“Cogito, ergo sum”. (Cartesio)
Quando frequentavo il secondo anno del mio antico liceo classico – in un’epoca in cui (non mi stanco mai di ripeterlo) si studiava sul serio – conobbi il pensiero di un filosofo che allora non avrei mai immaginato che, nei secoli successivi, tanto avrebbe influito sulla mentalità e sul modo di vivere dell’umanità: René Descartes, ossia Cartesio, lo scopritore del “dubbio” sistematico. Questa categoria del pensiero è diventata infatti la parola d’ordine dell’uomo moderno, perché ha la presunzione di fare piazza pulita di ogni certezza e di ogni sicurezza che possano limitare la libertà e l’autonomia dell’uomo, spianando la strada al relativismo che impera oggi, senza rendersi conto, tuttavia, che con questa affermazione il tanto deprecato dogmatismo, cacciato dalla porta, rientra surrettiziamente dalla finestra.
Cartesio riteneva il dubbio utilissimo “perché ci libera da ogni sorta di pregiudizi e ci prepara un cammino facilissimo per assuefare il nostro spirito a staccarci dai sensi ed infine grazie ad esso non potremo più avere alcun dubbio su quel che scopriremo in seguito essere vero”[1]. Le cose non sono andate così. Come ci spiegò il mio antico professore di filosofia (al quale debbo molta gratitudine per avermi fatto amare e coltivare in seguito questa materia, sia pure da semplice dilettante) senza una certezza precedente, alla quale possiamo dare fiducia e che serva da punto di partenza – come la capacità della ragione di conoscere la verità (preambulum fidei, secondo Tommaso d’Aquino) – il dubbio indiscriminato diventa solo fonte della confusione e dell’incertezza che ben conosciamo e che travolgono tutto, ostacolando la conoscenza stessa. E’ quello che alla fine dovette riconoscere lo stesso buon René il quale, innamoratosi del dubbio, era arrivato perfino a dubitare della propria esistenza e riuscì finalmente a risolvere questo angoscioso dilemma riconoscendo l’indiscutibile realtà del pensiero e facendo ridere a crepapelle gli studenti liceali di trecento anni dopo con la famosa frase che ho citato in epigrafe[2].
La confusione e l’incertezza sono esattamente quello che si sta verificando nel nostro tempo: più si cerca una risposta globale, più si dubita della possibilità di trovarla. Se Cartesio è stato il primo a elevare il “dubbio” a categoria autonoma di pensiero, prima di lui Bacone aveva esaltato il nuovo sapere contrapponendolo al precedente, ritenuto acritico e lontano dalla realtà, auspicando una totale “Instauratio” del pensiero sulle basi delle scienze, delle arti e di ogni umano sapere[3].
Anche il contemporaneo di Cartesio, Spinoza, tentò di fare un tipo di discorso “more geometrico” rifuggendo dalle passioni, sempre soggettive, ma alla fine si rese conto di dover ”ricercare se ci fosse qualcosa che fosse un bene vero e condivisibile … qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno una gioia continua e suprema”[4]. Non lo aveva già detto Gesù con la parabola della scoperta del tesoro nel campo? (Mt 13, 44).
Ho rispolverato questi miei antichi ricordi della filosofia del liceo per sottolineare che neppure l’epoca moderna, nella quale ha trionfato la scienza sperimentale, è riuscita a districarsi dai tentacoli del dubbio perché, evidentemente, esso esercita un fascino irresistibile sulle menti umane e accompagna la ricerca scientifica in ogni suo passo.
Quando frequentavo il secondo anno del Liceo Classico il professore di filosofia spiegò a noi ragazzi che Galileo, ricorrendo a una metafora, interpretava la natura come un libro scritto in caratteri matematici. E ricordo che io – che avevo imparato l’anno prima ad amare la filosofia studiando Platone, ma odiavo la matematica – con l’improntitudine tipica dei miei sedici anni ebbi il coraggio di obiettare all’insegnante: “Come poteva Galileo dire una cosa simile? Forse che, quando si guardava intorno, invece di campi, prati monti, mari e città, lui vedeva una distesa di formule matematiche e di teoremi geometrici?”. “No,” rispose il professore senza raccogliere la mia ingenua provocazione “lui vedeva la sublime armonia dell’universo, la stessa che regola le leggi matematiche dalle quali, come uomo di scienza, egli era incantato”. Il professore tuttavia conveniva che la metafora di Galileo è solo una figura retorica e non può valere come inconfutabile dimostrazione; da essa si possono avere delle conferme, ma questo non è sufficiente per concludere che le cose stiano davvero come immagina lo scienziato. Nonostante mi fosse finalmente diventato chiaro lo stretto legame esistente tra la filosofia e la matematica, io continuai ad amare la prima e a odiare la seconda.
Molti anni dopo, quando lessi “Congetture e confutazioni” di Karl Popper[5], compresi perché. Anche le teorie sbagliate basate sul dubbio, possono avere una grande capacità persuasiva perché hanno radici psicologiche e possono coinvolgere l’immaginazione e le passioni dello studioso.
Se la metafora di Galileo ha una parte di verità, non per questo i caratteri matematici sono l’unico linguaggio capace di esprimerla. Il campo del sapere (ci spiegò il professore di filosofia) è più grande di quello della dimostrazione e richiede un approccio di fondo basato sulla fiducia di poter conoscere la Verità, sulla capacità di “stupirsi” della complessità del mondo e della stessa possibilità di conoscere, come avevano capito molti secoli prima sia Platone che Aristotele.
Invece il dubbio spinto alle sue estreme conseguenze può avere effetti paralizzanti sia sul pensiero che sull’azione. Iniziando un viaggio in automobile, come potremmo essere sicuri al cento per cento che non ci schianteremo contro un albero? O che, attraversando la strada sulle strisce pedonali, non saremo investiti da un automobilista ubriaco? Se si parte invece da una condizione di fiducia di fondo il dubbio può aiutarci a vedere più chiaramente i pericoli. Lo stesso Cartesio, lo scopritore del “dubbio” si liberò da questa situazione angosciosa riconoscendo l’esistenza di un Dio infinitamente buono che non può ingannare, unica garanzia della bontà e della stabilità dell’essere. Il dubbio ci fa capire che la condizione umana occupa una posizione intermedia tra la luce e l’oscurità, come intuì Blaise Pascal il quale definì perfettamente questa condizione con speciale riferimento a chi cerca Dio. Dio ha dato all’umanità abbastanza luce per quelli che vogliono “vedere” e abbastanza oscurità per quelli che invece non sono disposti a intraprendere un cammino di ricerca sicuramente non facile.
Una perfetta conferma di questa posizione spirituale la trovai in un libro di Augusto Guerriero – il magistrato – giornalista che molti anni fa scriveva sul settimanale “Epoca” con lo pseudonimo di Ricciardetto e che molti ricorderanno – intitolato “Quaesivi et non inveni”. L’autore sosteneva di aver cercato Dio e di non averlo trovato: evidentemente l’oscurità spirituale nella quale egli viveva era molto fitta e il dubbio aveva prepotentemente preso il sopravvento sul suo spirito. Tuttavia io non posso fare a meno di pensare che egli si sia, per così dire, crogiolato in quel buio e non abbia fatto nulla per cercare la luce, altrimenti il Dio infinitamente buono di cui parla lo stesso Cartesio non gliela avrebbe negata, anzi gliene avrebbe aperto molti spiragli.
Crogiolarsi troppo nel dubbio, indugiare nell’indecisione sono atteggiamenti disapprovati anche dalla Bibbia. Gesù, per mettere in guardia la Sua generazione dal pericolo del dubbio, usò la similitudine dei bambini che rifiutano di decidersi (Mt 11, 16 – 19). Gli abitanti di Nazaret cedettero al dubbio distruttivo quando, venendo a conoscenza dei “segni” compiuti da Lui, dubitarono che “il carpentiere, il figlio di Maria” potesse compierli e “si scandalizzavano di Lui” (Mc 6, 3). I farisei invece, avanzando i loro dubbi, non erano mossi dal dubbio “sano”, cioè dal sincero desiderio di conoscere sempre meglio la Parola di Dio, ma dal desiderio ipocrita di mettere in difficoltà Gesù. (Mt 16, 1; 19, 3; 22, 35; Mc 3, 2). La lettera di Giacomo (1, 6 – 8) dice: “Chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento; e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l’animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni”. La Bibbia esorta spesso l’uomo a non pretendere di conoscere la Verità con le sue sole forze. Il dubbio è superato chiedendo allo Spirito Santo il dono della Sapienza.
Considerato in questa ottica, il dubbio scoraggia la superbia e coltiva l’umiltà. S. Agostino, nell’opera “De vera religione” (39, 73), insegna che ci è consentito dubitare quando siamo capaci di riconoscere i nostri errori e di giudicare una presunta certezza come semplice illusione. La fiducia di fondo e la prudenza sono fondamentali nella ricerca del Bene perché impediscono di cadere nel dogmatismo e nel fondamentalismo, le derive “forti” del pensiero, sia religioso che laico, all’origine della violenza e dell’intolleranza, come ci dimostrano tanti tristi fatti del nostro tempo.
Il dubbio è positivo quando nasce dal saggio uso della libertà che Dio ha donato all’uomo, quando nasce dal sincero desiderio di dissipare l’oscurità, quando non pretende una polizza assicurativa della Verità, ma si affida alla fiducia di fondo e questo è il grande dono che il Cristianesimo ha fatto all’umanità. Questo non significa che la Fede non conosca la dimensione della certezza, ma la certezza della Fede è su un piano diverso da quello della certezza razionale derivante da un calcolo matematico: è il piano della speranza, della fiducia, dell’affidamento a una Parola che ci è stata donata e che non ha niente a che fare con un metodo di prevenzione dei rischi futuri.
Il punto di riferimento è la figura di Cristo: in te, Domine, speravi: non confundar in aeternum.
[1] Cartesio, “Riassunto delle sei meditazioni che seguono”, in “Meditazioni metafisiche”, Mondadori 2008, pag. 91.
[2] Cartesio, “Prima meditazione”, pag. 99 ss.
[3] F. Bacone, Instauratio magna, in Scritti filosofici, Torino UTET, 1975, pag. 516
[4] B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto, in Opere, Milano, Mondadori, 2007, pag. 25.
[5] Bologna, IL MULINO, 1972.
1 commento su “Critica del “dubbio”, ma con un po’ di elogio”
Cartesio considerava il dubbio come metodo per giungere a delle certezze. Per partire dalle certezze della metafisica, come faceva Aristotele, bisogna avere qualche certezza. E’ ciò che manca a molti del nostro tempo, per cui non è da escludere il metodo cartesiano.