo, si legge «Inizialmente, figlio amatissimo, ti raccomando, se vuoi onorare la corona reale, di seguire la fede cattolica e apostolica per mostrarti davanti a Dio come esempio per tutti i tuoi sudditi e per il clero chiamarti a giusto titolo il vero uomo della rivelazione cristiana». Re Stefano raccomanda il giovane di confermare lo statuto degli ecclesiastici, di onorare la dignità pontificia, di osservare la giustizia, di conservare la pazienza in tutte le azioni, di accogliere bene gli stranieri, di frequentare luoghi di preghiera, di impiegare le proprie energie nella pietà e nella misericordia…

Nel Decreto del Re, composto da 56 leggi, si concedono alla Chiesa numerosi privilegi, garantendo l’immunità dei beni e sottomettendo i laici alla sua autorità. Stefano chiede che il giorno del Signore sia rispettato, che l’ufficio divino non venga disturbato da conversazioni oziose e che la decima sia regolarmente versata ai sacerdoti. Andò molto più lontano di Carlomagno nelle sue concessioni alla Chiesa; ma come Carlomagno Stefano pensa ai grandi centri di pellegrinaggio della cristianità e soprattutto a Gerusalemme: i pellegrini, che si recano in Terrasanta, ora sono tenuti a passare dall’Ungheria perché cristiana. Il Re fa edificare a Gerusalemme una chiesa dedicata a San Giorgio, una foresteria per i pellegrini ungheresi a Roma e dona il denaro necessario per costruire una chiesa a Costantinopoli. Sotto il suo regno, pellegrini e viaggiatori – non solo chierici e monaci, ma anche intagliatori, sarti lombardi e artisti di vari Paesi –  erano ben accolti. La croce della Regina Gisella, conservata ora a Monaco, è manufatto di artisti bavaresi, creato in Ungheria.

Questo Principe consacrato, che aspirava ad essere il luogotenente di Dio, si è posto al servizio della Chiesa al punto da condividere la vita dei chierici. Il suo biografo narra che egli consacrava il silenzio della notte alle veglie e alla preghiera, sia che si trovasse nel proprio palazzo, sia che fosse nelle campagne militari contro i nemici del regno e della fede. Una notte i suoi familiari lo trovarono a mezz’aria ed il fenomeno della lievitazione, dovuto all’estasi, perdurò per tutto il tempo dell’orazione. La sua devozione alla Santissima Vergine stupiva in un’epoca il cui il culto mariano non era ancora molto sviluppato. Ebbene, Stefano fece celebrare il «giorno di nostra Signora», ovvero il 15 agosto, e nel suo palazzo di Szekesfehervar, che è stato definito l’«Aquisgrana ungherese», ordinò la costruzione di una basilica intitolata alla Vergine. L’uomo di Dio beneficiava anche di visioni e del dono della premonizione. Così, per esempio, quando i Pecceneghi attaccarono la Transilvania, venne avvertito in anticipo da Dio, ordinando agli abitanti di ripiegare entro le mura delle città fortificate.

Quando Corrado II minacciò l’Ungheria, il Sovrano formulò questa preghiera a Maria Santissima: «Se vuoi, Signora del mondo, che una parte della tua discendenza sia devastata dai nemici del re e che sia annientato questo dominio della cristianità, ti prego affinché ciò non sia attribuito alla mia negligenza, ma alla tua volontà, In nome di tutti gli innocenti, io t’imploro con moderazione». Poco dopo le truppe dell’Imperatore si fermarono e invertirono la marcia.

La Legenda maior di Santo Stefano lo presenta come un autentico soldato di Cristo, sempre assistito da una schiera di santi. Esiste poi una Legenda minor, che tramanda l’immagine di un Re energico e rigoroso, ed una terza Leganda, che potrebbe essere stata composta dal Vescovo di Gyor Arduino, dove sono presentati molti particolari sulla vita e l’opera del Re: per esempio, in essa si racconta come, in punto di morte, egli abbia offerto il proprio regno alla Vergine Maria.

Santo Stefano d’Ungheria morì nel giorno mariano: il 15 agosto del 1038. Fu canonizzato nel 1083 per volere Papa Gregorio VII e dell’erede spirituale del sovrano cristiano, Re Ladislao. La sua festa liturgica, nel Novus Ordo, cade il 16 agosto; mentre nel Vetus Ordo il 2 settembre. Stefano fu il primo sovrano medievale a essere santificato come confessore e non come martire, a ragione dei meriti religiosi da lui acquisiti durante la vita: in Stefano la figura del Re giusto si fonde con quella del Santo cristiano.

Colletta della Santa Messa: Concéde, quæsumus, Ecclésiæ tuæ, omnípotens Deus: ut beátum Stéphanum Confessórem tuum, quem regnántem in terris propagantórem hábuit, propugnatórem habére mereátur gloriósum in cælis. Per Dóminum nostrum Jesum Christum Filium tuum. Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

 

Beata Regina Gisella (Ratisbona, 980 ca. – Passavia, 7 maggio 1065).

Figlia di Enrico II di Baviera e di Gisella di Borgogna, nonché sorella del futuro Imperatore Enrico II, sposò nel 996/997 il primo re d’Ungheria Stefano il Santo. Collaborò strettamente con il consorte nell’apostolato e nell’opera di conversione al Cattolicesimo degli ungheresi, fondando ed arricchendo con munifici doni i monasteri e le chiese del regno. Nel 1031 le morì il figlio Emerico e nel 1038, quando aveva 42 anni, rimase vedova. Il successore del Re, Pietro Orseolo, la privò dei suoi beni e fu costretta a lasciare l’Ungheria nel 1045.

 

Monumento a Re Santo Stefano e alla Regina Beata Gisella, nella città di Seghedino, in Ungheria

 

Fece ritorno in Baviera e si ritirò nel monastero benedettino di Niedenburg, presso Passau, dove divenne badessa. È sepolta in questo stesso monastero e nel 1908 si è tenuta una ricognizione delle reliquie. Nonostante che nei Martirologi benedettini è segnalata come beata al 7 maggio, Gisella non ebbe mai un culto ufficiale.

 

Sant’Emerico (Székesfehérvár, 1000 ca. – Hegyközszentimre, 2 settembre 1031)

Nacque nel 1000, o secondo altre fonti nel 1007, come secondogenito di Stefano I d’Ungheria e Gisella di Baviera. Fu l’unico dei tre figli della coppia a raggiungere l’età adulta. La sua educazione fu affidata, fra i 15 e i 23 anni, a San Gerardo, abate benedettino veneziano, poi Vescovo di Csanád che ne forgiò un carattere molto ascetico e spirituale. Emerico sposò una principessa bizantina, ma secondo una sua biografia redatta fra il 1109 e 1116, egli visse durante il matrimonio in perfetta castità, collaborando con il padre alla conversione dei sudditi. L’identità della moglie non è certa: la tradizione più diffusa vuole che sia Irene Monomachina, alcuni storici ipotizzano Patricissa di Croazia o Adelaide/Rixa di Polonia.

 

Sant’Emerico d’Ungheria raffigurato in una vetrata della cattedrale di Cluj-Napoca

 

Destinato alla successione sul trono d’Ungheria – il padre progettava una coreggenza – non vi salì mai a causa della prematura morte, avvenuta ad Alba Regale in terra magiara, durante una battuta di caccia a seguito delle ferite procurate da un cinghiale. Fu sepolto nella chiesa cistercense di Székesfehérvár. Ladislao I d’Ungheria ne ordinò l’esumazione il 5 novembre 1083 per la canonizzazione, che avvenne congiuntamente a quella del padre e del suo educatore ad opera di Papa Gregorio VII. A favore della canonizzazione contarono sia la sua vita pia quanto le guarigioni miracolose e le conversioni che, come trasmette la tradizione, sono avvenute sulla sua tomba.

 

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