Quelle «mirabilia» che oggi fatichiamo a capire

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Percorrendo le distese ondulate del Tavoliere delle Puglie, con immensi campi di grano e pale eoliche a perdita d’occhio, si arriva ad una piccola cittadina, nella provincia di Foggia: Troia. Nel vederla ora, è difficile immaginare l’importanza che doveva rivestire, nell’XI secolo, come roccaforte dei Bizantini contro i Longobardi di Benevento, ma è proprio in virtù di questa rilevanza nella storia della cristianità medievale che ha conservato, quasi intatta, una magnifica cattedrale.

Questo importante luogo di culto, intitolato a Santa Maria Assunta, con due portali in bronzo originali ancora in situ, è tra le più suggestive e, sicuramente, la più singolare delle architetture romaniche in Italia, in cui si fondono, in una mirabile armonia, influssi bizantini e fascinazioni orientali. Costruita tra il 1093 ed il 1106, è stata modificata nel corso del tempo, fino all’epoca angioina, quando assunse l’aspetto attuale.

Il rosone, imponente fulcro della facciata, è singolare rispetto a tutti gli altri perché è suddiviso in 11 porzioni (non 12), e quindi non ha la ripartizione classica e regolare della circonferenza. All’interno degli spicchi non ci sono spazi vuoti, ma diaframmi di pietra traforati, ognuno diverso dall’altro, come se fosse un ricamo.

Di questo celeberrimo rosone si è studiata lungamente la simbologia, ma, senza concentrarsi sul significato palese o recondito. Quello che attira maggiormente l’attenzione è la straordinaria bellezza dell’insieme. Questa facciata sembra poggiare su un ordine architettonico che comunica un senso di solidità, di stabilità; eppure la sua peculiarità ad uno sguardo attento è quella di essere pulsante di forme antropomorfe in movimento: ovunque la si guardi, dai capitelli di imposta allo straordinario cornicione, vi è un profluvio di figure fantastiche ad altorilievo. Salendo dal corso, ci si accorge, con meraviglia, che la facciata ha un profilo: i leoni, gli animali fantastici, le creature surreali, sporgono dal rivestimento di marmo quasi volessero saltar giù, come trattenuti dalla pietra spasimano irrequieti.

Se ci accostiamo alla facciata con il naso all’insù, ad uno ad uno si manifestano mostri e strane creature zoomorfe, il medioevo ci si svela pian piano attraverso queste strane invenzioni di pietra, spesso orribili, talvolta palesemente oscene. Questo patrimonio teratologico è pieno di mostri e creature immonde, ma che nell’universo del medioevo cristiano sono anch’esse incluse nel misterioso disegno divino, così come le pietre sono parte dell’architettura di una cattedrale. Andando in chiesa il cristiano medievale si meravigliava, si impressionava, si interrogava, prevalentemente analfabeta dipendeva dall’uso di quelle immagini per sentirsi accolto o ammonito e non rinunciava mai al fantastico.

Noi abbiamo smesso di avere soggezione delle immagini, la facciata della cattedrale di Troia non ci atterrisce con i suoi mostri, e forse non ci parla nemmeno più di una visione del mondo, rimane ai nostri occhi lo scheletro del castello di significato che portava con sé nel XII o XIII secolo. Le pietre romaniche non impauriscono, né spasimano più, oramai sussurrano di un mondo perduto, lontanissimo e sempre più indecifrabile. Noi, con occhi disincantati, le guardiamo senza pathos e con una curiosità insolente sorridiamo delle mirabilia medievali e dello spavento che potevano suscitare, con la consapevolezza che a noi non sorprendono, né meravigliano più.

 

 

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