Stirpe del Carretto, una delle più antiche famiglie nobili

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Louis Moréri, autore del Grand dictionnaire historique, una vasta opera di carattere enciclopedico iniziò la voce dedicata ai del [o Del] Carretto dichiarando – e non si sbagliava – che la famiglia «l’une des Plus nobles & des Plus anciennes d’Italie». Le origini dei del Carretto sono avvolte nell’oscurità tipica dei tempi più remoti. Essi traggono origine da Aleramo, conte, il quale, discendente secondo alcuni storici dall’eroe sassone Vitichindo e quindi appartenente alla dinastia dei duchi di Sassonia, dominava nel 933 su un piccolo comitato subalpino, estendendo successivamente i propri possessi, sino a divenire marchese di Savona e Monferrato. Secondo un’antica leggenda – a cui non è facile attribuire concreto fondamento storico – Aleramo avrebbe rapito Adelasia, figlia dell’imperatore Ottone I, forse già promessa ad altri, sposandola. Per sfuggire alla vendetta imperiale fu costretto a darsi alla macchia insieme alla moglie e restò per sette anni nascosto nei boschi attorno a Garessio, campando la vita, come scrive Antonio Manno nel Patriziato subalpino, fabbricando carbone. Sbollita l’ira imperiale, Aleramo sarebbe poi stato perdonato mentre a ognuno dei suoi sette figli fu assegnata una marca o altre vaste circoscrizioni territoriali.

Le più antiche vicende carrettesche si intrecciano con quelle di tutta la grande feudalità italiana, sia in conseguenza del potere politico della casata, sia per le alleanze matrimoniali che la portarono ad imparentarsi con le principali dinastie feudali e con diverse dinastie regie.

Il primo ad assumere il cognome, derivante, si ritiene, da un castello posseduto nella Val Bormida, fu Enrico (detto il Guercio perché aveva perduto un occhio alla crociata siriaca in un duello contro il saraceno principe Joppe) marchese di Savona, signore di molti altri feudi e amico di Federico Barbarossa al punto da poterne essere, nel 1183, il plenipotenziario alla firma della pace di Costanza. Gli si conoscono due figli: Ottone, che ebbe il marchesato di Savona (a cui dovette rinunciare quando la città si eresse in libero comune) ed Enrico II, che ereditò i marchesati di Noli e del Finale. Figlio di Enrico II fu Giacomo, vicario imperiale nel 1248, il cui nome non è sconosciuto nella storia della città di Torino, avendola egli tenuta “in deposito” per tre anni dopo che l’imperatore Federico II l’aveva concessa in feudo a Tommaso II di Savoia.

 

Targa con lo stemma del Carretto su carro trainato dai leoni, di Giovanni da Bissone, in piazza San Biagio a Finalborgo, Finale Ligure

 

Giacomo divise tra i suoi eredi in tre parti (Terzieri) il proprio patrimonio feudale e allodiale. A Corrado andò il Terziere di Millesimo, con tutti i possessi della Valle del Tanaro; a Enrico il Terziere di Novello con vasti possedimenti in Val Bormida e ad Antonio, infine, andò il Terziere di Finale, composto da molti paesi del litorale e dell’entroterra savonesi e destinato a costituire per oltre trecento anni uno Stato sovrano. Soltanto nel 1598 Sforza Andrea del Carretto ne fece cessione al re di Spagna, dopo secolari conflitti contro la Repubblica di Genova (verso la metà del XIII secolo, ad esempio, fu Jacopo Del Carretto a capitanare i ghibellini durante il conflitto tra lo Stato genovese, guelfo, e Federico II imperatore, mentre celebre rimane la guerra combattuta da Galeotto contro la repubblica tra il 1447 e il 1449).

Una linea dei marchesi di Finale possedette per lungo tempo anche altre giurisdizioni feudali del tutto indipendenti, il cui insieme viene ricordato come il “marchesato” di Zuccarello, destinato anch’esso a essere ceduto (in questo caso ai genovesi) tra la fine del ‘500 e la prima metà del ‘600. Alla linea di Zuccarello appartenne Ilaria, sposa di Paolo Guinigi, signore di Lucca, il celebre monumento funerario della quale, conservato nel duomo lucchese, è ritenuto uno tra i più significativi capolavori dell’arte rinascimentale italiana.

La famiglia si divise in molti rami; alcuni furono costretti a riconoscere la superiorità genovese, sabauda o gonzaghesca, altri manifestarono un forte spirito d’indipendenza. Giorgio, marchese di Finale, non volendosi sottoporre a Genova fu, agli albori del Trecento, imprigionato dai genovesi in una gabbia di legno in cui si narra che restò per oltre cinque anni, ponendo fine alla propria prigionia solo grazie alla fuga. Secondo alcune fonti già non sarebbe stato estraneo ai piani d’espansione sabaudi lungo il litorale ligure. Esempi meno antichi sono costituiti da Francesco, che, avendo combattuto contro Savoia e Gonzaga nel 1613-14 e nel 1625, ne ebbe confiscato e distrutto il castello di Roccavignale, come da pure Carlo, che nel 1693 subì l’assedio delle truppe sabaude nel suo castello di Monforte.

Parecchie città o Stati dell’Italia Settentrionale e Centrale (compresa, nei periodi di tregua con la famiglia, la stessa Genova) ebbero, tra il ‘200 e il ‘500, rappresentanti di casa Del Carretto al vertice delle proprie gerarchie politiche e amministrative: oltre a Giorgio, governatore di Siena nel ‘300, e Oddonino, di Piacenza nel 1414, possono essere ricordati i podestà di molte città, tra i quali Ottone, di Genova (1188) e di Asti (1213), Ugo di Alba, Asti e Chieri nella prima metà del ‘200, Obizzo, di Milano nel 1251, Bonifacio, di Novara nel 1273, Corrado, di Genova (1395, 1409) e poi di Vercelli e di Casale; Giorgio e Nicolò di Alessandria (rispettivamente 1421 e 1518).

Il maggiore rappresentante dei Del Carretto nelle gerarchie della Chiesa fu il cardinale Carlo Domenico, il quale svolse attività diplomatiche tra la corte pontificia e quella di Francia, tra gli ultimi anni del XV secolo e il 1514; fu arcivescovo di Cosenza, di Tebe, vescovo di Reims, di Tours, di Cahors. Alla morte di papa Giulio II fu da molte parti ritenuta probabile la sua ascesa al soglio pontificio, ma il conclave gli preferì Giovanni de’ Medici.

 

La chiesa di Nostra Signora di Loreto, detta “dei cinque campanili”, a Perti, dovuta alla committenza dei marchesi del Carretto nel XV secolo, che domina tutta Finalborgo, Finaleligure (foto di Enrico Fochi)

 

Altro personaggio di notevole rilevanza nella storia europea fu Fabrizio, ammiraglio, Gran Maestro dell’Ordine di Malta (1513) e attivissimo nel contrastare 1’espansionismo turco e islasmico già in agguato e azione nei secoli anteriori al Mille e costantemente attivo, senza soluzione di continuità, sino ai giorni nostri. Alfonso, principe del Sacro Romano Impero (1564), fu generale della repubblica genovese, per la quale riconquistò la Corsica.

Per poter almeno nominare alcuni tra i principali personaggi è necessario ricorrere ad una mera elencazione, arida, ma inevitabile per rendere l’idea dei ruoli giocati dalla famiglia nella storia.

Tra gli uomini di Chiesa possono essere ricordati parecchi vescovi e arcivescovi; tra essi: Ambrogio (Savona, 1183), Bonifacio (Savona, 1193; Asti, 1215), Oddone (Acqui, 1293), Ottobono (Ferrara, 1303; Acqui, 1340), Matteo (Albenga, 1429), Luigi (Cahors, 1519), Paolo (Cahors, 1524), Rolando (Avignone, 1513), Lodovico Emanuele (Oristano, 1746). Giulio – o Tullio -, vescovo di Casale dal 1594, morì nel 1614 in concetto di santità. Un discorso a parte si deve fare per la diocesi di Alba, della quale furono a capo tra il 1150 e il 1483 undici vescovi del Carretto.

Tra i poeti, letterati e giuristi possono essere menzionati Ottone, discepolo dell’umanista Francesco Filelfo; Giorgio, che pubblicò una raccolta di Consilia, e un trattato sulla riforma del calendario gregoriano; Oderico, autore di una raccolta di rime pubblicata nel 1617 ed altri ancora. Spicca tra tutti Galeotto, poeta e storico, personalità significativa nella storia letteraria italiana.

Molte fortezze e città sabaude ebbero un del Carretto quale governatore o comandante militare (Asti, Casale, Nizza, Novara, Vercelli, Mondovì, Tortona, Cagliari, Alghero…). Tra i militari possono essere ricordati, entrambi appartenenti alla linea dei marchesi di Balestrino, Galeazzo, morto in guerra nel 1570, e Pirro che, catturato dai turchi in combattimento, mori schiavo attorno al 1580. Carlo, marchese di Zuccarello e gentiluomo al servizio sabaudo, difese per quasi un anno Montmélian assediata dai francesi (1691), lasciando la fortezza solo quando fu umanamente impossibile conservarla, uscendone da una breccia a capo dei suoi soldati, a insegne spiegate e tamburo battente; gli assedianti tributarono loro gli onori militari. Filippo, marchese di Camerano, morì da eroe a Cosseria il 13 aprile 1796, combattendo le forze di aggressione della Francia rivoluzionaria. Tra quanti lo ammirarono esplicitamente e profondamente è anche annoverato il più famoso nemico: Napoleone Bonaparte.

Ernesto, della linea di Torre Bormida, rimase ucciso nel 1848 alla battaglia di Santa Lucia. Nelle campagne del ’48 si distingueva anche Aleramo, dei marchesi di Mombaldone. Sui Mombaldone si può riferire una curiosità: nel 1713 Isidoro fu creato marchese del Sacro Romano lmpero con curiosi privilegi. Tra questi la singolarissima facoltà di addottorare chiunque gli paresse. Da ciò derivò il modo di dire, ancora noto non molti anni or sono in Piemonte, “laureato di Mombaldone”, con chiari intenti burleschi. A scanso di equivoci e pretensioni di cui si ha notizia, merita sottolineare che i del Carretto di Mombaldone si sono estinti “in quenouille” (nei maschi), con la morte, nel 1881, di Aleramo, la cui figlia, Maria, o Irma Maria sposò il barone Edoardo Cervetti. Ancora presente nell’Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana del 1922, nonostante l’ultima rappresentante della casa già fosse scomparsa tre anni prima, questo ramo non vi figurava più nell’Elenco Ufficiale pubblicato nel 1934.

Giuseppe Maurizio, della linea di Santa Giulia, fu viceré di Sardegna (1745-1748); quattro furono cavalieri dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata.

Per completare un profilo della casata occorre ricordare ancora l’azione caritatevole svolta da vari suoi rappresentanti attraverso l’istituzione di opere pie e la costituzione di importanti lasciti. Basti ricordare il nome più noto ai torinesi, quello di Luisa Del Carretto di Santa Giulia alla memoria della quale Torino ha dedicato una sua strada. Questa fu l’ispiratrice e la fondatrice dell’Istituto Nazionale Figlie dei Militari, che iniziò a operare nel 1869 a favore delle orfane di guerra. La marchesa si era già dedicata, anche negli anni precedenti, anima e corpo all’assistenza dei feriti, seguendo l’esercito piemontese sempre a fianco dei soldati, in prima linea, nelle ambulanze, negli ospedali da campo.

 

 

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