Il Martirologio Romano, nella sua ultima edizione, al 9 marzo così recita: «Presso Sivas nell’antica Armenia, passione dei santi quaranta soldati di Cappadocia, che, compagni non di sangue, ma di fede e di obbedienza alla volontà del Padre celeste, al tempo dell’imperatore Licinio, dopo aver patito il carcere e crudeli torture, durante il rigidissimo inverno furono costretti a rimanere di notte nudi all’aperto su di uno stagno ghiacciato e, spezzate loro le gambe, portarono così a termine il loro martirio». Nel calendario liturgico romano seguito alla riforma liturgia indetta dal Concilio Vaticano II questo gruppo di martiri non è più ricordate, mentre permane la loro commemorazione al 10 marzo nel calendario della forma extraordinaria.
L’epopea di questi martiri in terra armena ha segnato per secoli anche la spiritualità europea. Tra gli autori che nei loro discorsi hanno parlato dei Quaranta Martiri troviamo San Basilio Magno (Omelia 19 in Patrologia Graeca XXXI, 507 ff.), San Gregorio di Nissa (Patrologia graeca XLVI, 749 ff., 773 ff.), San Gaudenzio di Brescia (Patrologia Latina XX, 959 ff.), Sant’Efrem il Siro (Hymni in SS. 40 martyres), San Gregorio di Tours, Sozomeno (Historia Ecclesiastica, 9, 2). Questi eroici testimoni della fede sono sempre comparsi nei martirologi sia latini che greci. Nei secoli le loro reliquie giunsero anche a Brescia, in Palestina, a Costantinopoli, in Cappadocia. La Cattedrale di Aleppo in Siria è dedicata a loro.
La vicenda di questi mariti è giunta sino a noi attraverso delle fonti letterarie non contemporanee e riferite a sermoni e tradizioni orali, ma comunque antiche ed abbondanti. L’unico documento contemporaneo pervenutoci è il Testamento scritto dagli stessi martiri in carcere prima del supplizio. Sebbene genuino, questo testo non offre però un grande contributo alla ricostruzione storica della vicenda.
Ad ogni modo, raccogliendo dalle varie fonti le notizie verosimili, si può ricostruire il glorioso avvenimento: nel 320 durante la persecuzione scatenata da Licinio Valerio (250 ca.- 325) imperatore romano, Augusto dal 303 e associato nel 313 da Costantino per l’impero d’Oriente, quaranta soldati provenienti da diversi luoghi della Cappadocia, ma tutti appartenenti alla XII Legione “fulminata” (veloce) di stanza a Melitene, furono arrestati perché cristiani. Fu posta loro l’alternativa di apostatare o subire la morte, secondo i decreti imperiali, ma tutti concordemente rimasero fermi nella fede cristiana. Vennero pertanto condannati ad essere esposti nudi al freddo invernale e morire così per assideramento.
Attendendo in carcere la loro esecuzione, scrissero per mano di uno di loro il Testamento, nel quale chiedevano di essere sepolti tutti insieme a Sareim, un villaggio identificato con l’odierna Kyrklar in Asia Minore, il cui nome significa appunto Quaranta. Pregavano quindi i cristiani di non disperdere i loro resti, stabilendo inoltre che il giovane servo Eunoico, qualora fosse stato risparmiato dalla morte, avrebbe potuto ritornare libero ed occuparsi della custodia del loro sepolcro. Infine, dopo parole di esortazione ai fratelli cristiani, salutavano parenti ed amici, firmandosi con i propri nomi. La particolare minuzia nello stabilire il luogo di sepoltura, la raccomandazione di conservare il sepolcro e le reliquie, s’inquadra nel sentimento profondo dei primi cristiani, che rendevano un culto più o meno nascosto alle reliquie dei martiri, fonte di coraggio, forza ed esempio per affrontare la morte, così prossima per chi professava la nuova fede cristiana.
Il loro martirio ebbe luogo il 9 marzo, nel cortile del ginnasio annesso alla Terme della città di Sebaste in Armenia (l’odierna Siwas in Turchia), sopra uno stagno gelato. Sul luogo venne preparato anche un bagno caldo per coloro che avessero voluto tornare sulla loro decisione. Durante la lunga esecuzione, uno dei condannati, Melezio, quello che aveva scritto personalmente il Testamento, non resse al supplizio e chiese di passare nel bagno caldo, ma lo sbalzo di temperatura troppo forte gli causò una morte istantanea. Il suo posto però fu preso subito dal custode del ginnasio, colpito dalla loro fede e da una visione: si spogliò e, gridando che era un cristiano, si unì agli altri. Il numero complessivo di Quaranta era così preservato. Il suo nome di costui era Eutico, oppure Aglaio, secondo le varie fonti.
Quando tutti furono morti, i loro corpi vennero condotti fuori città e bruciati, per poi disperderne le ceneri nel vicino fiume. Nonostante questo gesto di disprezzo verso i martiri, parte delle reliquie evidentemente poterono essere recuperate e venerate poi in diverse chiese.
I loro nomi sono, ormai scritti in Cielo, sono: Aezio, Eutichio, Cirione, Teofilo, Sisinnio, Smaragdo, Candido, Aggia, Gaio, Cudione, Eraclio, Giovanni, Filottemone, Gorgonio, Cirillo, Severiano, Teodulo, Nicallo, Flavio, Xantio, Valerio, Esichio, Eunoico, Domiziano, Domno, Eliano, Leonzio detto Teoctisto, Valente, Acacio, Alessandro, Vicrazio detto Vibiano, Prisco, Sacerdote, Ecdicio, Atanasio, Lisimaco, Claudio, Ile, Melitone e il già citato Eutico o Aglaio. Il giovane servo cristiano il cui nome Eunoico è presente nell’elenco, evidentemente non fu risparmiato.
Anche un affresco del sec. VII-VIII in un oratorio precedente la chiesa di S. Maria Antiqua nel Foro Romano narra la storia dei Quaranta Martiri di Sebaste. Una miniatura tratta da un evangeliario siriaco, creato nel 1220 circa presso Mosul, raffigura i Quaranta e mostra una visibile influenza mongolo-musulmana.
Le parole della liturgia nella “Commemoratio Ss. Quadraginta Martyrum” trasformano ancora oggi in preghiera il culto e la devozione che da secoli i cristiani tributano loro:
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui gloriósos Mártyres fortes in sua confessióne cognóvimus, pios apud te in nostra intercessióne sentiámus. Per Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. Amen.