di Carla D’Agostino Ungaretti
“Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle” (Ap 12, 1).
“Ma guarda i cerchi infino al più remoto, / Tanto che veggi seder la regina / Cui questo regno è suddito e devoto” (Par. XXXI,115 – 117)
Mentre cammino in strada cercando di non inciampare nelle buche di questa mia povera e amata Roma, mentre guido la macchina in mezzo al traffico cercando di evitare i rigonfiamenti dell’asfalto provocati dalle radici dei nostri meravigliosi pini – bellissimi sì, ma anche causa di incidenti per tanti imprudenti motociclisti – recito spesso tra me e me l’Ave Maria. Infatti io, romana fino al midollo, sono certissima che la “Salus Populi Romani” non permetterà mai il degrado e la definitiva umiliazione della città che fu scelta proprio da Suo Figlio quale Sede eterna del Suo Vicario. Ma soprattutto recito l’Ave Maria mentre mi occupo dei lavori domestici, momenti nei quali penso che la Madre di Dio mi sia particolarmente vicina e mi aiuti facendomi apparire più leggere quelle quotidiane incombenze – che, lo confesso umilmente e apertamente, sono sembrate sempre molto noiose a un’appassionata divoratrice di libri e giornali come sono io – dato che anche Lei svolgeva quei lavori mentre accudiva alla Sua Famiglia nell’umiltà e nel nascondimento,
Ma la preghiera mariana che mi affascina e maggiormente mi coinvolge, non solo spiritualmente, ma anche emotivamente ed esteticamente, è il Salve Regina, quella splendida antifona tipicamente medioevale, la più famosa tra quelle che concludono l’ufficio divino, che sembra raccogliere, come in un enorme mazzo di fiori, tutti gli appellativi espressi a quel tempo dalla devozione popolare e che, nelle ormai rare volte in cui è ammantata dalle severe note del canto gregoriano, mi sembra che muova qualcosa nella parte spiritualmente più profonda di me e mi faccia rimpiangere di non essere un’organista[1]. Infatti il canto gregoriano, eseguito correttamente, impone un comportamento severo: come nell’inno “Acàtisto”, cantato nella liturgia della Chiesa orientale e anch’esso dedicato alla Madonna, anche il “Salve Regina” deve essere intonato dal fedele dopo essersi alzato in piedi, come si conviene di fronte a una Regina, mentre la solenne composizione musicale favorisce la meditazione e il profondo raccoglimento.
Mentre la formula attuale dell’Ave Maria, detta anche “Salutazione angelica”, fu fissata da Papa Pio V nel 1568, il Salve Regina pare sia stata composta nell’XI secolo da Aimaro, vescovo di Le Puy[2], ma l’appellativo di “Regina” è molto più antico. Esso risale alla misteriosa figura della Donna descritta dall’Apocalisse ed è riferita, nella sua complessa simbologia, a varie figure come, da un lato, il popolo di Israele, perché da esso discende il Messia[3]; dall’altro, per noi cristiani, alla Santissima Vergine, a sua volta immagine della Chiesa di Cristo. Infatti il testo sacro dall’Apocalisse ci fa vedere in quella Donna proprio la Santa Vergine, la Madre del Cristo e la Chiesa stessa.
Il titolo di Regina è quello con il quale i cristiani frequentemente invocano la Madonna. Maria, una volta assunta in cielo – non attraverso la morte, ma attraverso la “Dormitio” – viene incoronata da Dio Padre, da Cristo e dagli angeli sovrana di tutti i fedeli del Signore. Esso ha dato origine anche a un altro inno di autore ignoto: il “Regina coeli, laetare, Alleluja …” recitato a mezzogiorno nel periodo pasquale in sostituzione dell’ “Angelus”, che invece si rifà all’Ave Maria. La tradizione fa risalire la nascita di questa lode mariana al VI secolo e all’ispirazione del Papa S. Gregorio Magno il quale, a mezzogiorno di una mattina di Pasqua a Roma, avrebbe sentito gli angeli intonare questo canto di gioia nel quale si invita la Vergine, Regina del cielo, a rallegrarsi per la Resurrezione del Figlio Gesù.
L’appellativo ha assunto le molteplici connotazioni accolte nell’ultimo dei Misteri Gloriosi del S. Rosario e nelle Litanie Lauretane: Regina del cielo, degli angeli, degli apostoli, dei patriarchi, dei profeti, delle vergini, dei santi, della pace. Il titolo regale ha sempre ispirato i poeti e gli artisti. Cito soltanto due grandissimi poeti italiani. Dante, nei versi della sua terza Cantica, che ho citato in epigrafe, viene guidato da S. Bernardo a spingere lo sguardo verso il gradino più alto e lontano dei cerchi celesti dove Maria, Regina del Paradiso e del cielo, siede per grazia dello Spirito Santo in un turbine di splendore dorato. Francesco Petrarca, nella Canzone alla Vergine, (“Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle …”) si riferisce proprio alla Donna dell’Apocalisse della quale invoca la protezione nel momento in cui egli si presenterà al Giudizio del Figlio.
Tra le immagini della regalità di Maria offerte dalle arti figurative, una tra quelle che a me sembrano più interessanti è il mosaico di Pietro Cavallini – l’artista romano del XIII secolo che contende a Giotto il primato di antesignano della grande arte italiana – nel catino absidale della Basilica romana di S. Maria in Trastevere: Maria, vestita sontuosamente e incoronata come Regina, siede alla destra di Suo Figlio, a sua volta seduto in trono come Colui che è Re, ma non di questo mondo (Gv 18, 36 ss). Altrettanto regali sono le due immagini moderne di Maria raffigurate dai mosaicisti che decorarono le cappelle dedicate ai misteri del S. Rosario nel Santuario di Lourdes. Nella cappella della Pentecoste, che illustra il III Mistero Glorioso, Maria, anche qui vestita come una regina ma con le braccia aperte in atteggiamento di preghiera, riceve la fiammella dello Spirito Santo insieme agli Apostoli, stando in piedi davanti a un trono e in posizione preminente rispetto a loro. Nella cappella dell’Incoronazione, che celebra il V Mistero, Ella, seduta sul trono e col capo circondato dalle dodici stelle (come recita la scritta dell’arco absidale) riceve da Suo figlio la corona di Regina.
Infatti l’aspetto della Donna descritto nell’Apocalisse, ne rivela la regalità celeste: ella “è vestita di sole” ed ha sul capo “una corona di dodici stelle”, simbolo del popolo di Dio, dei dodici patriarchi di Israele e dei dodici Apostoli[4]. Ma Maria è anche Madre e l’incipit del Salve Regina è gioioso al pari di quello della “Salutazione angelica”. In questo, l’Arcangelo invita alla gioia l’umile e sconosciuta Fanciulla di Nazareth perché Ella, avendo “trovato grazia presso Dio”, diventerà la Madre del Salvatore; in quello, il popolo di Dio si rivolge a Lei perché la riconosce “madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra”, proprio come i figli vedono la loro madre, sapendo che su di lei possono sempre contare. Ma la condizione umana, ferita dal peccato originale, è quella che è: una “valle di lacrime” in cui gli uomini conoscono più il dolore del peccato che la gioia e allora essi invocano lo sguardo pieno di misericordia di questa Regina e Madre, perché sanno che solo attraverso la Sua intercessione saranno ammessi alla visione di Suo Figlio, Dio e Salvatore. “Ad Christum per Mariam”.
Mentre nell’Antico Testamento il titolo di Madre del Re era addirittura superiore a quello di Regina – perché nel periodo monarchico il Re poteva avere molte mogli, ma la Madre era una sola – nel Nuovo Testamento e nell’arte cristiana i due titoli sono strettamente uniti, come dimostrano il Salve Regina e le innumerevoli immagini della Madonna, incoronata e seduta sul trono, che tiene tra le braccia il Bambino Gesù. Le prime due che mi vengono in mente sono la Madonna in trono e Santi di Fra’ Bartolomeo, nella chiesa di S. Martino a Lucca e la Madonna col Bambino e angeli di Jean Fouquet (sec. XV) nel Musée Royal des Beaux – Arts ad Anversa. In questo dipinto Maria, seduta sul trono e incoronata, ha addirittura un seno scoperto nel gesto di prepararsi ad allattare il Suo Bambino. Quale più commovente immagine della regale maternità di Maria? E quale immagine può essere più confortante per noi del Polittico della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, nella chiesa omonima di Sansepolcro, in cui Maria raccoglie i Suoi figli sotto la protezione del suo manto?
[1] Invece nella mia parrocchia le preghiere mariane sono spesso accompagnate dalle chitarre, dai tamburi e (udite, udite!) addirittura dagli ukulele. Questo, a detta del parroco, per far sentire “a casa” non solo i giovani che amano la chitarra, ma anche i fedeli non italiani. Mah! Non voglio fare commenti.
[2] Esistono comunque anche altre attribuzioni, come quelle che ritengono autore del Salve Regina il monaco tedesco Ermanno il Contratto (1013 – 1054) o addirittura S. Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153)
[3] Isaia (26, 17) paragona Israele a “una donna incinta che sta per partorire e si contorce e grida nei dolori”.
[4]Come tutti sanno, la bandiera dell’Unione Europea raffigura una ghirlanda di dodici stelle in campo azzurro. Qualcuno si è domandato se gli attuali governanti europei, che hanno ben poco di cristiano, si siano mai accorti che, nella devozione popolare, l’azzurro è il colore della Madonna e le dodici stelle ne sono la corona descritta nell’Apocalisse. Mi piace pensare che, attraverso questa bandiera, le innegabili radici cristiane di questa Europa – che sembra voler fare di tutto per scristianizzarsi – cacciate dalla porta, rientrino dalla finestra, perché non è facile cancellare ciò che Dio stesso ha impresso nel DNA della nostra cultura e della nostra civiltà.