I Birago, paladini della Chiesa. Grandi eventi, grandi architetture, grandi beneficenze

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Pompeo Litta, Famiglie celebri italiane, fasc. 71, Birago di Milano, Milano, 1850, tavola I

 

Verso la metà dell’Ottocento due noti studiosi della nobiltà italiana, Leone Tettoni e Francesco Saladini, conclusero, nello splendidamente illustrato Teatro araldico […] [1],  il cenno storico dedicato alla casata dei Birago con espressioni che ne sottolineavano in modo speciale la storica grandezza:

«Se questa famiglia non fu del tutto principesca [qui non con riferimento al titolo ma all’esercizio della sovranità], ed alle di lei mani non furono date le redini di qualche città, o di qualche regno, non si può per altro negare che i valorosi capitani gl’insigni prelati ed i dotti letterati che da essa sortirono, la collocarono nell’alto seggio di gloria, su cui brillano le più antiche, le più nobili, le più illustri famiglie che vantar possa l’Italia, madre e nudrice di tanti eroi».

Quanto affermato dagli autori è vero solo in parte. In effetti, in tempi remoti, in pieno medioevo, essi dominavano nel Milanese direttamente su una vasta signoria territoriale, su cui non riconoscevano autorità superiore alla propria, in virtù della quale esercitavano un potere giurisdizionale assoluto, non eccettuata l’amministrazione della giustizia in ogni grado, sino al punto che si conservò a lungo memoria anche di sentenze capitali di alcuni malfattori, emanate ed eseguite in nome di rappresentanti della famiglia.

Un antico storico di questo nome (molti davvero gli uomini di lettere che lo rappresentarono) annotò che nei tempi più lontani i Birago avevano, oltre che in altri luoghi, il

«[…] possesso pacifico di beni, facoltà e giurisdizioni plenipotenziarie [erano detentori, quindi, dell’alto dominio] nella Pieve di Seveso massime nelle terre feudali di Lazzate, Misento [= Misinto], Solaro, Coliate ossia S. Dalmazio, Birago, Camnago, Barlassina ed altre molte […]»[2] .

Ancora nel primo Trecento, quando la potenza domestica poteva essere considerata inferiore a quella dispiegata anteriormente, veniva attribuita ad alcuni dei Birago, tra i capi dei guelfi in Milano e nello Stato milanese, la capacità di riunire sotto il proprio comando più di duemila uomini armati[3], un numero, per l’epoca, veramente ingente. Goffredo di Crollalanza, storico ben capace di produrre valutazioni comparative su scala nazionale e internazionale in ordine all’importanza e poteri delle grandi famiglie, può affermare perciò a ragion veduta che «Nei tempi delle municipali grandezze furono i Biraghi potentissimi in patria»[4].

 

Palazzo Birago di Borgaro, via Carlo Alberto, Torino

 

Nel medioevo essi, pur imparentati con diverse case sovrane, non ne erano condizionati nelle proprie scelte “politiche”. Lo storico Giuliano Porta, ad esempio, afferma che, nonostante le alleanze matrimoniali con i della Torre, i Birago, «[…] preferendo […] l’utile della Patria alla Passione privata» non tennero in considerazione i legami di parentela e si levarono, sempre legati alla Chiesa e sostenitori tra i più forti degli Arcivescovi milanesi, contro «[…]  Napo Torriano Nipote di Filippo Prencipe di Milano circa l’anno 1274 […]»[5].

Il Porta afferma pure che, questa generosissima Stirpe non si limitò in quei tempi a servire sotto l’Impero o sotto il comando, e direttione de Prencipi, e Rè ben formidabili. Essa agì direttamente sulla scena politica sotto «[…] i […] soli Stendardi spiegati dal […] proprio valore, e potenza incontrastabile […]», giacché

[…] non paventava di movere guerre da sé sola contro i Prencipi stessi, e più potenti. Il che avenne trà gli altri dal magnanimo Baldassaro Birago, che contro Ottone Visconte, sfogò sanguinosissima guerra, che doppo longhi dibattimenti acconciliossi con gran premura d’Ottone l’anno 1286, e quale fù poscia Podestà di Como l’anno 1288, sacrificando gloriosamente ad Astrea la fulminante sua spada. Onde ambiva questa famiglia Biraga le congionture maggiori di gareggiare con grand’ardire con i primi Prencipi d’Italia […]»[6].

Non per caso Francesco Visconti, ribellatosi al duca Giovanni Maria nell’aprile 1404 con altri rappresentanti della casa viscontea non contenti della pur cospicua eredità loro destinata da Gian Galeazzo[7], mosse senza indugio guerra ai Birago, che sostenevano il legittimo sovrano. Riferisce il Corio che Francesco «[…] con gran comitiva entrò in Milano. Et la prima impresa, che fece misse à saccomano, & à fuogo la Terra di Lazate, ch’era della famiglia de Biraghi»[8]. Lazzate, uno dei principali centri biraghiani, era difesa da un forte castello ed era cinta da mura poderose, delle quali massicci lacerti poterono essere rilevati ancora a cavallo tra Sette e Ottocento.

Le più remote origini dei Birago non sono note e, risalendo le più antiche notizie e attestazioni di personaggi del cognome almeno al secolo X (e di qui in avanti continuativamente nel Milanese, anche se una genealogia certa e senza lacune può essere delineata “solo” dalla metà del 1100) esistono poche possibilità che nuove ricerche o acquisizioni consentano di saperne di più. Anche fuori dall’Italia era chiaro in tutte le corti e a tutti gli storici che «La famille des Biragues est sans contredit une des plus illustres du Milanois»[9], andando del pari, aggiungono alcuni, con le famiglie che ne furono anticamente sovrane e con i sovrani italiani.

 

Arca marmorea in Santa Maria della Passione a Milano, realizzata sul finire del XV secolo dallo scultore Andrea Fusina per il condottiero Francesco e per Daniele Birago, arcivescovo di Mitilene dal 1489 al 1495

 

Nel corso dei secoli differenti storici hanno attribuito alla famiglia origini germaniche[10], francesi o liguri, ma risulta impossibile giungere a qualche certezza. Del resto i tempi in cui cominciano a essere individuabili i primi discontinui tasselli genealogici sono remoti al punto di consentire a Francesco Sansovino di riferire, nella seconda metà del Cinquecento: «Si dice, che sono più di mille anni, che la famiglia Biragha è illustre nella città di Milano» [!][11]. Per gettare qualche luce sulle origini risultano utili, oltre ad alcune tesi di laurea dedicate ai Birago in Università milanesi e torinesi, gli esiti delle ricerche compiute per un recente volume curato da Matteo Turconi Sormani[12] e in particolare, in esso, i capitoli I Birago signori nella Martesana: secoli IX-XI e La famiglia Birago nel medioevo.

 

Varianti dell’arma Birago (“francesi”, “milanesi”, piemontesi”)

 

Il capostipite riconosciuto della casata, che non è il suo più antico suo rappresentante, come si è visto, ma solo colui dal quale inizia una sequenza genealogica non interrotta (quanto meno dei rami principali), fu Corrado, nato attorno al 1132[13]. Uno tra i più antichi documenti in cui ne sono circostanziati i rilevanti ruoli risale al 1170: vi si evince che era stato uno dei capi delle milizie di Milano al tempo delle guerre contro l’imperatore Federico I «Barbarossa». Negli anni novanta del 1100, al tempo dei più aspri conflitti con Como e specialmente nel 1195, egli era comandante in capo dell’esercito milanese. Un comandante tanto potente e temibile da indurre i comaschi a cercare con ogni mezzo di liberarsene, assoldando in quell’anno sicari per ucciderlo, cosa che uno di essi, a tradimento, riuscì a fare «nonostante – scrive l’appena citato Turconi Sormani – la probabile presenza di molti suoi vassalli». La pace che seguì tra Milano e Como, dopo che i milanesi ebbero severamente vendicata la morte di Corrado[14], conteneva un articolo che prevedeva l’oblio della sua uccisione che, evidentemente, continuava a dare origine a conflitti.

Tornando ai domini della famiglia, gli storici, e tra essi, documentatissimo e affidabile e obiettivo al pari dei più informati e autorevoli, pure il già citato Vittorio Francesco Birago di Borgaro, annotano, anche sulla base di pergamene conservate negli archivi della famiglia, che essa dominò nel medioevo, oltre che sui sopra citati territori che, in quanto immemoriali e assoluti possessi allodiali non erano soggetti a investiture, su una trentina di «cospicui feudi» lombardi.

La casata continuò a grandeggiare nella storia milanese e il ruolo di qualche suo rappresentante fu considerato determinante nelle evoluzioni successorie del Ducato di Milano, dal quale, nel quadro di complesse vicende politiche, i principali esponenti della casa furono esiliati alla metà del Cinquecento dagli Sforza che ne temevano la concorrenza, legandosi in particolare ai Re di Francia. Poi, dalla Francia alcuni si legarono ai Savoia e si fissarono in Piemonte, dove se ne conservano impronte profonde e memorie indelebili.

Tra molti autori che sin dal Quattrocento si sono soffermati sulla nobiltà e influenza dei Birago, si possono menzionare, giusto a titolo di esempio, Francesco Filelfo[15] Giovanni Pietro de Crescenzi Romani[16] o Jacob Wilhelm Imhoff[17] ma si può ancora fare ricorso, prima di accennare rapidamente a qualche presenza piemontese e torinese della famiglia, alla sintesi delineata dal già citato Giuliano Porta, il quale dopo avere parlato delle origini scrive di essa:

[…] Maneggiò questa l’ultime volontà, e dispositioni de’ Prencipi. Trattò, e ridusse à felicissimo fine segnalatissime nozze trà Imperadori, e Regi, dico specialmente col’Imperador Ferdinando fratello dell’Invittissimo Carlo V, e Massimigliano suo figlio Rè de Romani, per il matrimonio della Regina Elisabetta, stabilito da […] Renato Cardinale Birago, che indi effettuossi con satisfattione non ordinaria del Rè Carlo di Francia. Hebbe questa famiglia nella morte de suoi Personaggi, & in specie di detto Renato Cardinale l’anno 1587 [sic, per 1583], funerali di pompa regale mai più veduta, assistente il Rè medemo con tutti li Ordini Supremi di Parigi, perorante nelle esequie sue Reginaldo de Beude [= Renault = Renauld / Renaud de Beaune] Arcivescovo Biturigense [= di Bourges][18]. Furono altresì alzate a questa regia famiglia gloriosissime Medaglie ne suoi trionfi più eccelsi, anzi [essa] stampò effettivamente monete nella propria Commenda di Sovigni[19] in Francia. Questa eccellente famiglia, […] tra le nobilissime sostiene degnamente il Trono, e Magnificenza, gloriasi di tutti li honori, grandezze, e prerogative più luminose […]. Hà […] posseduto antichissimi, e numerosissimi Feudi, che tutti uniti sarebbero senza nota d’adulatione, Stati, e Provincie […]. Pregiasi questa di tutti i migliori Ordini Equestri. Applausi de gran Prencipi. Ambascierie a Rè, a Pontefici, a Imperadori, e Republiche. Di Governi di Fortezze le più gelose, di Città, di Stati, Regni, e Provincie. Nell’amministratione della Propria Patria, più, e più volte fiorirono zelantissimi Decurioni, sino ne primi secoli. Nella Toga tante volte il nobilissimo Collegio di Milano fù da questa Casata sollennemente illustrato [… numerosi i] Letterati [… e gli] Scrittori de libri […] sì del Legale, come di Filosofia, del Politico, & ultimamente della Professione Cavaglieresca. Lettori nelle migliori Cattedre dell’Università di Pavia, e Canobiana di Milano. Oratori che rapivano à stupore i Rè medemi, nelle publiche radunanze. Nel ministero poi di Giustitia si segnalarono nella fama Giudici, Fiscali, Conseglieri segreti, Senatori, Presidenti, e Cancellieri supremi. Nella spada trionfarono in Mare, & in Terra invittissimi Capitani, Colonelli, Maestri di Campo Generali, Conseglieri dei più reconditi Gabinetti dei soli Rè, e Regine, Condottieri d’Eserciti, Vice Rè, Generali, e Generalissimi in Italia. Nella Chiesa fiorirono altresì Prelati di gran veneratione, e maneggio, Arcivescovi, Cardinali, Vescovi[20], Abbati, Prepositi, e valentissimi Governadori, anzi per la fede Cattolica Martelli delli Ugonotti diceansi antonomasticamente i Biraghi. Questa augustissima stirpe […] bastò a predominare li Scettri, e li Imperij maggiori, & à trasferire i Principati più eccelsi, ove più li piaceva, & inclinava […][21].

 

Monumento funebre di Renato Birago dello scultore Germain Pilon, oggi conservato al Museo del Louvre, Parigi

 

Monumento di Valentina Balbiano (1572), moglie di Renato Birago, dello scultore Germain Pilon (1537-1590), Museo del Louvre, Parigi

 

Merita ancora aggiungere almeno, tra quanto scrive il Porta, che la Casata «hebbe i figli sin tenuti à Battesimo dalle prime Corone del Mondo».

A Torino, in Piemonte e negli Stati sabaudi in generale i Birago giunsero dapprima quali rappresentanti della monarchia francese, che aveva sottratto ai Savoia i loro Stati: presto, però, si legarono alla casa sabauda. Le presenze e le impronte dei Birago sono qui, tra il XV e il XX secolo, multiformi e profonde. Il loro itinerario piemontese prende l’avvio dai campi di battaglia: diversi condottieri del nome risultano impegnati in terra subalpina almeno sin dal Quattrocento al servizio dei successivi sovrani di Milano, i Visconti, gli Sforza, i Re di Francia, ora alleati ora nemici dei Savoia. La prima città la cui storia può essere associata a quella dei Birago è Alessandria. Nel 1452, mentre ne era governatore Corrado Sforza, fratello del Duca di Milano, al cui dominio ancora le terre alessandrine appartenevano, vi giunse, per evitare colpi di mano antisforzeschi, che sempre più verosimilmente si paventavano da parte dei cittadini, Andrea Birago, a capo di un esercito di «tremila cavalli e cinquecento fanti». Con una simile forza di deterrenza alle porte della città non vi saranno conflitti o disordini. Poco più avanti nel tempo fu governatore di Alessandria Pietro Birago, che per la sua opera in favore della città ebbe da essa il raro privilegio di portare nell’arma gentilizia familiare lo stemma e il motto alessandrini[22].

Sin dal suo primo stabilirsi in Piemonte la famiglia conservò ruoli e in parte il peso politico che ne aveva caratterizzato l’intera storia, sia nella patria d’origine, sia in Francia. Carlo e Ludovico andarono a un passo dall’ottenere la sovranità sul marchesato di Saluzzo. L’estinzione dei Guiscardi San Martino di Vische nei Birago portò loro castelli e palazzi, feudi e allodi.

Renato (nella foto a sinistra: una delle medaglie coniate per celebrare Renato Birago quale Gran Cancelliere di Francia) di cui già si è detto più indietro e già indirettamente evocato dal Porta quale martello degli eretici e degli ugonotti, prima di divenire Gran Cancelliere di Francia fu dal 1543 il principale rappresentante del Re francese nel Piemonte occupato, con la qualifica di vicecancelliere di Francia, guardasigilli e presidente del neocostituito Parlamento francese di Torino, avente giurisdizione su tutto il Paese. Se anche l’organo a cui era preposto aveva giurisdizione nel campo dell’amministrazione civile e giudiziaria è noto che, già comandante d’uomini d’armi oltre che magistrato, partecipò sempre attivamente al governo e gestione delle operazioni militari[23]. Il suo nome è legato indissolubilmente a quello di Torino[24] per essere stato il primo possessore del castello del Valentino, che aveva acquistato per farne la propria residenza torinese. Il castello, abbandonato dal suo proprietario e indifeso, ben al di fuori delle mura della città, fu – secondo antiche annotazioni a quanto ci risulta inedite[25] – danneggiato e saccheggiato durante il movimento di truppe, dopo che, restituita Torino ai Savoia, Birago si era trasferito a Pinerolo quale presidente del Consiglio sovrano ivi insediato, divenuta questa città la principale testa di ponte francese affacciata sul dominio sabaudo. Nel 1564 Renato vendette l’edificio del Valentino, congiuntamente ad altri beni e feudi, al Duca Emanuele Filiberto. Si vuole, fondatamente, che il castello derivi il proprio nome da Valentina Balbiano, moglie di Renato, anche se al riguardo esistono pure opinioni, potenzialmente non meno fondate, contrastanti. Una volta stabilitosi a Parigi, Renato, il cui cognome, al pari di quello dei rami oltralpini della famiglia fu francesizzato nella forma de Birague ebbe ruoli fondamentali nella storia di Francia, di fatto iniziatore, creato cardinale dopo la morte della moglie e divenuto Gran cancelliere del Regno, della sequenza di cardinali-ministri di Stato che tanto peso ebbe, proseguita dal Richelieu e dal Mazzarino, nella storia della più potente monarchia d’Europa. Anche una via nel centro parigino lo ricorda.

Un ramo dei Birago divenuti francesi espresse per lungo tempo gli abbati commendatari dell’abbazia di Oulx: se ne ricorda l’impegno in difesa della fede e della Chiesa nel Delfinato e nella Valle di Susa.

 

Palazzo Birago di Vische, sullo sfondo il “casino” del marchese Birago, via Vanchiglia, Torino

 

Le molte presenze nella storia civile, architettonica, artistica, militare, benefica di Torino e del Piemonte non potrebbero essere evocate in brevi note. In estrema sintesi si possono ricordare, con speciale riguardo a Torino, i Birago di Vische e i Birago Alfieri di Borgaro (anch’essi Birago di Vische, dei quali erano linea secondogenita e nei quali si estinse la casa del grande tragico Vittorio Alfieri). Splendidi e celebri i palazzi fatti costruire in città: tra altri quello di via Carlo Alberto (edificato su disegni di Filippo Juvarra, oggi sede aulica della Camera di Commercio di Torino, giudicato da numerosi viaggiatori stranieri come il più elegante e raffinato palazzo torinese) e quelli di via Vanchiglia che fronteggiavano la vigna collinare appartenente alla casata, oggi ricordata, dopo essere passata di mano nell’Ottocento dai Birago di Vische a un loro amministratore, come «Villa Genero».

Una via di Torino («Conte di Roccavione») ricorda Giacomo Birago di Roccavione – ma non tutti sanno che apparteneva alla famiglia: nella toponomastica urbana è ricordato in quanto, generale al servizio imperiale, fu nel 1706, al seguito del Principe Eugenio, uno dei liberatori di Torino dall’assedio. Luigi Birago di Borgaro fu sindaco di Torino nel 1796. L’imponente – e prezioso – archivio dei Vische pervenne al Comune torinese (ed è ora conservato presso la Biblioteca Civica).

A Torino la famiglia (influente e benefica anche in altre province piemontesi) lasciò imponenti risorse per opere destinate al sostegno e sollievo della povertà e della malattia, tra le quali si devono ricordare almeno il Sanatorio Birago di Vische a lungo operante in seno all’Ospedale Amedeo di Savoia e a altre opere, di cui beneficiarono, tra altri, il Comune di Torino e il Cottolengo.

 

Portone del palazzo Birago di Vische di via Vanchiglia 6, Torino. Sotto, il dettaglio del portone con l’arma gentilizia

 

 

[1] Teatro Araldico ovvero Raccolta generale delle armi ed insegne gentilizie delle più illustri e nobili casate che esisterono un tempo e che tuttora fioriscono in tutta l’Italia. Illustrate con relative genealogico-storiche nozioni da L. Tettoni e F. Saladini, Lodi-Milano, Wilmant, 1841-1851.

[2] Vittorio Francesco Birago di Borgaro, Fasti. Memorie cronologiche della gente Biraga, m.s., 1804-1808, vol. I, pp. 1-4; vol. II, pp. 3-6. Nell’immagine a sinistra del testo, Pompeo Litta, Famiglie celebri italiane, fasc. 71, Birago di Milano, Milano, 1850, tavola I.

[3] Come implica quanto narrato da Giulini, Memorie cit., vol. V, 1856, pp. 38-39.

[4] Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, compilato dal commendatore G. B. di Crollalanza, vol. I, Pisa, Presso la direzione Giornale Araldico, 1886, p. 135.

[5] Giuliano Porta, Esemplari, e simolacri dignissimi delle virtu’, stimoli potenti alle medeme, Cioè Eroi, Campioni, e Personaggi celeberrimi Alessandrini quali rassembrano Teatro nobilissimo nel nuovo Tempio adunati d’Agrippa, eretto in perpetuo al mondo da Giuliano Porta d’Alessandria. Con la gionta dell’istesso à medesimi delli Vescovi, e governatori della Città. Dedicata […], In Milano, Per gli heredi Ghisolfi, 1693, p. 272.

[6] Ibidem. Il celebre medico Antonio Guaineri lo ricordò nella propria opera Anthonij Guaynerij papiensis […] de iuncturis sive [de] arthetica [et] calculosa passione ad magnificum [et] insignem virum Andream de birago ducalem camerarium comentariolus foeliciter incipit, Italia, Tipografia del Sassi, [circa 1470].

[7] Che lasciò al suo secondogenito, Filippo Maria, Pavia, a Gabriele Maria, figlio naturale legittimato, la signoria da poco acquisita su Pisa con molte altre terre e feudi e a un altro figlio illegittimo, Antonio, più tardi legittimato anch’esso dall’Imperatore essendo in procinto di estinguersi la linea primogenita della casa altri domini e territori, aprendosi per lui qualche possibile prospettiva successoria.

[8] Corio, L’historia di Milano cit., p. 297.

[9] Jean le Féron, Histoire des Connestables, Chanceliers et Gardes des Seaux, Mareschaux, Admiraux […] Depuis leur Origine avec leurs Armes et Blasons, Ouvrage commencé et mis au jour par Iean le Feron, l’an 1555. Reveu & continué jusques à présent […] par Denys Godefroy […], Paris, de l’Imprimerie royale, 1658, p. 190.

[10] A almeno un autore è parso verosimile l’esistenza di un legame con un personaggio denominato Birico, ex genere alamannorum, vivente nell’829 e con interessi territoriali e prediali in area non molto distante dalle signorie famigliari individuabili un secolo più tardi. Ciò nondimeno non pare in alcun modo possibile documentare un’eventuale discendenza da esso, anche se Birico, come Biulaco, paiono forme arcaiche idonee a rinviare al futuro lemma Birago.

[11] Francesco Sansovino, Della origine, et de’ fatti delle Famiglie illustri d’Italia, di M. Francesco Sansovino – Libro Primo. Nel quale, oltre alla particolar cognitione, cosi de principij, come anco delle dipendenze & parentele di esse case nobili, si veggono per lo spatio di più di mille anni, quasi tutte le guerre & fatti notabili, successi in Italia, & fuori, fino a tempi nostri. Con i nomi de i più famosi Capitani & Generali che siano stati, così antichi, come moderni, In Vinegia, Presso Altobello Salicato, 1582, p. 43.

[12] Birago tra Seprio e Martesana. Un contributo per la storia di Monza e Brianza, […], Lentate sul Seveso, Comune di Lentate sul Seveso, 2009.

[13] Discendono da lui tutti i principali rami della casata; possiamo riassumere, approfittando della sintesi della diffusissima Nuova enciclopedia italiana […], sesta edizione […],Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1877, vol. III, alla voce Birago, pp. 960-962 [960]: «quello dei signori di Mettone e Sizzano [sic], estinto nel 1723; quello dei signori d’Ottobiano, estinto nel 1765; quello di Francia, estinto nel 1723; quello dei conti di Roaschia, estinto nel 1753; [il primo ramo] dei conti di Borgaro, estinto nel 1746; quello dei marchesi di Roccavione, estinto nel 1814; quello di Vische […], [il secondo ramo] di Borgaro […], tuttora [si era nel 1877]  esistenti […]».

[14] Si vuole che proprio uno dei suoi figli abbia guidato una rappresaglia dei milanesi contro Como. Non è noto quale fosse tra i suoi diversi e forse numerosi figli dei quali sono noti il nome e la discendenza solo di alcuni. Narrano diversi storici che l’assassinio di Corrado costò carissimo ai comaschi: i sicari furo catturati e uccisi, mentre la vendetta fu compiuta «con aver fatto recidere il capo ai primati del governo, accompagnando questa solenne decapitazione con un generale saccheggio ed abbattimento delle principali case […]»; furono gli stessi Birago ad intercedere affinché cessassero le ritorsioni (Birago di Borgaro, Fasti cit. vol. I, pp. 8, 199).

[15] Nell’Oratio habita in sponsalitiis Petri Biragi: Helisabet Princiuallis […], ([Orationes nuptiales, IV], [Brixiae], per Iacobum Britannicum, die XVIII. Iunii 1488), il Filelfo sottolinea che Pietro era ben degno dei suoi avi e del nome illustre che portava.

[16] Corona della nobiltà d’Italia […]. Parte prima […], In Bologna, per Nicolò Tebaldini […], 1639, Origine de’ Signori Biraghi di Milano, di Francia, e di Piacenza […], pp. 265-292 che inizia il lungo cenno sulla Casa sottolineando che essa al contrario di altre si mantenne sempre in “alto stato” nel corso di molti secoli.

[17] Che dichiara «Biragorum famíliae, antiqua nobílitate paucís in Italia secunde […]» (Genealogiae Viginti illustrium In Italia Familiarum […], Amstelodami, Ex Officina Fratrum Chatelain, 1710, pp. 35-47.

[18] Renaud de Beaune, Sermon funèbre prononcé aux obsèques de feu reverendissime et illustriss. René Card. de Birague, Chancellier de France, le 6. décembre 1583, Par Messire Renauld de Beaune, Patriarche, Archevesque de Bourges […], A Paris, Chez Gilles Beys, 1583. Jean-Claude Fabre, nella diffusissima storia ecclesiastica iniziata dal Fleury fornisce una precisa descrizione delle cerimonie funebri dalla quale traiamo alcuni brani: «Ce cardinal mourut à Paris le 24 de Novembre […] en la maison priorale du monastère de sainte Catherine du Val des écoliers, qu’il avoit fait bâtir avec beaucoup de magnificence, à dessein d’y avoir sa sépulture […]. Son corps fut d’abord mis sur un lit de parade […] il fut […] exposé pendant huit jours pour satisfaire la curiosité du peuple. […] Le mardi six de Décembre, son corps porté par les confreres de la confrairie royale des Pénitens […] fut inhumé dans la chapelle de l’église de sainte Catherine [a Parigi, detta anche di Sainte-Catherine-de-la-Culture [o Couture], nel IVe], où il avoit déja élevé un monument à Valence Balbiane sa femme. Le chancelier de Chiverny lui fit ériger le mausolée, qu’on y voit encore. Les princes de la maison de Bourbon & de Guise conduisoient le deuil, suivis des cours souveraines, du corps de ville & de l’université de Paris. Le roi ayant à ses côtez le duc d’Epernon, voulut aussi y assister avec son habit de pénitent […]» (Histoire ecclésiastique, pour servir de continuation à celle de monsieur l’Abbé Fleury, Tome trente-cinquiéme, A Paris, Chez P. G. Le Mercier [etc.], 1751, pp. 561-562). In origine gli imponenti mausolei di Valentina e di Renato erano ben distinti tra loro; quando per gli ampliamenti di Parigi fu demolita la grande casa priorale, i religiosi fecero trasportare le due preziose opere d’arte nella casa dei Gesuiti in rue Saint-Antoine e là essi furono fusi in un solo monumento, come riferisce il Lenoir, congiuntamente alle iscrizioni originarie. In seguito l’insieme monumentale fu restaurato su disegni dello stesso Lenoir (cfr. Alexandre Lenoir, Musée des monumens français, ou Description Historique et chronologique des Statues en marbre et en bronze, Bas-reliefs et Tombeaux des Hommes et des Femmes célèbres, pour servir à l’Histoire de France et à celle de l’Art; ornée de gravures […], Tom. III, Seizième Siècle, Paris, Guilleminet, 1802, pp. 126-128 e annessa incisione f.t.). In ogni caso si conservano riproduzioni fedeli della loro forma originale nelle incisioni che corredano diversi volumi tra i quali il più antico è quello di Pierre Bonfons, Les fastes antiquitez et choses plus remarquables de Paris. Labeur de curieuse & diligente recherche, divisé en quatre livres, A Paris, Chez Nicolas & Pierre Bonfons, 1605, pp. 148-149 v.

[19] Il priorato e la signoria di Souvigny furono per qualche tempo ereditari nei Birago che diedero diversi abati commendatari nel Cinquecento e Seicento. Nonostante la vulgata generalmente negativa in ordine al ruolo dei commendatori abbaziali, spesso distratti da altri interessi e lontani dalle loro commende, i Birago amministrarono i patrimoni ecclesiali loro conferiti più che validamente. Quanto a Souvigny, Laura, madre dell’abate Filippo, salvò le mura del paese dalla distruzione ed è ricordata per avere destinato al priorato un patrimonio che fruttava una rendita annua piuttosto consistente (v. Léon Côte, Moines, Sires et Ducs à Souvigny, le Saint-Denis Bourbonnais, 2e édition, Paris, Nouvelles Éditions Latines, 1966, p. 237); a Filippo, che era anche elemosiniere del Re di Francia, si devono restauri e riparazioni della chiesa, del monastero e di altri edifici abbaziali (cfr. Mercier, Abbé [Barthélemy Mercier de Saint-Léger], Notice des Tombeaux & autres Monumens transférés, en Septembre 1783, de l’Eglise de Sainte – Catherine – la – Couture, dans celle de Saint-Louis, rue Saint-Antoine […], s. l. n. d., p. 15). V. anche Sébastien Marcaille, Antiquitez du Prieuré de Souvigny en Bourbonnois, ou est monstré le pouvoir des Saincts et plusieurs choses notables de la Royalle Maison de Bourbon qui en est fondatrice […], Molins Par Pierre Vernoy Imprimeur & Libraire ordinaire du Roy, 1610, c. 11 v., p. 352.

[20] I cataloghi dei prelati di Casa Birago non sono esaurienti. Meriterebbe di essere studiata e approfondita per la sua influenza e prestigio, tra altre, la figura di Tommaso, vescovo di Syba (città della regione di Zichia/Zechia, sul Ponto Eusino, vale a dire sul Mar Nero), dall’erezione della diocesi nel 1349 e sino al 1367 (cfr. Charles-Louis Richard, Jean Joseph Giraud, Biblioteca sacra, ovvero Dizionario universale delle scienze ecclesiastiche […], vol. XVIII, Milano, Ranieri Fanfani, 1837, p. 21; Jean Richard, La Papauté et les missions d’Orient au Moyen Âge (XIII-XVème siècle), Rome, École Française de Rome, 1977, pp. 248-251.

[21] Porta, Esemplari, e simolacri cit., pp. 272-273.

[22] Si veda Enrico Genta [Ternavasio], Testimonianze del “Particolarismo giuridico”. Note su una concessione del Comune di Alessandria a Pietrino Birago (1479), in “Rivista di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e Asti”, a. XCVI–XCVII (1987-1988), pp. 155-162.

[23] Michel François, Birago, Renato, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 10, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1968, pp. 613-618 [613]. V. anche, a puro titolo di esempio diversi spunti forniti da Blaise de Monluc (Comentarii di Stato, e di guerra del sig. Biaggio di Monluc, Maresciallo di Francia, libri sette […] Novamente tradotti […], In Cremona, Per Marc’Antonio Belpieri, 1628, pp. 130, 144, 162).

[24] Dove visse a lungo, giungendovi nel 1538, trentenne (era nato a Milano il 2 febbraio 1507 da Galeazzo Birago di Ottobiano (signore di numerosissimi feudi, capitano di uomini d’arme, castellano di Pandino nel 1481 poi governatore di Pavia) e da Anna Trivulzio, che era nipote del celebre Giangiacomo, marchese di Vigevano, condottiero di grande fama e maresciallo di Francia). Da poco occupati gli Stati sabaudi dai francesi, fu dapprima maître des requêtes e lasciò definitivamente la città solo dopo la restituzione del Piemonte ai Savoia.

[25] Che non solo risultano più che verosimili in relazione al contesto, ma anche paiono potere essere indirettamente confermate da quello che doveva essere un eccellente stato dell’edificio nel 1560 (attestato da accoglienze descritte come fastose e grandiose, delle quali narrano diversi testimoni oculari, riservate nel castello al duca Emanuele Filiberto di passaggio da Torino alla volta di Vercelli). Ad avvalorare l’ipotesi del saccheggio contribuisce anche una relazione delle condizioni in cui esso versava nel 1564, nella quale si legge che era «statto maltrattato», addirittura con la porta d’ingresso parzialmente mancante e completamente privo di mobili e suppellettili (v. almeno, rinunciando a ripercorrere la vasta bibliografia antica e contemporanea riguardante il castello e che potrebbe essere utile per una sintesi, Giovanni Vico, Il Real castello del Valentino. Monografia storica, Torino, Stamperia reale, 1858, pp. 9, 14-16).

 

 

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