Uno spettacolo sul crinale tra tragedia e farsa

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Il film Don’t look up è un’ ”americanata”. Lo è proprio perché integralmente, nel suo stile, nei suoi personaggi, nel suo linguaggio, è lo specchio dell’America per quello che è già, e di quell’America che soggiace, circola nella nostra realtà, e via via da essa emerge come un mostro dagli abissi. E’ un film che si pone sul crinale tra la tragedia e la farsa, là ove la prima inclina alla seconda.

In sintesi, s’immagina che una cometa minacci di impattare e distruggere la vita sulla Terra entro 6 mesi. Gli scienziati che lanciano l’allarme vengono creduti, ma immediatamente fagocitati dal sistema dei media, diventando presenze complici nei talk show, alternati al gossip e agli show del politicamente corretto. Per parte loro i politici (in primis la donna presidente), interessati solo alle loro beghe e scandali finanziari e sessuali, cercano di prender tempo e trarre vantaggi personali a breve termine dalla situazione. Gli apparati burocratici e militari, i colossi industriali e informatici, s’impongono allora come decisori, ma su miopi ed avidi calcoli di potere e profitto. Incompetenza, vacuità, confusione, sempre nelle forme patinate e sexy dell’

“andrà tutto bene” guidano la nave dei folli alla catastrofe finale. Stilisticamente, il film ha i tipici ritmi, facce, opulenza del film spettacolare, con l’intreccio di eventi collettivi e storie private. Ma già qui c’è un elemento di disagio, una difformità rispetto agli standards hollywoodiani: non si parteggia per nessuno, non ci sono eroi, letteralmente “nessuno si salva”.

Alla squallida riconoscibilità dei politici, manager, giornalisti, alla patetica inconcludenza e subalterneità degli scienziati, corrisponde, per blocchi, la degenerazione delle istituzioni, dei media, dell’apparato burocratico, finanziario, produttivo.

Nel suo sito, Club Orlov, l’ingegnere russo-americano Dmitri Orlov, commentatore normalmente impegnato nell’analisi geopolitica mondiale, pone[1] la dimensione iperbolica ed umoristica del film in una mise en abyme per cui dalla superficie grottesca della fiction si duplica la sequenza nella realtà, la quale a sua volta produce il film a specchio di se stessa e così via. L’elemento paradossale e terrifico del film evoca il terrifico paradosso della realtà americana che a sua volta fa sì che esista un tale film…

Orlov nota come la data di uscita di esso in streaming –in occasione del Natale- sfruttasse il momento commercialmente più favorevole e nello stesso tempo più inquietante:

               Il soggetto – la distruzione del nostro pianeta – stava in forte opposizione al soggetto Natale, che è la nascita del nostro Salvatore, e, nell’epoca preprecristiana, al solstizio d’inverno, che è un volgere delle stagioni verso la primavera e la rinascita.

 L’angoscia ambigua (perché ride di se stessa) comunicata allo spettatore da questo contrasto, trova d’altra parte il suo doppio nell’angoscia torpida dei due anni di pandemia, nel simile intreccio di fallimenti politici e scientifici. In entrambi i casi, chi sono i responsabili, i colpevoli, i nemici, se tutti sono coinvolti nello stesso fallimento?

Interpretazioni rassicuranti ma fasulle 

Il fatto che il film sia stato finanziato da ambienti vicini al partito democratico, ha fatto rifugiare molti commentatori nell’ipotesi rassicurante di un intento satirico antirepubblicano; altri nell’interpretazione consolatoria che si tratti di un appello ecologista per la salvezza del pianeta e la fratellanza mondiale.[2]

Ma qui nessuno salva e nessuno si salva; la presidente può evocare Trump quanto Hillary Clinton, i manager-guru ricordano Bill Gates quanto Elon Musk, riconoscibilissimo è il circo politico, delle istituzioni, mediatico, dello spettacolo; e senza speranza è il suo pubblico paralizzato e abbrutito nelle dipendenze e nei circuiti del social.

Nota Orlov:

                  Don’t Look Up dispiega una satira industriale e militare che demolisce sistematicamente tutti gli aspetti del modo di vita americano contemporaneo. Non tenterò di enumerare tutte le maniere in cui questo film si prende gioco della realtà americana contemporanea, alcune delle quali potrebbero a questo punto essere inavvertibili per un pubblico americano perché esso si è troppo abituato ad una realtà anormale per vederla come tale. La società americana è letteralmente presa in giro ad ogni minuto, in ogni scena, in ogni dialogo – una stravaganza derisoria che sottolinea la degenerazione disperata e pietosa della società americana. Tale ritratto contrasta fortemente con le immagini idealizzate di eroismo, di prodezze tecnologiche, di libertà e di giustizia per tutti che Hollywood abitualmente cerca di dipingere. Secondo questo film, la “Shinig City on a Hill” è in rovina ben prima che la cometa la colpisca. (…)

         Nessuno dei personaggi suscita ammirazione e nemmeno simpatia; sono tutti nullità individualiste post-moderne. L’unico vero eroe della storia è la cometa che distrugge la Terra. Il pubblico è portato ad esclamare con il profeta Ezechiele: “Uccidili col fuoco, o Signore!”.

La mancanza di una prospettiva ottimista, alternativa, insieme al confermarsi di una visione americocentrica (le altre potenze mondiali falliscono ugualmente) evoca una specie di compiacimento suicida, di trascinarsi tutti dietro nella propria rovina. Come si dicesse: guardate a chi siete in mano, e voi non siete meglio di noi.

Il pensiero persistente che emerge alla fine del film è che, sì, fallirete tutti, e che la distruzione di un mondo così bello da parte di una cometa è in realtà un po’ triste, ma che non c’è posto per un tale simulacro di vita e di società empio e irrimediabilmente corrotto in quest’universo sacro, bello e vivente, di cui sono gratuitamente intervallate, per tutto il film, inquadrature di una bellezza sconvolgente.

Orlov si chiede come sia possibile che «un prodotto concepito dai fedeli servitori dell’élite al potere sia stato concepito per schiacciare sia quell’élite che l’intera società che essa ha creato» e dà una serie di risposte che attengono gli aspetti geopolitici e la crisi che incombe sugli Usa in mano ad un establishment che sembra dire nel film «Siamo tutti mostri – mostri disgustosi, degenerati, ripugnanti!».

Il degrado dell’élite nazionalista/mondialista americana si accompagna al concomitante sfascio dell’insieme della società americana. Tale degrado ha già inghiottito tutta la sfera psicologica, come testimonia il livello estremamente basso della cultura di massa, attraverso l’emergere del Black Lives Matter, della cancel culture, delle matematiche razzialmente corrette, ecc. Si è già estesa alla sfera biologica, come dimostrano la diffusa disforia di genere, le politiche di genere tossiche, il transgenderismo nello sport, ecc. La principale conclusione che si può trarre da questo massiccio degrado della società americana è la stessa di quella tratta dal degrado dell’élite nazionalista/mondialista americana: è impossibile fermarlo e invertirlo nel quadro dell’attuale ordine mondiale.

 Ci riguarda

 Orlov – da americano – vede con amarezza nel film una dichiarazione d’impotenza ed insieme di arroganza da parte di quelle stesse élites che così disastrosamente vi si rispecchiano… Valutandolo dall’ottica europea, cogliamo in esso una drammatica testimonianza della “posta in gioco” e dell’abissale inadeguatezza delle leadership mondiali a farvi fronte, anzi addirittura a percepirla – il che è un problema che ci riguarda, eccome. Nello stesso tempo lo avvertiamo come un “episodio” che nonostante sia esplicito e spietato, in nulla può influire sulla crisi USA che è sistemica, inafferrabile ed incommensurabile rispetto alle coscienze singole e collettive, a loro volta disgregate e sviate dai miti alla moda, dalle dipendenze, dalla falsificazione democratica del social e da un deficit culturale ormai statisticamente rilevabile.[3]  E anche questo ci riguarda, se si continuerà a perseguire in modo subalterno agli organismi internazionali e alle burocrazie UE l’omologazione della società ai modelli postmoderni.

Il pensiero unico, il sistema mediatico, il politicamente corretto, esercitano la loro efficacia proprio nell’integrare, omologare al più basso livello, falsificare la narrazione. Come paradossalmente il film integra se stesso per il suo stesso esistere, il flusso quotidiano d’immagini e d’informazioni provvisorie, sfuggenti, vane, può consegnarci (promotore e complice il ceto politico e mediatico) all’unico sistema ancora ed inesorabilmente efficiente: quello della globalità virtuale.

«Il momento attuale della storia del mondo» – riassume Orlov – «è caratterizzato da una crisi sistemica dell’ordine mondiale che è nato sul pianeta dopo la caduta dell’URSS e l’emergere di un mondo unipolare incentrato sugli Stati Uniti, in cui gli USA erano l’egemone – il soggetto dominante del sistema mondiale, il giudice, il legislatore, il creatore delle tendenze e il modello per tutti i popoli che aspiravano ai più alti standard di vita, dall’istruzione, al comfort e alle comodità, nonché alla sicurezza».

 Di fronte all’esito di tali processi, di cui il film, nel suo piccolo, appare un test pertinente, si deve riflettere quanto –al di là e alla base degli stessi aspetti geopolitici- a rendere la crisi disastrosa e irreversibile, influiscano proprio gli assetti morali profondi, i modelli, i miti del postmoderno, il liberalismo dissennato operante alla sorgente della vita. La nemesi cosmica diventa simbolica, visionaria, assume coerentemente un rimando metafisico, nella percezione di limiti sfidati, forzati, superati, sulla via della degenerazione morale da una parte, e della sfida tecnologica transumana dall’altra. E anche questo ci riguarda.

  

[1] L’articolo completo in traduzione italiana su Il Covile n.62i del 25/1/2022 www.ilcovile.it/scritti/COVILE_B_621_Film.pdf

[2] Questa più che una lettura infondata, è una vera e propria mistificazione, che aggiunge alla messa in scena dei personaggi repellenti del film quello dell’ecologista-animalista-abortista che ben conosciamo.

[3] Le statistiche ufficiali USA riportano un analfabetismo funzionale del 14 % e nelle scuole bassissimi livelli di competenza nella lettura e le matematiche.

 

 

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