Robert Schuman: quando il mito politico laico diventa modello per la Chiesa

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La proclamazione di Robert Schuman come venerabile da parte di papa Francesco è l’occasione per iniziare un Approfondimento sull’Unione Europea

 

L’Unione Europea si realizza dopo la tragica seconda guerra mondiale, per opera di alcune figure del mondo politico, bancario, finanziario, universitario e questi sono i loro nomi: Konrad Adenauer, Joseph Bech, Johan Willem Beyen, Winston Churchill, Nicole Fontaine, Alcide De Gasperi, Walter Hallstein, Ursula Hirschmann, Nilde Iotti, Marga Klompé, Anna Lindh, Helmut Kohl e François Mitterrand, Sicco Mansholt, Melina Mercouri, Jean Monnet, Paul-Henri Spaak, Altiero Spinelli, Simone Veil, Louise Weiss.

Varrà la pena, prossimamente, occuparci di una per una di queste personalità votate ai moderni ideali europei, un’Europa non più legata alla sua storia e alla sua cultura cristiana, ma ai dettami di retaggio volterriano e alle filosofie di stampo kantiano ed hegeliano, immerse nel clima nietzschiano e freudiano, che hanno generato, sotto un manto di stucchevole ed effeminato buonismo,  la dittatura del liberalismo più sfrenato s’impone con il suo relativismo e pluralismo più spinto, fino a calpestare ruoli ed identità, dove il dio denaro con la sua funzione di spesa e di consumismo s’impone sopra tutto e tutti, divorando rispetto e moralità. Fra questi uomini e donne che hanno ambito ad un’Europa unita nel nome del dio denaro e dell’idolo “democrazia”, trasformatasi in un grande e divoratore marchingegno d’invadenza che penetra gli Stati sovrani e la vita di ogni singolo cittadino, si annovera anche Roberth Schuman.

Nella giornata di ieri, papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto che riconosce le virtù eroiche del “servo di Dio”. Per ottenere l’onore degli altari, infatti, il candidato deve aver esercitato in vita tutte le virtù teologali e cardinali in grado eroico; ma il curriculum vitae di Schuman, di grande rilievo e prestigio nella vita internazionale, politica e culturale del Novecento, possiede caratteristiche non idonee al concetto di santità di matrice cattolica, separandosi così drasticamente dagli standard processuali del diritto canonico a cui deve sottendere la Congregazione delle cause dei Santi. Non è quindi sufficiente per salire all’onore degli altari pregare, andare a Messa o visitare santuari e abbazie, compiere atti di carità, occorre molto di più: il cammino santificante è un’ascesi che permette, giorno dopo giorno, il distacco dal mondo, essenziale, anche se si è nel mondo, per unirsi davvero a Dio attraverso un allenamento ed esercizio spirituale che va ben oltre gli sforzi fisici per essere campioni nello sport. Dichiara la Congregazione delle Cause dei Santi:

«Uomo di governo al servizio di uno Stato laico, Schuman rispettava pienamente la laicità dello Stato, ma non acconsentì mai ad agire contro coscienza, formata all’obbedienza dei comandamenti di Dio e delle leggi della Chiesa. Il Servo di Dio fu mosso e animato da una eroica speranza, che non faceva alcun affidamento sulle proprie forze e che emerge soprattutto dalla sua azione politica a servizio dell’idea di Europa unita». Dunque, è l’Europa unita, lo scopo ideologico per cui la Santa Sede sente l’esigenza di promuovere Schuman a sua bandiera.

La concezione di santità, per alcuni protagonisti della Chiesa postconciliare, è stata letteralmente stravolta e la formula del mito politico da “santificare”, che segue parametri ideologici affini ai membri del potere ecclesiastico, è quella attualmente più seguita sotto il Pontificato di papa Francesco; tuttavia questo paradigma proviene da un sentire democristiano, dialogante, remissivo alle logiche del potere e del mondo, dove il compromesso è sempre lecito purché il “dialogo” non avvenga con la Verità rivelata, poiché quest’ultima è causa di divisione con i sostenitori dei principi del liberalismo, del socialismo e del relativismo, proprio quei principi, rimandabili al motto LEF (Liberté, Égalité, Fraternité), di cui si fece interprete europeo il politico francese Robert Schuman.

Secondo i desiderata dell’attuale Chiesa, Robert Schuman appare strategicamente opportuno per essere innalzato sugli altari… del mondo.

Schuman ebbe un mentore, Jean Monnet (1888-1979), in odore di massoneria, anch’egli fra i padri fondatori dell’Unione Europea. Monnet, il 5 agosto 1943 ad Algeri, quando divenne membro del Comitato francese di Liberazione nazionale, dichiarò: «Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale… [ciò] presuppone che gli stati d’Europa formino una federazione o una entità europea che ne faccia una comune unità economica». L’identità europea sta nella capacità, per costoro, di trascendere le proprie identità e si innesta in un’etica che trova le sue origini nelle idee illuministe, quelle idee che furono fortemente veicolate dalla massoneria. Così Schuman, Ministro degli esteri, nonché cattolico adulto, e Monnet, banchiere ed ex Segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni, si fecero interpreti di un ideale laico di pace perenne in Europa, una pace, quindi, non in Cristo, ma sostanzialmente basata sugli interessi economici dei mastodontici potentati finanziari.

Nel 1950 avviene l’inizio di un processo ancora in corso: a fronte di nuove tensioni internazionali, dopo l’ecatombe della guerra mondiale, Monnet lancia la sfida verso l’unione dei Paesi europei; così, insieme ad alcuni collaboratori, prepara il testo della cosiddetta Dichiarazione Schuman, dove il collante, per creare l’unità europea, viene individuato nell’economia. Si legge: «La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza iniziative creative all’altezza dei pericoli che ci minacciano. Mettendo in comune talune produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i Paesi che vi aderiranno, saranno realizzate le prime fondamenta concrete di una federazione europea indispensabile alla salvaguardia della pace… La solidarietà di produzione (del carbone e dell’acciaio) renderà manifesto che ogni guerra tra la Francia e la Germania diventa non soltanto impensabile, ma materialmente impossibile». A legare il continente non più i valori cristiani di un tempo, da cui ebbe origine l’Europa, bensì il carbone e l’acciaio. Poi arriverà la moneta, l’euro, alla quale si aggiungeranno le ideologie idolatriche: femminismo sfrenato e disgregante il concetto di famiglia tradizionalmente intesa; ambientalismo esasperato; propaganda omosessualista e gender; immanentismo dell’esistenza con ripercussioni devastanti sulla psiche dell’individuo, sempre più lasciato solo, nell’anima, anche dai pastori di una Chiesa più matrigna che madre, la quale scende a compromessi con i peccati del mondo. Una Chiesa che da missionaria ed evangelizzatrice delle genti, stabile nella sua dottrina, che dovrebbe difendere oltre che diffondere per convertire nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, si pone alla sequela delle esigenze dei potenti di turno.

Fortemente distanti, perlopiù, dalla Verità rivelata da Cristo – che si basa su una fede di ragione, ma dal sapore fortemente soprannaturale, senza il quale non esiste specificità trascendente del Credo ed essenza stessa della religione – i pastori contemporanei sono sempre più intenzionati a secolarizzare la Chiesa di Roma e a laicizzarla, come ha ben espresso lo stesso Pontefice ancora nella giornata di ieri, nell’udienza ai diaconi permanenti della diocesi romana, giunti in Vaticano con le loro famiglie: «I sacerdoti non siano una “casta” che si pone al di sopra degli altri» e dunque il diaconato non può essere «ridotto a un ordine di passaggio verso il sacerdozio». Il sacerdote è ontologicamente diverso dal laico, avendo ottenuto un ordine superiore, ovvero più vicino a Dio rispetto al semplice fedele, che si esplica nel suo ministero, impartendo i sacramenti e vivendo più intensamente al cospetto dell’Onnisciente. Ma è evidente che la protestantizzazione della Chiesa di Roma, con sempre meno vocazioni religiose, è un fatto iniziato con il Concilio Vaticano II (1962-1965) e progredito pontificato dopo pontificato.

È un fatto, e non un’opinione, anche l’approccio assolutamente modernista (eresia condannata da San Pio X nel 1907 con il celebre documento Pascendi Domici Gregis ) del credo di Schuman, atteggiamento condiviso con tutta una schiera di uomini-mito della Democrazia Cristiana, da Alcide de Gasperi a Giorgio La Pira.

La sua vita non è certo allineata alla tradizione agiografica di duemila anni di Storia della Chiesa. Siamo di fronte ad un’esistenza ricca di onori e glorie del mondo, ma avulsa dai topos dei santi e dal loro culto; la sua “fama di santità” proviene soltanto dai salotti ecclesiastici politicizzati, ma non proviene dalla base, ovvero dal popolo, essenziale, da sempre, per l’insediamento di un culto locale e/o universale.

Colui che è stato dichiarato ora venerabile nacque il 29 giugno del 1886 a Clausen, quartiere di Lussemburgo, da padre lorenese di nascita francese, diventato cittadino tedesco dopo l’annessione della Lorena alla Prussia nel 1871. La madre era lussemburghese, ma acquisì la cittadinanza tedesca col matrimonio. Visse a Lussemburgo per tutta l’infanzia e la giovinezza, con sua nonna, diplomandosi sia lì sia successivamente a Metz, all’epoca città tedesca. Alla fine della formazione secondaria Schuman parlava correntemente tedesco, francese e lussemburghese. Compì gli studi universitari in giurisprudenza in Germania, a Bonn, Berlino, Monaco di Baviera e Strasburgo e nel giugno 1912 aprì uno studio di avvocato a Metz.

Riformato allo scoppio della Prima guerra mondiale per motivi di salute, la brillante carriera politica di Schuman iniziò verso la fine della guerra, quando nel 1918 divenne consigliere comunale a Metz. Dopo l’armistizio del novembre 1918 l’Alsazia-Lorena passò dalla Germania alla Francia e nel 1919 Schuman venne eletto per conto dell’Unione Repubblicana Lorenese al Parlamento francese come deputato della Mosella. Ricoprirà questo incarico ininterrottamente fino al 1940. A partire dal 1936 sarà anche consigliere generale del dipartimento della Mosella.

Nel marzo 1940 Schuman venne nominato sottosegretario per i rifugiati della Seconda guerra mondiale. Il 16 giugno venne confermato in tale posizione nell’ambito del primo governo Pétain e il 10 luglio 1940 votò a favore della concessione dei pieni poteri al maresciallo. Si spostò dal sud della Francia a Metz, capitale della Lorena, per raggiungere i propri cittadini, in larga parte scacciati dalle loro case dalla occupazione tedesca, il cui obiettivo era l’integrazione immediata con il Reich. Per la sua attività politica a favore dei rifugiati, dopo poco tempo, Schuman venne arrestato dalla Gestapo e imprigionato prima a Metz e in seguito a Neustadt an der Weinstraße, da dove evase nell’agosto 1942. In clandestinità, con una taglia di 100.000 Reichsmark che pendeva sulla sua testa, fece parte della resistenza francese per i tre anni successivi. Declinò l’invito a Londra del leader francese in esilio, de Gaulle, preferendo rimanere con i suoi compatrioti nella Francia occupata dai nazisti.

Nel 1946 venne fu al Parlamento francese come deputato della Mosella e mantenne la carica fino al 1962. Fu poi eletto nelle file del Movimento Repubblicano Popolare. Il 24 giugno 1946 venne nominato Ministro delle finanze e il 24 novembre 1947 divenne Presidente del Consiglio, mansione che portò avanti fino al 19 luglio 1948. Successivamente ministro della Giustizia dal 1955 al 1956. In qualità di Ministro degli esteri fu protagonista dei negoziati che si svolsero alla fine della guerra: oltre al all’attuazione del Piano Marshall in Europa, essi portarono alla creazione del Consiglio d’Europa, della NATO e della CECA. L’ultimo incarico governativo ricoperto da Schuman fu quello di Ministro della giustizia, fra il 23 febbraio 1955 e il 24 gennaio 1956.

L’atto più emblematico della sua illustre vita politica fu la «Dichiarazione Schuman», con la quale propose alla Germania e agli altri Paesi europei di lavorare insieme per far convergere i rispettivi interessi economici. Era convinto che tale convergenza avrebbe reso la guerra «non solo impensabile, ma materialmente impossibile».

Nel celebre discorso che tenne il 9 maggio del 1950 (a destra, nella foto), ispirato e per la gran parte scritto da Jean Monnet, Schuman propose di porre l’intera produzione franco-tedesca di carbone ed acciaio sotto l’egida di un’Alta autorità comune. L’organizzazione sarebbe rimasta aperta alla partecipazione di altri Stati europei.

Tale cooperazione doveva essere pensata in maniera da creare una convergenza di interessi tra i Paesi europei, tale da portare alla progressiva integrazione politica, requisito essenziale per una pacificazione delle relazioni reciproche: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania».

Il Cancelliere tedesco Adenauer aderì immediatamente a quelle proposte, già precedentemente concertate, così come fecero i governi di Paesi Bassi, Belgio, Italia e Lussemburgo. Trascorso un solo anno, il 18 aprile del 1951 i sei Stati fondatori firmarono il Trattato di Parigi con cui fu istituita la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, si trattava della prima Comunità sovranazionale europea. Essa aprì le porte alla successiva Comunità economica europea e all’Unione Europea, ancora oggi gestita sul modello di istituzione europea ideata e progettata nel 1950.

 

Nel 1963 Robert Schuman  morì nella sua casa di Scy-Chazelles. Sepolto inizialmente nel cimitero della cittadina, nel 1966 le sue spoglie vennero traslate nella chiesa di San Quintino di Scy-Chazelles, adiacente alla sua dimora.

 

Nel 1958 Schuman divenne il primo Presidente del precursore dell’attuale Parlamento europeo. Quando lasciò la sua carica, il Parlamento gli conferì il titolo di «padre dell’Europa» e in riconoscimento dell’importanza della «Dichiarazione Schuman» del 9 maggio 1950, si celebra annualmente in questa data la «Festa dell’Europa».

In onore del suo lavoro pionieristico per un’Europa unita, Bruxelles ha intitolato a suo nome una stazione del metro, una piazza e una stazione ferroviaria; inoltre nel 1987 fu inaugurato un busto in suo onore all’entrata del Parco del Cinquantenario. Numerosi premi sono stati istituiti alla sua memoria da parte del Parlamento europeo, della Fondazione Robert Schuman, dall’Università di Bonn, dalle città di Lussemburgo, Metz, Treviri e Saarbrücken. Non sono pervenuti, invece, miracoli avvenuti in vita per sua intercessione.

Insomma, una lunga, intensa, trionfante carriera politica, che ha ancora molto successo fra i politici e l’intellighenzia dei nostri giorni, ma che nulla ha da insegnare alle anime cattoliche, che ancora credono nei veri santi e non sanno che farsene di quelli che vengono millantati da altri per tali. Così, mentre per la laica Chiesa il nuovo patrono sarà quello del gruppo rappresentato da Ursula von der Leyen, Robert Schuman, per i fedeli della eterna Santa Madre Chiesa il padre d’Europa resta san Benedetto da Norcia. Due ideali, due fedi diverse, nell’età del caos imposto dalla signoria di Bruxelles e dalla sua serva, Roma.

 

 

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