Quella Santa Messa sempre viva, anche se perseguitata

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In un tempo, come il nostro, di crisi della Fede, della Chiesa, della figura pontificia, numerosi sacerdoti, in particolare giovani, manifestano sempre più interesse per la Messa di sempre, e tale curiosità e adesione conquista anche molteplici fedeli nel mondo; tale dato preoccupa, di molto, le alte sfere…

Quando una realtà è oggettivamente vera, bellissima e, soprattutto, possiede carattere divino, non è demolibile. Da quando, nella prima domenica di Avvento del 1969, la Santa Messa di sempre venne messa all’angolo dal Novus Ordo[1], nuova e rivoluzionaria liturgia preparata a tavolino da monsignor Annibale Bugnini (1912-1982) e autorizzata da papa Paolo VI, essa continua ad essere celebrata, insegnata, amata. Non è mai stata abolita, ma con il Motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI del 7 luglio 2007 è stata liberalizzata. Da quell’anno in poi la sua diffusione, si è allargata a macchia di leopardo, sempre più, in un crescendo continuo. Sono trascorsi 14 anni ed ecco che questa “fastidiosa” liturgia, indigesta da più di 50 anni, agli schieramenti clericali progressisti ha subìto due giorni fa un duro colpo, inferto da papa Francesco, attraverso la Lettera Apostolica, in forma di Motu proprio Traditionis Custodes, sull’uso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, «dato a Roma, presso San Giovanni Laterano, il 16 luglio 2021 Memoria liturgica di Nostra Signora del Monte Carmelo, nono del Nostro Pontificato».

Nonostante sia ancora vivente Benedetto XVI, che si veste da Papa, nonostante, prima volta nella Storia della Chiesa, le sue dimissioni del 2013; che risiede in Vaticano e che si fa chiamare «Papa emerito», l’attuale Pontefice regnate ha annullato ciò che il suo predecessore, a lui contemporaneo e vicino di casa, aveva stabilito.

Il Vetus Ordo Missae è Il Rito, per antonomasia, che crea parecchi problemi e turbamenti nei Pastori della Chiesa… una vera e propria pietra d’inciampo, pietra di scandalo.

Nessun problema per gli innumerevoli abusi liturgici che si consumano nelle parrocchie del mondo ogni giorno, anzi, hanno fatto il loro ingresso, proprio sotto il pontificato di Francesco, persino i culti idolatrici in San Pietro, con al centro della scena la dea Pachamama – la «Madre Terra» venerata dagli Inca e da altri popoli abitanti l’altipiano andino, quali gli Aymara e i Quechua – ma c’è gran timore per il propagarsi della celebrazione in rito antico, che i novatori volevano seppellire per sempre da gran tempo. Tuttavia, ci fu un Vescovo, un uomo di Dio, monsignor Marcel Lefebvre (1905-1983), il quale, per difenderla e per denunciare gli errori presenti nei documenti del Concilio Vaticano II, è stato denigrato e messo, anche lui, all’angolo, come la Messa di sempre, spodestata dalla Messa nuova, quella rivoluzionaria, progettata per i “tempi nuovi”, per la “Chiesa nuova”, attenta ai “lontani”, così attenta che si è allontanata da se stessa, dal proprio ruolo, dalla propria identità missionaria ed evangelizzatrice. E il “dialogo” agognato dalla Chiesa con il mondo si è trasformato in abbraccio mortale con il mondo e cessione delle proprie responsabilità di custodire il deposito integro della Fede.

Il rito del Santo Sacrificio, rinnovato ogni giorno, nella sua struttura anteriore alla riforma del 1969, è il risultato di uno sviluppo bimillenario. A seguito del Concilio di Trento, dopo gli scismi protestanti, fu pubblicata da san Pio V, nel 1570, una nuova edizione del Missale Romanum. Per la sua redazione, come il Pontefice si scrisse nella bolla Quo Primum, furono utilizzati i più antichi manoscritti e messali a disposizione, al fine di riportare il messale stesso alla sua purezza originaria, pur con tutti gli arricchimenti utili e necessari, soprattutto nelle rubriche, che erano stati apportati, ma eliminando incrostazioni e localismi, ribadendo la romanità della liturgia. Di fatto si trattava soltanto di una minima revisione del Missale curiale del 1474, risalente, nella sua essenza, al IV secolo. Si può, quindi, affermare con certezza che la Messa non è mai stata mutata. L’unica variazione di rilievo, antecedente al Novus Ordo fu la nuova disciplina della Liturgia della notte di Pasqua e della Settimana Santa disposta sotto il pontificato di Pio XII.

Nella seconda metà del XIX secolo si assiste ad un rinnovato spirito cattolico e al desiderio di riportare, soprattutto negli ordini religiosi, l’antico zelo spirituale, notandosi una certa stanchezza ed una certa apatia. In questo contesto grande importanza assume il rinnovamento del monachesimo benedettino; ricordiamo l’azione dell’abbazia belga di Maredsous di dom Columba Marmion e, in particolare, di dom Prosper Guéranger (1805-1875). Da questo rinnovato zelo, che si inserisce a pieno titolo nella tradizione dell’ortodossia cattolica, nasce l’esigenza di purificare la liturgia da incrostazioni e di far conoscere ai fedeli il significato di ogni gesto che veniva compiuto.

È l’inizio del movimento liturgico.

Già nel 1964 fu istituito il Consilium per l’applicazione della costituzione liturgica (Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia), affinché si adattassero i testi liturgici ai princìpi conciliari. Il Consilium ebbe fra i suoi obiettivi anche l’evidenziazione delle caratteristiche che differenziavano il rito romano sia da quello bizantino sia dalle altre tradizioni occidentali (ambrosiano, gallicano, mozarabico). La commissione fu, inizialmente, presieduta dall’Arcivescovo di Bologna il Cardinale Giacomo Lercaro e, dal 1968, dal Cardinale Benno Walter Gut. Da essa sorse poi la Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, il cui segretario fu Annibale Bugnini, il quale aveva ricoperto la funzione di segretario della Commissione di riforma istituita nel 1948 e di quella preparatoria al Concilio. La Commissione liturgica venne presieduta dallo stesso controverso personaggio Bugnini e creò un nuovo rito della Messa, che condusse al superamento, di fatto, del latino e all’eliminazione di alcune parti che nella Messa precedente venivano considerate fondamentali per la Fede cattolica, andando così oltre le stesse prescrizioni della Sacrosanctum Concilium.

Dalle testimonianze e dalla pubblicistica Bugnini esce come una figura ambigua, senza profondità di pensiero e di spiritualità, un abile manovratore: esistono documenti, come la Institutio generalis Missalis Romani, che pare non siano neppure stati sottoscritti da Paolo VI e solo fiduciariamente approvati.

Bugnini pareva intoccabile in Vaticano. La sua influenza su Paolo VI fu notevole e le sue decisioni venivano prese in maniera dittatoriale. Bugnini, che aveva ottenuto il monopolio sulla liturgia, era e rimane un enigma. Dirà Monsignor Lefebvre nel 1974: «È certo che cose inammissibili sono accadute fra il Santo Padre e gli organismi che sono nelle mani di monsignor Bugnini»[2].

Con la fusione della Sacra Congregazione del Culto divino in quella dei Sacramenti dell’11 luglio 1975, il Papa fece cessare le attività di Bugnini e decise di allontanare il Vescovo da Roma, inviandolo il 4 gennaio 1976 in Iran, quale pronunzio apostolico a Teheran.

La macchina della nuova ritualità eucaristica venne messa in moto in maniera traumatica. Un terremoto che si inasprì ancor più a causa della proibizione di fatto del rito del Santo Sacrificio della Messa fino ad allora celebrato.

Ecco che uccisa o colta da morte apparente l’eterna continuità della lex orandi, come specchio della lex credendi, cosa mai accaduta nelle Chiese ortodosse, ognuno si sente o, meglio, si può sentire (e molti di fatto si sono sentiti) autorizzato a costruirsi una liturgia propria, a compiacimento dei propri gusti e della propria «creatività» personale.

Nel dicembre del 1967, il Vescovo Marcel Lefebvre, che a quel tempo era Superiore della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo (1962-1968)fu convocato a partecipare ad un’assemblea dell’Unione mondiale dei superiori generali, durante la quale Annibale Bugnini andò a presentare la sua Messa normativa. Il monsignore, con estrema naturalezza, spiegò che tutta la prima parte della Messa sarebbe stata mutata: soppresso l’offertorio, in quanto era una «inutile» ripetizione del Canone; annullate le orazioni del sacerdote prima della comunione, come fossero una perdita di tempo; variate le preghiere eucaristiche; introdotta la presenza dei laici e via rivoluzionando. Racconterà lo stesso testimone:

«Ascoltando questa conferenza che durò un’ora io mi dicevo: “Non è possibile che quest’uomo goda della fiducia del Santo Padre, che sia colui che il Papa ha scelto per compiere la riforma della liturgia!”. Avevamo di fronte un uomo che calpestava l’antica liturgia con un disprezzo, con una disinvoltura inimmaginabili. Ero annichilito, ed io, che prendo abbastanza facilmente la parola, come avevo fatto al Concilio, non ho avuto il coraggio di alzarmi. Le parole mi morivano in gola»[3].

Con la spoliazione del rito liturgico, magistralmente evidenziato dal Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae, stilato dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci e consegnato direttamente a Paolo VI[4], arrivò la banalizzazione del canto. Le chitarre, quando non i bongo e le batterie, presero perlopiù il posto degli organi e la lode a Dio venne profanata con il ritmo e i battimano. Tutto veniva umiliato e abbassato, eliminando la sontuosità celeste, impoverendo anche gli arredi sacri e proletarizzando l’arte. Commozione sacra e religiosa, culto e spiritualità venivano sfregiati in nome di una falsa e ipocrita disponibilità ad andare incontro alle presunte esigenze dei fedeli, che in realtà si identificavano nelle velleità di chi voleva mettere del suo proprio nel rito liturgico, soggettivizzando il culto divino.

Le chiese moderne che si sono edificate dopo il Concilio non hanno più trasmesso la potenza e la forza della Fede, non sono state più un omaggio al Signore, alla Madonna, agli angeli e ai santi, ma un omaggio alla limitatezza dell’uomo: l’arte, come la religione, si è antropocentrizzata e ha rinunciato a guardare verso l’alto, accontentandosi della normalità, a volte anche del brutto, pensando  che impoverendo e spogliando le chiese, in una sorta di pauperismo architettonico, pittorico e musicale, si sarebbero avvicinate le masse… che, invece, si sono sempre più allontanate.

Messo al cento l’assemblea, con il sacerdote coram populo e non coram Deo, tolto il sacrificio incruento di Cristo all’altare, per sostituirlo con la protestante memoria eucaristica dell’ultima Cena, le parrocchie, di fattura moderna, sono diventata aniconiche (come le sale di preghiera dei protestanti ) e si sono riempite di freddo, proprio perché il cuore della Santa Messa, il Calvario di Cristo, è stato defenestrato, ancora una volta a copiatura dei riti protestanti.

La meditazione, la contemplazione e l’adorazione sono state violate in nome di una partecipazione attiva dell’assemblea al “banchetto eucaristico”, dove il Santo Sacrificio, che ha bisogno di silenzio, preghiera e raccoglimento, precedentemente aiutati dalle lunghe e benefiche pause del celebrante, che recitava in proprio le orazioni del rito, è stato estromesso.

La rinuncia all’Arte sacra, l’assenza di momenti di silenzio, la sostituzione delle sedie ai banchi con inginocchiatoio,  la diminuzione dei tempi in ginocchio, il prendere l’ostia con le mani al momento della comunione dei fedeli, la presenza di immagini e manufatti di vita quotidiana, la sostituzione dell’organo e degli strumenti a fiato con chitarre, anche elettriche, e strumenti a percussione… tutto quanto abbiamo sopra richiamato non è altro che la manifestazione esterna, visiva-uditiva, del tentativo di trasformazione graduale, ma non troppo, del Santo Sacrificio della Messa nella «Cena del Signore» di luterana memoria e di questo monsignor Lefebvre si è lucidamente avveduto. Non solo lui si potrà dire, ma è il Vescovo che con maggior coraggio e determinazione ne ha denunciato tutta la profonda gravità e tutte le tragiche conseguenze, agendo di conseguenza.

«Se la Messa è un banchetto, capisco che il prete si volti verso i fedeli: non si presiede un pranzo voltando la schiena agli invitati. Ma un sacrificio si offre a Dio, non ai presenti. È per questa ragione che il prete, alla testa dei fedeli, si volge verso Dio, verso il crocifisso che domina l’altare»[5].

Lefebvre si scandalizza di fronte a questi mutamenti:

«Avrete potuto notare che oggi la maggior parte dei preti pronuncia tutto d’un fiato la parte principale del Canone che comincia con: “La vigilia della sua passione, prese il pane nelle sue santissime mani…”, senza marcar la pausa prescritta dalle rubriche del Messale romano: “Tenendo con le due mani l’ostia fra l’indice e il pollice, pronuncia le parole della Consacrazione a voce bassa, ma ‘distinte’ e attentamente, sull’ostia”. Il tono cambia, diviene intimatorio. Le cinque parole Hoc est enim Corpus meum operano il miracolo della transustanziazione, così pure quelle che sono dette per la consacrazione del vino. Il nuovo messale invece invita il celebrante a mantenere il tono narrativo come se effettivamente procedesse a un memoriale. Essendo di regola la creatività, si vedono certi officianti recitare il loro testo mostrando l’ostia tutt’intorno, oppure rompendola con ostentazione per aggiungere il gesto alle parole e meglio illustrare il racconto»[6].

Con grande dolore egli esorta:

«La comunione del sacerdote e dei fedeli è una comunione con la vittima che si è offerta sull’altare del sacrificio, che è massiccio, in pietra, e se non lo è, contiene almeno la pietra sacra, che è una pietra sacrificale in cui sono state incluse le reliquie dei martiri, perché essi hanno profuso il loro sangue per il Maestro. Questa comunione del sangue di Nostro Signore con il sangue dei martiri incoraggia pure noi ad offrire le nostre vite»[7].

E poi «adesso, si va blaterando, l’uomo non è più lo stesso di un secolo fa. La sua natura è stata modificata dalla civilizzazione tecnica in cui è immerso. Che assurdità! Gli innovatori si guardano bene dal rivelare ai fedeli il loro desiderio di allineamento al protestantesimo, allegando invece un altro movente: il cambiamento»[8].

Non è possibile rimanere passivi, per il credente, di fronte a questo anelito d’anima pronunciato il 23 settembre 1979 da monsignor Lefebvre:

 

Pour la gloire de la très sainte Trinité,

pour l’amour de Notre Seigneur Jésus-Christ,

pour la dévotion à la très sainte Vierge Marie,

pour l’amour de l’Église,

pour l’amour du Pape,

pour l’amour des évêques, des prêtres, de tous les fidèles,

pour le salut du monde,

pour le salut des âmes,

gardez ce testament de Notre Seigneur Jésus-Christ!

Gardez le sacrifice de Notre Seigneur Jésus- Christ!

Gardez la messe de toujours!

 

Ecco la traduzione di quello che rimane uno dei testi della letteratura sacra più straordinari a riguardo della Santa Messa:

 

Per la gloria della Santissima Trinità,

per l’amore di Nostro Signore Gesù Cristo,

per la devozione alla Santissima Vergine Maria,

per amore della Chiesa,

per amore del Papa,

per amore dei vescovi, dei preti, di tutti i fedeli,

per la salvezza del mondo,

per la salvezza delle anime,

custodite il testamento di Nostro Signore Gesù Cristo!

Custodite il sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo!

Custodite la messa di sempre!

 

Alcuni giovani seminaristi supplicarono il Vescovo di mantenere viva la fiaccola della Messa di sempre e, allo stesso tempo, viva la formazione della santità sacerdotale, a queste sollecite e pressanti richieste, egli ha risposto fondando la Fraternità Sacerdotale San Pio X, riconosciuta il giorno di Ognissanti del 1970 dal vescovo di Friburgo, François Charrière (1893 – 1976).

Grazie a questi sacerdoti il Vetus Ordo è sopravvissuto nella pratica e nell’insegnamento: da allora in poi moltissimi seminaristi e sacerdoti, anche non appartenenti alla FSSPX, hanno imparato a celebrare la Santa Messa di sempre, così come sopravvive il Catechismo di san Pio X, quello attraverso il quale s’impara veramente, fin da piccoli, la dottrina cattolica e i dogmi.

Monsignor Lefebvre ha spesso ricordato che non voleva che la Fraternità avesse una propria forma di spiritualità, ma che la sua caratteristica peculiare dovesse essere la venerazione per il Santo Sacrificio della Messa: ripresentazione del sacrificio del Signore sulla croce e per mezzo di essa vengono incessantemente riparati i peccati dell’umanità, vengono offerte ai fedeli le grazie che Cristo ha meritato sulla croce e viene consegnata ai peccatori e agli infedeli la grazia della conversione.

I sacerdoti della Fraternità celebrano la Santa Messa esclusivamente con il rito romano tradizionale, che attraverso la sua bellezza, dignità e solennità, favorisce lo spirito di adorazione ed è la piena espressione della fede cattolica nel Santo Sacrificio. Ha scritto Benedetto XVI il 7 luglio 2007 nella Lettera ai Vescovi di accompagnamento  alla Lettera Summorum Pontificum.Sull’uso della Liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto»[9].

Scrive oggi papa Francesco nella Lettera ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il suo Motu proprio, con l’intenzione di eliminare il più possibile quest’uso “pervicacemente” seguito da coloro che ancora credono nell’unica Verità portata da Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote, il Capo della Chiesa.

«[…] come già il mio Predecessore Benedetto XVI fece con Summorum Pontificum, anch’io intendo accompagnare il Motu proprio Traditionis custodes con una lettera, per illustrare i motivi che mi hanno spinto a questa decisione. […] A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso «fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente», è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».

La Messa di sempre fa veramente paura, terrorizza i rivoluzionari della Chiesa, dunque, occorre perseguitarla e fare, il più possibile, terra bruciata. La Tradizione fa paura perché in essa non ci sono deragliamenti e da qualche decennio la Chiesa è deragliata. Insegna San Paolo, le cui parole fece proprie Monsignor Lefebvre:

«Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1 Cor 15, 1-3). La Chiesa non deve far altro: trasmettere, di generazione in generazione, la stessa Via, Verità, Vita, senza falsarla.

Il nuovo rito della Messa del 1969 rappresenta, secondo il giudizio dei Cardinali Ottaviani e Bacci, «un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa».

Aver eliminato dalla Messa l’uso del latino come lingua liturgica ha tolto alla liturgia il senso del sacro e del mistero.  E non solo, ha eliminato la lingua unica di Santa Romana Chiesa, che faceva sentire un cuor solo ed un’anima sola chi assisteva ad una Messa a Roma, come a Vienna, a Londra, a New York, a Sidney, ad Atene, a Nairobi… I novatori, a suo tempo, credevano che con la lingua vernacolare potessero conquistare una maggiore partecipazione di fedeli, invece, si è vista una costante e continua emorragia di presenze in chiesa e la maggioranza di coloro che ancora vanno non sanno neppure più, a causa di una grande ignoranza religiosa, dovuta ad una lacunosa e spesso erronea preparazione catechetica, che cosa sia realmente la Messa.

 

Don Davide Pagliarani, attuale Superiore generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, nel momento dell’incensazione dell’Altare

 

Lo stesso cardinale Ratzinger ebbe a dire: «Sono convinto che la crisi che viviamo oggi nella Chiesa poggi in gran parte sulla liturgia, che a volte viene concepita etsi Deus non daretur»[10].

Affermava Monsignor Lefebvre ai seminaristi:

«I vostri studi non hanno ragion d’essere senza la Messa. Tutta la teologia ruota attorno a Nostro Signore Gesù Cristo, alla sua Messa, alla sua Croce. La sintesi di ciò che vi è stato insegnato durante il Seminario è l’altare, è il Sacrificio della Messa»[11].

Per tutta la sua esistenza, monsignor Lefebvre gustò e fece gustare, a seminaristi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli le immense ed inesauribili ricchezze del Tesoro che Nostro Signore consegnò e trasmise alla sua Chiesa quando disse ai suoi Apostoli: «Poi prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”» (Lc 22,19).

Grazie a questo santo Vescovo e alla sua Fraternità Sacerdotale San Pio X, la martoriata Santa Messa di sempre, tanto amata anche da san Padre Pio da Pietrelcina (che si rifiutò di celebrare la «Messa intermedia», vale a dire il rito uscito dal Concilio Vaticano II, ottenendo l’indulto da Paolo VI per viverla fino alla fine dei suoi giorni), e allo stesso tempo bramata ormai da un nutrito bacino di chierici, religiosi, monache e fedeli in tutto il mondo, è e rimarrà sempre testata d’angolo dell’architettura liturgica.

 

 

[1] Il Novus Ordo Missae è il nuovo rito della Santa Messa, introdotto da Papa Paolo VI con la Costituzione apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969 ed entrato in vigore la prima domenica di Avvento del medesimo anno.

[2] Conferenze spirituali di monsignor M. Lefebvre a Écône, 12 marzo 1974.

[3] B. Tissier de Mallerais, Mons. Marcel Lefebvre. Una vita, Tabula Fati, Chieti 2005, p. 449.

[4] Nella Lettera di spupplica a Paolo VI gli autori scrivevano: «Come dimostra sufficientemente il pur breve esame critico allegato – opera di uno scelto gruppo di teologi, liturgisti e pastori di animeil Novus Ordo Missae, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo

insieme come nei particolari, un’impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i “canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del mistero». https://edizionipiane.it/prodotto/breve-esame-critico-del-n-o-m/

[5] M. Lefebvre, Lettera aperta ai cattolici perplessi, Éditions Albin Michel, Paris 1985, pp. 30-31.

[6] Ibidem, p. 35.

[7] Ibidem, p. 30.

[8] Ibidem, p. 37.

[9] https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/letters/2007/documents/hf_ben-xvi_let_20070707_lettera-vescovi.html

[10] J. Ratzinger-Benedetto XVI, J: Aus meinem Leben: Erinnerungen (1927–1977), DVA 1997, p. 174.

[11] Mons. Marcel Lefebvre, La Messa di sempre, Editrice Ichthys. (Cfr. https://edizionipiane.it/prodotto/la-messa-di-sempre/).

 

 

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