Teodolinda «Regina testimone di pace»

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La regina Teodolinda (cappella di Teodolinda del Duomo di Monza)

 

La diffusione del cristianesimo nell’impero romano, la conversione realizzatasi per capillarità, penetrazione e trasmissione, può riferirsi in gran parte all’azione, pervasiva e consapevole, delle donne: nell’ambito della famiglia (gens), nell’educazione, nelle piccole comunità domestiche divenute chiese domestiche, ma anche nelle forme di una mediazione culturale esercitata da personalità influenti e autorevoli.[1]

Un’altra fase decisiva e delicata, in cui si rivela tale riconoscibile mediazione culturale, questa volta attraverso figure-simbolo, è quella della conquista al cristianesimo delle tribù barbariche: le antiche cronache si concentrano intorno a figure eccezionali, in un alone leggendario, come nel caso della regina Teodolinda (570–627), collaboratrice di San Gregorio Magno nella conversione dei Longobardi ariani al cattolicesimo. Si attribuisce infatti alla regina la capacità e il merito di aver imposto attraverso il prestigio dinastico e la forza della sua personalità, una nuova identità culturale all’ideologia guerriera delle tribù nordiche. Questa vittoria pacifica fu trasformata, dalle mani stesse della regina, in offerta ad una superiore regalità: le corone e il tesoro, patrimonio e gloria del Duomo di Monza.

Oscilla nella storiografia la stella longobarda,[2] dalle accensioni romantiche per le giovani stirpi emerse dalle selve germaniche, all’esclusivismo del retaggio romano/cristiano, ad una considerazione forse più equanime, ma che si frantuma e si raffredda in segmenti specialistici, tal che una nebbia cala di nuovo sul passato, e così finiscono per essere le tradizioni e le leggende a conservarne una verità più umana.

Immaginiamo un’epoca tra le più dure e terribili della storia italiana, in cui vennero a maturazione importanti elementi identitari, tra componenti gravemente conflittuali; il momento in cui la Chiesa conserva e trasmette il patrimonio culturale, spirituale, istituzionale della civiltà romana, operando con realismo nei confronti dei barbari invasori. E dove però nello stesso tempo, è proprio l’Italia il laboratorio ove conflitti, ricomposizioni, alleanze, si giocano e si concertano, producendo una frammentazione politica che non sarà più ricomponibile.

 

L’ingresso di Alboino a Pavia

 

Nella Chiesa, all’epoca della dominazione longobarda, si fa riferimento a figure di altissimo prestigio e complessa operatività: al papa S. Gregorio Magno e al monaco irlandese S. Colombano, con i quali collabora (la bella leggenda dice il vero) la Regina Teodolinda, fiduciaria di S. Gregorio, cofondatrice del monastero di Bobbio, modello di una regalità istituzionale, non più legata alla fara e alle insanguinate alternanze di capi guerrieri.

Teodolinda è bàvara, e porta alla dinastia longobarda un prestigio comparabile alla regalità bizantina, una simbologia istituzionale più matura. La sposa di Autari «edifica», rende stabile, con la fondazione della reggia di Monza che affianca quella di Pavia, un’immagine regale non oscillante sulle punte delle spade, negli accampamenti nomadi, nelle terre desolate degl’incolti e dei pascoli, ma da subito corredata di sacralità: la Cappella palatina, il Tesoro del tempio, le corone preziose appese sopra gli

altari. La fondazione e la dotazione di Bobbio promuove altresì il patrimonio culturale e l’operosità sul territorio. Rimasta vedova, col successivo matrimonio con Agilulfo, e poi con la reggenza per il figlio Adaloaldo, la regina  costituirà l’elemento di continuità della dinastia longobarda, lasciando un segno non solo nella storia ma nella memoria popolare, con fioritura di narrazioni e una sorta di beatificazione ufficiosa.

 

Incontro di Autari con Teodolinda                                                                                                                   Battesimo di Agilulfo

 

Rotari promulga la legge longobarda dalla cattedrale di Pavia

 

 

La leggenda di Teodolinda si basa perciò su dati storici ben saldi, sulla pietra, sull’oro, sulle terre messe a frutto, nella luce aurorale di una nuova epoca, anche se di fatto saranno i Franchi e Carlo Magno a segnare il punto di arrivo del processo istituzionale universalistico: ma a quel punto l’integrazione delle popolazioni è avvenuta, le stirpi regali e ducali longobarde (tranne a Benevento) scompaiono dalla storia, il flusso culturale confluisce nella rinascenza carolingia.

Le trasformazioni ambientali ed architettoniche, oltre a distruzioni e spoliazioni, hanno allontanato più del dovuto nel tempo la complessa realtà di quell’epoca, di cui scarse sono le cronache e fonti documentarie.[3] Ci è giunto, pur gravemente diminuito, il fulcro splendente del tesoro di Teodolinda e, ad esso collegata, la Corona Ferrea, simbolo così suggestivo da attraversare la storia fino al ‘900.

La Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza ha riacquistato tutto il suo splendore, con i restauri settennali conclusi nell’ottobre 2015. La sua visita è un’esperienza straordinaria, in quanto collegata all’esposizione della Corona ferrea, conservata nell’altare centrale della cappella. La pressione turistica si acquieta per un momento di fronte ad una specie di rito laico, per cui la corona è tratta e mostrata, con apertura di sportellini, chiavette, da una ragazza in divisa, competente e compunta. Si avverte d’altra parte una certa inquietitudine, in questo prosaico esporre, a visitatori che «vogliono vedere da vicino» un oggetto così carico di storia e di un valore simbolico a pochi altri comparabile! Il chiodo della Croce! La sovranità sacra e mondana! Il Regno d’Italia, lascito grandioso e denso di mistero di una tradizione di cultura, di fede, di storia! La Corona Ferrea!

Nel Tesoro del Duomo un’altra corona, unica superstite del complesso di corone votive offerte da Teodolinda, risplende accanto ai doni preziosi di oro e gemme fatti raccogliere nel mondo dalla regina per glorificare la nuova Cattedrale, ma anche ad oggetti semplici, di rozza fattura: dalle fiale con l’olio delle catacombe dei martiri, a certe borsine in foglia di palma così antiche da autorizzare la credenza — o il sogno — che appartenessero agli Apostoli.[4]

In realtà la leggenda devota di Teodolinda giunge a noi da un varco di più di 1400 anni poggiando su una fioritura intermedia, che le dà un volto più manierato,[5] e rischia di lasciare sullo sfondo le figure gigantesche e drammatiche dei suoi tempi storici. Si tratta del XV secolo, gli anni del dominio dei Visconti, che fanno di Monza un centro strategico, rilanciando il prestigio della città e della sua Basilica. Il Duomo di S. Giovanni, in cui nel 1300, anno giubilare, erano state rinvenute (a seguito dell’apparizione in sogno di S. Elisabetta e di Teodolinda ad un sacerdote) le preziose reliquie del Battista, viene ricostruito completamente ed ampliato, come sede legittima dell’incoronazione dei re d’Italia. A conclusione di questa fase, dal 1440 al 1446, i fratelli Zavattari realizzano la Cappella di Teodolinda, in onore della fondatrice del tempio originario, ma evocando in immagini eleganti e di tono profano, gli splendori di corte e le vicende dinastiche dei Visconti stessi. Le 45 scene ripercorrono i fatti della vita della regina, evidenziandone il ruolo ispirato e pacificatore, nonché di devota mecenate della Basilica, con l’offerta del Tesoro e della Corona Ferrea. La presenza del sepolcro della regina riattiva intorno ad essa una

tradizione e quasi un alone di santità, tanto che la cappella con i suoi affreschi tardogotici non è coinvolta nella ristrutturazione barocca degli interni, e a fine ’800 Luca Beltrami ne cura un restauro con rifacimenti in neogotico.

La memoria della regina passa indenne tra le tempeste della storia (non il Tesoro del Duomo, depredato da Napoleone) e nel XIX secolo, il principe — poi re — Massimiliano di Baviera, nei rifacimenti del castello di Hohenschwangau, fa realizzare dal pittore Moritz von Schwind un ciclo di affreschi con gli episodi della vita di Teodolinda, celebrandone l’origine bavarese e accentuando i toni eroici dell’epopea longobarda.

La prospettiva storica appiattisce nel tempo i fatti e i protagonisti in immagini simbolo: in una delle sculture nelle guglie della facciata, realizzate ai primi del ‘900, Teodolinda è rappresentata nell’atto di donare il Duomo, però nella sua forma architettonica trecentesca. Certo la figura di Teodolinda presenta una ricchezza di motivi — il prestigio culturale, l’autorevolezza nella famiglia, la fede fervida e operante, la capacità mediatrice e di realizzazioni — da testimoniare ancora una volta la specifica presenza femminile nella storia, soprattutto in epoche di crisi.

All’estremo della penisola, Monte Sant’Angelo sul Gargano conserva le vestigia della devozione longobarda all’Arcangelo Michele, assunto per la sua immagine fiera a Santo protettore del ducato longobardo di Benevento. L’antichissimo Santuario porta nella roccia delle grotte le epigrafi dei duchi, ma anche i graffiti dei devoti provenienti da tutta Europa; e proprio rivolgendosi al pellegrino giunto al lontano santuario pugliese, Paolo Diacono scrive, nell’epitaffio di Ansa, un’altra regina longobarda della dinastia di Pavia: «non avrai da temere né le frecce dei predoni, né le nubi della notte oscura: per te ella ha fatto approntare spaziosi ricoveri e cibo».

Assorbiti dopo due secoli nel grande fiume della storia, i longobardi sono legati alle radici cristiane dell’Europa: scomparsi i loro palazzi e fortezze, ne resta un lascito di luoghi santi, di memorie e leggende devote, in misteriose corrispondenze lungo il cammino di San Colombano, da Mont Saint Michel, a Bobbio, fino a Monte Sant’Angelo.

 

Le illustrazioni di Lodovico Pogliaghi

Le tavole monocromatiche che rappresentano episodi della storia della dinastia longobarda in Italia sono opera di Lodovico Pogliaghi (1857/1950), artista poliedrico, grande disegnatore, pittore, scenografo, scultore (sue sono le porte centrali del Duomo di Milano). Ancora giovane, fu incaricato nel 1886 dalla casa editrice Treves di illustrare la colossale Storia d’Italia, di cui realizzò le magnifiche tavole per i primi 3 volumi, dall’età classica alle soglie dell’Unità. Si tratta di più di 350 disegni, realizzati in una gradazione cromatica dal nero al grigio, con illuminazioni di bianco. Oltre all’elevata qualità artistica, le illustrazioni sono basate su una ricerca storica, iconografica ed ambientale scrupolosissima, in modo che le immagini si ponessero a livello del testo per evocare episodi, personaggi, luoghi. Quest’accuratezza non ha quindi un effetto pedante, ma comunica un’affascinante visionarietà.

 

L’altra opera famosa di Lodovico Pogliaghi è il grande quadro ad olio su tela (cm.286X188)

Morte di Giovanni Maria Visconticommissionatagli nel 1889 dal Ministero della Pubblica Istruzione

e conservata a Roma, presso la Camera dei Deputati.

 

[1]   La critica biblica femminista sembra paradossalmente cieca di fronte a questa realtà incontrovertibile per dimensioni ed efficacia, andando invece in cerca delle tracce di un presunto sacerdozio femminile individuale (v. E. Schussler Fiorenza, In memoria di lei, Claudiana ed. 1990).

[2]   Nel giugno 2011 sono stato iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO 7 siti italiani con significative vestigia architettoniche longobarde. Vedi il sito www.italialangobardorum.it, che propone itinerari di visita, a cui va integrato il Duomo di Monza e il suo Tesoro. Sempre nel 2011, su proposta del Club UNESCO di Monza, Teodolinda è stata proclamata Regina testimone di pace.

[3]   La fonte principale è Paolo Diacono (720–789), longobardo, che scrive già ai tempi di Carlo Magno, collocando la sua Historia langobardorum (787–789) nella prospettiva mitica e gloriosa della sua stirpe sconfitta.

[4]   Purtroppo l’abitudine moderna alla bruttezza s’infiltra ovunque: in questo Museo con un’incongrua vistosa scala «d’autore» e un’opera sgargiante di Mimmo Paladino.

[5]   Ma per me il volto di Teodolinda è Elisa Cegani ne La corona di ferro di Blasetti…

 

 

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