La recente pubblicazione del volume Martiri della purezza (Edizioni Fiducia), curato da Virginia Coda Nunziante, ha riportato alla ribalta le vicende di alcune fanciulle, adolescenti, giovani che hanno preferito la morte al peccato, per parafrasare il celebre proposito di San Domenico Savio, il giovanissimo allievo di Don Bosco. È una folta schiera quella delle donne che hanno scelto la morte piuttosto che vedere intaccata la loro integrità fisica. Il Venerabile Pio XII, sommo pontefice che canonizzò Maria Goretti, ebbe a dedicare alla virtù della castità la lettera enciclica Sacra virginitas: era il 25 marzo 1954. Il principale pregio del volume citato consiste nel non essere per niente esaustivo. Sono molte di più le “Marie Goretti”, anche in tempi a noi ravvicinati.
Sarebbe infatti un errore madornale considerare questo fenomeno un qualcosa del passato, quasi come se la santità non fosse una possibilità reale anche nell’oggi: alcuni casi si sono verificati anche all’alba del terzo millennio cristiano, tra essi quello della bimba francese Jeanne-Marie Kegelin, nata a Strasburgo il 18 luglio 1994 ed uccisa a Rhinau il 18 giugno 2004. La fanciulla non aveva ancora compiuto 9 anni.
Alla storia personale di Jeanne-Marie si intreccia quella della sua famiglia, la famiglia Kegelin, non una famiglia d’altri tempi, bensì una famiglia di oggi, che ha ben colto il senso profondo delle parole di Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto» (Lettera ai Vescovi che accompagna la Lettera Apostolica “Motu proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970, 7 luglio 2007). Questa esperienza vive in pienezza la famiglia di Jeanne-Marie frequentando la Santa Messa nella forma extraordinaria del rito romano, e proprio in tale contesto sbocciano le vocazioni di due suoi fratelli, Louis-Dominique e Jean-Antoine, oggi sacerdoti nella Fraternità Sacerdotale San Pietro.
Il 18 giugno 2004, nella tarda mattinata, Jeanne-Marie Kegelin diceva a sua madre: «Vado a fare una passeggiata!». Salì sulla bicicletta e si diresse allo stadio Rhinau (nel Basso Reno), dove le piaceva raccogliere le palline perse dai tennisti. Quel giorno indossava dei bermuda blu ed una maglietta grigia. Durante il processo contro Pierre Bodein, accusato di tre omicidi, due dei quali preceduti da stupro davanti all’assise del Basso Reno, un ufficiale giudiziario ha tirato fuori questi vestiti dalle buste marroni sigillate. Presentavano tracce di tagli. Vennero presentati alla madre di Jeanne-Marie, che li riconobbe con la voce rotta dai singhiozzi. Il corpo di sua figlia era stato ritrovato nove giorni dopo la sua scomparsa, in un ruscello. Secondo i medici legali, la vittima era stata violentata, eviscerata ed infine annegata.
Sul banco dei testimoni, i familiari tracciano il ritratto di una ragazzina «giocosa», «burlona», «franca», «diretta», «una campagnola un po’ maschiaccio», «una piccola cristiana che aveva fatto propri tutti i valori del Vangelo», «recitava il suo Rosario» e «cantava inni». Jeanne-Marie era la settima di una famiglia di otto figli.
«Era più degna del cielo che della terra», afferma sua madre, Marie-Martine. La fede ardente che caratterizza l’intera famiglia Kegelin, la porta a considerare: «Non biasimo Dio per avercela portata via, ma dò la colpa a tutti questi leader che non fanno nulla contro la pornografia ambientale, sui muri delle nostre città, in televisione…”. Grida la sua convinzione che questa pornografia possa forgiare «gli stupratori di domani». Il fratello Louis-Dominique, al tempo del processo seminarista nel seminario della Fraternità Sacerdotale San Pietro in Baviera, guardava con speranza al martirio della sorellina: «Ora Jeanne-Marie ci assiste, ci aiuta a portare la croce», e girandosi verso il banco degli imputati: «Voglio rendere omaggio agli assassini della mia sorellina. Signor Pierre Fernand Bodein, buongiorno!». Proseguiva poi ancora rivolgendosi a Bodein, che non ammetteva la sua colpevolezza: «So una cosa, e cioè che Jeanne-Marie ti ama, e ne so un’altra, e cioè che ti confesserai a tempo debito. Tutto si saprà, in cielo e in terra».
In fondo, Pierre Bodein, aveva fatto a Jeanne-Marie Kegelin il dono più grande: il Paradiso. Quel Paradiso che la piccola tante volte aveva potuto pregustare con i suoi cari familiari nella liturgia, nella Santa Messa. «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» sosteneva Tertulliano, ma la storia di Jeanne-Marie ci mette di fronte alla realtà di come il suo martirio sia stato seme di nuove vocazioni alla vita sacerdotale.
È una vicenda di vita, la sua, non di morte. «Mors et Vita duello conflixere mirando», morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello, cantiamo il giorno di Pasqua con la sequenza Victimae Paschali.
Alla vittoria del Signore risorto si unisce anche Jeanne-Marie.
La Famiglia Kegelin durante il processo contro Pierre Bodein
I fratelli di Jeanne-Marie Kegelin, don Louis-Dominique e don Jean-Antoine
Sopra e sotto fotografie scattate in occasione della celebrazione della prima Santa Messa di don Jean-Antoine Kegelin, ordinato sacerdote il 23 giugno 2018. La celebrazione si è svolta il 1° luglio dello stesso anno a Ebersmunster in Alsazia, sua regione d’origine. Il viceparroco era suo fratello, padre Louis-Dominique, all’epoca sacerdote da nove anni e responsabile dell’apostolato della Fraternità Sacerdotale San Pietro di Saint-Etienne.