Quando il Papa si fa garante… dei peccati

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Poiché i vescovi statunitensi sono contrari al fatto che l’attuale presidente degli Stati Uniti possa prendere la comunione, non essendo in Grazia di Dio poiché appoggia le leggi che sostengono l’omicidio di esseri umani innocenti nel grembo materno, Joe Biden, quando è uscito dall’udienza con papa Francesco lo scorso 29 ottobre, ai giornalisti ha subito dichiarato: «Con il Papa abbiamo parlato del fatto che è contento che sono un buon cattolico e che continuo a ricevere la comunione». Se è contenuto il Pontefice, lo possono essere tutti coloro che si accostano alla comunione pur non essendo in Grazia di Dio.

La confusione nella Chiesa regna sovrana e le contradizioni sono ormai di ordinaria amministrazione: un giorno il Papa dice che l’aborto è assassinio e poi, poco dopo, scagiona, per sue soggettive simpatie e opportunità politiche, chi permette di estendere il peccato mortale.

Scrive Nicola Graziani dell’AGI (Agenzia Italia): «Tra un paio di settimane la conferenza episcopale statunitense dovrebbe emanare un documento in materia di comunione ai politici pro choice, ed ora si trova in un certo imbarazzo: se dice di sì, si rimangia la dottrina, se dice di no, si mette contro il Vicario di Cristo. Non è una posizione facile. Sia chiaro, comunque: il Papa ha ribadito ancora due giorni fa che l’aborto è omicidio. Il fatto è che Biden personalmente è per la vita, ma una legislazione approvata secondo i crismi della democrazia per lui non è tangibile». D’altra parte, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva già allertato, con una lettera ai vescovi statunitensi, che non bisognava, in sostanza, essere “divisivi” poiché si era alla vigilia della Conferenza di Glasgow per arrestare i “cambiamenti climatici” e poi ci sono i temi caldi dell’attuale Occidente: l’ambientalismo, il Covid, i migranti, il pacifismo.

È possibile usare la “diplomazia” se politicamente conviene in tema di principi dottrinali? Con Lutero non ha funzionato all’epoca, neppure con  Enrico VIII, che hanno entrambi, di fatto, realizzato delle religioni al servizio dei loro rispettivi Stati  e non certo al servizio di Cristo. Ma, si dice,  oggi i tempi sono cambiati… la Chiesa si è emancipata con il Concilio, con il ’68, con le idee protestantizzanti, con quelle progressiste, la teologia della liberazione, l’ambientalismo…  e l’apostasia è diventata per molti un fatto assolutamente normale, che fa perdere le anime, ma non l’affascinante “dialogo” con il mondo.

Gesù Cristo non ha insegnato tutto questo e neppure la Chiesa di sempre, basti vedere chi ha perso e perde ancora la propria vita per testimoniare la saldezza nella fede, ovvero i Martiri. Ma c’è di più, se con l’Esortazione apostolica Amoris laetitia del 19 marzo 2016, il magistero pontificio aveva dato il permesso ai divorziati risposati di accostarsi al Santissimo Sacramento, l’esempio che ora papa Francesco ha dato al mondo facendosi “garante” della legittimità di Biden di comunicarsi, potrà essere replicato là dove ogni sedicente cattolico vorrà: il peccato non è più un “muro”, ma un “ponte” verso… l’abisso.

 

Giusto di Gand, Comunione degli Apostoli, 1473-1474, Galleria nazionale delle Marche, Urbino

 

La nostra religione è una questione seria, molto impegnativa, non facile, ma che rende realizzati e felici e che procura il vero progresso, spirituale e civile. Non è una favoletta o una buffonata a buon mercato. Siamo di fronte ad una vera e propria scienza, dove si sposano Fede e Ragione, come hanno sostenuto san Tommaso d’Aquino e il santo Cardinale Newman e non solo loro, ma 2000 anni di studi, approfondimenti, arricchimenti elaborati da geniali e santi dotti, oggi si direbbe «esperti».

Liberi di pensare che il peccato mortale non esista e non abbia conseguenze, ma allora, logica e coerenza vogliono, che questo genere di soggettiva religione – la galassia protestante è piena di rivoli fra loro diversi di fedi che si richiamano, ognuno a propria originale inventiva, al cristianesimo – non è più il cattolicesimo, ma seguaci di Valdo, Hus, Lutero, Calvino, Cranmer, Zwingli, Wesley, Smith…

Nel 1562 un gruppo di cattolici inglesi formularono una petizione all’indirizzo del Concilio di Trento, nella speranza che venisse loro concesso di assistere ai servizi anglicani, ovvero la messa stravolta che aveva cancellato il Santo Sacrificio dell’altare e aveva ridotto la comunione ad una semplice e simbolica memoria dell’ultima Cena, senza credere alla transustanziazione. L’appello venne sottoposto al giudizio di una commissione presieduta dal cardinale Michele Ghislieri (1504 – 1572), futuro san Pio V. La risposta fu rigorosa: non era possibile, a nessun cattolico, assistere ai culti non cattolici, pena la scomunica.

Fino al Concilio Vaticano II la fede cattolica era una questione per gente che non scherzava con la propria anima: c’era sempre il Papa a ricordare il peso che aveva il valore dell’anima destinata alla vita eterna, con i suoi premi o i suoi castighi, come aveva insegnato Cristo a chiare lettere e senza titubanze o diplomazie di sorta. Dopo il Vaticano II, oltre ad aver cambiato la Messa per renderla più allettante ai protestanti,  la dimensione soprannaturale, come era accaduto con il protestantesimo, si è eclissata e con esso tutte quelle virtù che permettono di stare lontani da tentazioni e peccati, che sono il nemico numero uno dell’anima, ma anche questo termine – come «peccato», «Paradiso», «Purgatorio», «Inferno», «temperanza», «prudenza», «fortezza», «timor di Dio»… –  è passato di moda fra gli uomini di Chiesa, ma non certo per la Santissima Trinità, da cui veniamo.

Il permissivismo e il lassismo che impera nella Chiesa non fa altro che dividere la stessa Chiesa, autodemolendola, come già aveva capito, senza prendere le dovute precauzioni e misure, Paolo VI (1897-1978).

Oggi per non scontentare nessuno, si condonano i peccati con un pressapochismo teologico e dottrinale impressionante e a fare le spese di tutto questo bailamme sono proprio le anime, soprattutto quelle incoscienti.

Siamo nel pieno di quel tempo che il santo cardinale John Henry Newman (1801-1890) aveva previsto: il liberalismo era una «trappola mortale», una «terribile calamità» da cui la Chiesa avrebbe dovuto difendersi con grande coraggio e molta saggezza per non scivolare nell’apostasia: una prova che le alte gerarchie ecclesiastiche non sono state ancora in grado di affrontare e, cullandosi dietro le ideologie del mondo e i “pseudocattolici” come Biden, perdono ogni giorno di più vocazioni e fedeli, mentre le chiese si svuotano progressivamente: in Toscana come altrove ci sono ormai parroci che amministrano 12 e più parrocchie, mentre, dagli ultimi dati resi pubblici dalla CEI, negli ultimi 50 anni, le nuove leve sacerdotali sono diminuite di oltre 60% e oggi, un seminarista su 10 arriva dall’estero.

Gesù non ha lasciato nel vago nulla: «Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. […] Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere» (Mt 7, 16-20).

L’evidente autodistruzione proseguirà fin tanto non ci sarà un ritorno ai riferimenti della Tradizione della Chiesa, quindi ad una purificazione non solo morale (il 5 ottobre scorso, Matteo Bruni, direttore della Sala stampa vaticana, ha riferito che sono state 216.000 le vittime di pedofilia nella sola Chiesa francese dal 1950 ad oggi, facendo riferimento al rapporto della «Commissione sugli abusi sessuali nella Chiesa» voluto dall’episcopato francese: i preti pedofili sono stati in questi 70 anni fra i 2.900 e i 3.200), ma soprattutto teologica e dottrinale, da cui discendono eticità, pastoralità, saldezza nella fede e credibilità.

 

 

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